— Perfettamente. A esser sincero, sono affascinato. Si aspettava che provassi ripugnanza?
— Ai più è successo, sinora.
— I più sono sciocchi — disse Aoudad.
Non rivelò che da parecchie settimane seguiva Burris, col monitor, e aveva avuto tempo di corazzarsi contro la stranezza di quell’uomo. Che era strano, e repellente; ma consentiva l’assuefazione. Aoudad non era ancora maturo per chiedere una cura di bellezza analoga; ma era divenuto insensibile alle deformità di Burris.
— Mi può aiutare? — chiese Burris.
— Credo.
— Sempre che io abbia bisogno di aiuto.
— Presumo di sì.
Burris alzò le spalle. — Non ne sono sicuro. Dica pure che mi sto abituando al mio aspetto attuale. Fra pochi giorni potrei ricominciare ad andare all’aperto.
Mentiva, e Aoudad lo sapeva. Non poteva dire, con certezza, chi dei due volesse ingannare; ma, per quanto Burris in quel momento nascondesse l’amarezza sotto l’indifferenza, il suo visitatore sapeva che ne era ancora intossicato. Burris voleva uscire da quel corpo.
— Lavoro alle dipendenze di Duncan Chalk — disse Aoudad. — Conosce questo nome?
— No!
— Ma… — Aoudad ringoiò la sorpresa. — Ma certo, lei non ha trascorso molto tempo sulla Terra. Chalk procura divertimenti al mondo. Forse le è capitato di andare al Portico, o forse al Luna Tivoli.
— Ne ho sentito parlare.
— Sono due imprese di Chalk. Fra molte altre. Procaccia felicità a miliardi di persone nel nostro sistema. Sta anche progettando di espandersi tra breve ad altri sistemi. — Questo era un pizzico di fantasiosa iperbole, da parte di Aoudad, ma non c’era bisogno che Burris lo sapesse.
Burris disse: — E allora?
— Chalk è ricco, capisce. Ed è un filantropo. Buona combinazione. Contiene delle possibilità che le possono giovare.
— Le vedo già — disse Burris, con voce piana, sporgendo e intrecciando i tentacoli che si contorcevano in cima alle sue dita. — Mi ingaggiate per mostrarmi nei baracconi di Chalk. Mi pagate otto milioni all’anno. Tutti i curiosi del sistema accorrono a vedere. Chalk diventa un po’ più ricco, io divento milionario e muoio felice. E le piccole curiosità delle masse sono soddisfatte. È così?
— No — disse Aoudad, allarmato dal fatto che Burris fosse andato così vicino alla verità. — Sicuramente, lei vuol scherzare. Deve sapere che è inconcepibile che il signor Chalk voglia sfruttare in tal modo la sua… ehm… disgrazia.
— Ritiene che sia una tal disgrazia? — chiese Burris. — Così, sono straordinariamente efficiente. Certo, soffro; ma posso rimanere sott’acqua per quindici minuti. Può fare lo stesso, lei? Prova compassione per me?
Non mi devo lasciar fuorviare, decise Aoudad. È diabolico, costui. Andrebbe d’accordo con Chalk.
E disse: — Sono molto lieto di apprendere che lei trova discreta la sua condizione attuale. Tuttavia… Mi permetta di parlarle schiettamente: ho il sospetto che sarebbe felice di tornare a una forma umana normale.
— Lei crede?
— Sì.
— Un intuito notevole, signor Aoudad. E dica, ha portato con sé la bacchetta magica?
— Niente magia. Ma se lei è disposto a dare un quid per il nostro quo, fórse Chalk potrebbe combinare di farla trasferire in un corpo più convenzionale.
Effetto immediato, elettrico.
Burris smise di affettare una disinvolta indifferenza, lasciò da parte l’ironico distacco dietro al quale (come Aoudad poté vedere) si celava l’angoscia. Il suo corpo vibrò, come un fiore di cristallo risonante a un soffio di brezza. Gli sfuggì, per un attimo, il controllo muscolare. Sulla sua bocca, cancellato con le bande che sbattevano, guizzarono sorrisi laterali, e le ante degli occhi scattarono una decina di volte.
— Come si può fare…? — domandò Burris.
— Lasci che glielo spieghi Chalk.
