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«Scontato? Ti aspettavi tutto questo, Bella? Avevi messo in conto che ti facessi del male? Pensavi sarebbe andata peggio? Consideri l’esperimento un successo solo perché sei sopravvissuta? Niente ossa rotte uguale vittoria?».

Attesi che finisse di sfogarsi. Poi che il suo respiro tornasse normale. Quando i suoi occhi si calmarono risposi con lentezza e precisione.

«Non sapevo cosa aspettarmi, ma di sicuro non mi aspettavo che... che... fosse così meraviglioso e perfetto». La mia voce si fece un sussurro, gli occhi corsero dal suo viso alle mie mani. «Cioè, non so com’è stato per te, ma per me è andata così».

Un dito freddo mi sollevò il mento.

«È di questo che sei preoccupata?», disse a denti stretti. «Che io non mi sia divertito.

Non sollevai lo sguardo. «So che non è la stessa cosa. Tu non sei umano. Stavo solo cercando di spiegare che, per un essere umano, be’, non riesco a immaginare che la vita vada meglio di così».

Il suo silenzio durò a lungo e fui costretta a guardarlo. Aveva un’espressione più rilassata, un po’ pensierosa.

«A quanto pare ho altro di cui scusarmi». Si rabbuiò. «Forse davo per scontato che, a causa della mia reazione, pensassi che stanotte non fosse stata... be’, la notte migliore della mia esistenza. Ma non voglio che la pensi così, non nel momento in cui...».

Un sorriso cominciò a fiorire sulle mie labbra. «Davvero? La migliore in assoluto?», domandai con un filo di voce.

Mi prese il viso fra le mani, assorto. «Dopo che io e te abbiamo stretto il nostro accordo ho parlato con Carlisle, sperando nel suo aiuto. Ovviamente mi ha avvertito che tutto questo poteva essere molto pericoloso per te». Un’ombra attraversò il suo viso. «Però ha aggiunto che si fidava di me, una fiducia che non ho onorato».

Volli protestare ma mi zittì all’istante posandomi due dita sulle labbra.

«Gli ho anche chiesto cos’avrei dovuto aspettarmi. Non sapevo come sarebbe stato per me... per la mia natura di vampiro». Sorrise senza entusiasmo. «Carlisle mi ha detto che sarebbe stato qualcosa di molto potente, di unico. Mi ha detto di non prendere alla leggera l’amore fisico. La nostra indole è piuttosto stabile e le emozioni forti possono alterarla in modo permanente. Ma di questo, secondo lui, non dovevo preoccuparmi, perché tu mi hai già alterato completamente». Fece un altro sorriso che sembrava più sincero.

«Ho parlato anche con i miei fratelli. Mi hanno raccontato che è un piacere grandissimo. Secondo soltanto al sapore del sangue umano». Una ruga gli increspò la fronte. «Ma io ho assaggiato il tuo, e non esiste sangue più potente di quello... Secondo me si sbagliano, davvero. Per noi è qualcosa di diverso. Qualcosa di più».

«Certo che sì. Per noi è tutto».

«Ma ciò non mette in discussione il fatto che sia sbagliato. Anche ammesso che tu ti sia davvero sentita così».

«Ma cosa dici? Pensi che finga? Perché?».

«Per farmi sentire meno in colpa. Non posso ignorare i fatti, Bella. O le volte in cui hai tentato di giustificarmi dopo che ho commesso degli errori».

Lo presi per il mento e mi chinai verso di lui, finché i nostri volti quasi non si sfiorarono. «Stammi a sentire, Edward Cullen. Non sto fingendo un bel niente per far piacere a te, okay? Non immaginavo neanche di doverti consolare, finché non hai iniziato con i tuoi lamenti. Non sono mai stata così felice in vita mia, nemmeno quando mi hai detto che mi amavi più di quanto volessi uccidermi, nemmeno il primo mattino in cui ti ho trovato ad aspettarmi al mio risveglio... Nemmeno quando ho sentito la tua voce nella scuola di danza», trasalì al ricordo lontano del mio incontro ravvicinato con un vampiro a caccia, ma io continuai decisa, «e nemmeno quando hai detto "sì" e ho capito che, in un modo o nell’altro, sarei riuscita ad averti per sempre. Questi sono i miei ricordi più belli, ma nessuno vale quanto stanotte. Fattene una ragione».

Sfiorò le mie sopracciglia corrugate. «Sei triste per colpa mia. Non voglio».

«Allora non essere triste tu. È l’unico particolare sbagliato».

Mi guardò torvo, poi si rilassò e annuì. «Hai ragione. Il passato è passato e io non posso fare nulla per cambiarlo. Non ha senso che il mio malumore contagi anche te. Farò tutto il possibile per renderti felice».

Esaminai la sua espressione con sospetto e lui si aprì in un sorriso sereno.

«Proprio tutto?».

In quell’esatto istante il mio stomaco ruggì.

«Hai fame», rispose pronto Edward. Scattò giù dal letto, alzando una nuvola di piume. Il che mi fece ripensare...

«E perché mai avresti deciso di rovinare i cuscini di Esme?», domandai, mentre mi alzavo scrollando altre piume dai miei capelli.

Si era già infilato un paio di pantaloni larghi color kaki e accanto alla porta si scompigliava i capelli per togliersi di dosso altre piume.

«Non sono sicuro di aver "deciso" qualcosa, stanotte», mormorò. «Per nostra fortuna, erano i cuscini e non te». Scosse la testa, come per scrollare via un gran brutto pensiero. Il suo volto s’illuminò di un sorriso che sembrava davvero autentico, ma che probabilmente gli costava molto.

Con cautela scivolai giù dall’alto letto e mi stiracchiai di nuovo, più sensibile ai dolori e ai lividi. Lo sentii trattenere il respiro. Mi diede le spalle e strinse i pugni, le nocche bianche.

«Ti sembro così repellente?», domandai in tono volutamente leggero. Riprese a respirare, ma non si girò, forse per celarmi la sua espressione. Andai in bagno a controllare.

Guardai il mio corpo nudo nello specchio verticale dietro la porta.

Ne avevo viste di peggio, altroché. Su una guancia c’era un’ombra appena accennata, le labbra erano un po’ gonfie, ma tutto sommato la faccia era a posto. Il resto era decorato da macchie blu e viola. Mi concentrai sui lividi più difficili da nascondere, quelli sulle spalle e sulle braccia. Non erano così tremendi. La mia pelle guariva in fretta. Quando appariva un livido, avevo già dimenticato cosa l’avesse provocato. Ovviamente, questi erano appena all’inizio. Un giorno di tempo e il mio aspetto sarebbe peggiorato. Il che non avrebbe affatto facilitato le cose.

A quel punto mi guardai la testa e mi sfuggì un lamento.

«Bella?». Fu al mio fianco non appena aprii bocca.

«Non riuscirò mai a togliermele tutte dai capelli!». Indicai lì dove sembrava essersi annidata una gallina. Iniziai a sfilarle una per una.

«Proprio dei capelli ti preoccupi», brontolò, ma mi si avvicinò alle spalle e iniziò a estrarle molto più velocemente di me.

«Come fai a non ridere? Sono ridicola».

Non rispose e continuò a togliere le piume. Del resto, conoscevo la risposta: era troppo di malumore per ridere.

«Così non va», sospirai dopo un minuto. «Sono tutte appiccicate. Devo cercare di lavarle via». Mi voltai, abbracciandolo alla vita. «Mi aiuti?».

«Meglio che vada a prepararti da mangiare», disse a bassa voce e con delicatezza sciolse l’abbraccio. Sospirai mentre lo guardavo allontanarsi troppo veloce.

Sembrava proprio che la luna di miele fosse finita. Avvertii un grosso nodo alla gola.

Libera dalle piume, m’infilai un abito di cotone, bianco e poco familiare, che nascondeva le macchie viola più evidenti. Mi diressi a piedi scalzi verso il profumo di uova, pancetta e formaggio.

Edward stava davanti al fornello d’acciaio, intento a servire un’omelette sul piatto celestino posato sul piano cucina. Il profumo del cibo m’invase. Avevo così fame che avrei mangiato il piatto e la padella.

«Ecco», disse. Si voltò, con il sorriso sulle labbra, e spostò il piatto su un tavolino piastrellato.

Mi sedetti su una delle due sedie di ferro e iniziai a divorare le uova calde. Bruciavano in gola, ma non mi importava.

Lui si accomodò all’altro lato del tavolo. «Non ti do da mangiare abbastanza spesso».

Deglutii e risposi: «Stavo dormendo. A proposito, sono molto buone. Niente male, per uno che non mangia».