La mano di Burris colpì di punta la coscia di Aoudad. Questi non arretrò a quel contatto metallico. Burris disse con voce rauca: — È una cosa fattibile?
— Può esserlo. La tecnica non è ancora messa a punto perfettamente.
— Devo fare ancora da cavia?
— Per favore! Chalk non la esporrebbe ad altre angosce. Prima che il processo venga applicato su di lei ci sarà un supplemento di ricerche. Vuol parlare con lui?
Un’esitazione. E di nuovo gli occhi e la bocca parvero muoversi all’infuori della volontà di Burris. Poi l’astronauta si dominò. Si raddrizzò a sedere, incrociando le gambe, intrecciando le mani. Aoudad si chiese quante articolazioni avesse al ginocchio. Burris taceva. Calcolava. Un’ondata di elettroni nei meandri del cervello torturato.
Disse: — Se Chalk può mettermi in un altro corpo…
— Sì?
— Che cosa ne ricaverà?
— Le ho già detto, è un filantropo. Sa che lei soffre. Vuol fare qualcosa. Vada a trovarlo, Burris. Lasci che lo aiuti.
— Chi è lei, Aoudad?
— Nessuno. Un braccio di Duncan Chalk.
— È una trappola?
— Lei è troppo diffidente — disse Aoudad. — Abbiamo le migliori intenzioni.
Silenzio. Burris si alzò, andando avanti e indietro per la stanza col suo passo particolare, scivolato, liquido. Aoudad rimaneva immobile e teso.
— Da Chalk — mormorò infine Burris. — Sì, mi porti da Chalk.
8
Stabat Mater
Al buio Lona si fingeva morta facilmente. Piangeva spesso sulla propria tomba. Si vedeva sul fianco di un pendio, su un tumulo erboso, e con una minuscola lapide inserita nel suolo ai suoi piedi.
QUI GIACE.
VITTIMA.
UCCISA DAGLI SCIENZIATI.
Tirava sul corpo esile il copriletto, chiudendo stretti gli occhi per trattenere le lacrime. RIPOSO BENEDETTO, SPERANZA DI REDENZIONE. Che cosa ne facevano, oggi, dei cadaveri? Li scaricavano nella fornace! Una vampata luminosa. Come il sole. E poi, polvere. Polvere sei, polvere tornerai. Un lungo sonno.
Una volta (ricordò Lona) ero quasi morta. Ma mi hanno fermata. Mi hanno riportata indietro.
Sei mesi prima, in piena calura estiva. Buona stagione per morire, pensava Lona. I suoi bambini avevano visto la luce. Nel modo adottato, cioè con la gestazione in bottiglie, non c’erano voluti nove mesi. Sei, piuttosto. L’esperimento si era svolto esattamente da un anno. Sei mesi perché i bambini si schiudessero. Poi una pubblicità insopportabile. E lo scontro con la morte volontaria.
Perché avevano scelto proprio lei?
Perché era lì. Perché era disponibile. Perché non poteva fare obiezioni. Perché portava nel ventre una carrettata di uova delle quali probabilmente non avrebbe mai avuto bisogno.
— Le ovaie di una donna ne contengono varie centinaia di migliaia, signorina Kelvin. Nel corso della sua vita normale, ne giungeranno a maturazione circa quattrocento. Le altre sono superflue. Sono quelle che desideriamo usare. Ce ne occorrono solo poche centinaia…
— In nome della scienza…
— Un esperimento d’importanza decisiva…
— Sono uova superflue. Lei può farne a meno senza provarne alcun senso di perdita…
— La storia della medicina… il suo nome… per sempre…
— Nessuna ripercussione sulla sua fecondità futura. Si può sposare e avere una dozzina di bambini normali…
L’esperimento era complesso, con molte sfaccettature. Avevano avuto circa un secolo per studiare e perfezionare gli aspetti tecnici, e ora li riunivano in un solo progetto. Ovogenesi naturale unita a maturazione sintetica delle uova. Induzione di embrioni. Fecondazione esterna. Incubazione extramaterna dopo ripristino in sito delle uova fecondate. Parole. Suoni. Qualificazione sintetica. Sviluppo fetale ex utero. Identità del materiale genetico. I miei bambini! I miei bambini!