L’espressione placida di Chalk non cambiò.
Egli esaminava Burris attentamente, con profondo interesse e senza ombra di ripugnanza. A un suo cenno di congedo Aoudad e d’Amore sparirono, lasciandoli soli nell’enorme sala in penombra.
— Le hanno fatto un bel lavoro! — commentò Chalk. — Ha un’idea del perché?
— Pura curiosità. E anche il desiderio di perfezionare. Nel loro modo inumano, sono molto umani.
— Che aspetto hanno?
— Butterati. Coriacei. Preferirei non parlarne.
— Sta bene. — Chalk non si era alzato. Burris stava in piedi dinanzi a lui e i piccoli tentacoli delle mani conserte si annodavano e si scioglievano. Sentì una sedia dietro di sé, e si sedette senza essere invitato.
Disse: — Che magnifici uffici!
Chalk lasciò correre il complimento. Disse: — Fa male?
— Che cosa?
— Questo cambiamento?
— Procura un malessere notevole. Gli analgesici terrestri non giovano. Il sistema nervoso è sottosopra e qui nessuno sa bene dove applicare i blocchi. Ma è sopportabile. Si dice che gli arti degli amputati continuino a pizzicare per anni, dopo essere stati tagliati. Dev’essere una sensazione analoga, suppongo.
— Le hanno tagliato qualche parte del corpo?
— Tutte, dalla prima all’ultima — disse Burris. — Poi le hanno rimesse insieme, diversamente. I sanitari che mi hanno esaminato erano assai ammirati delle mie giunture. Anche dei tendini e legamenti. Queste son le mie mani, originali, un po’ ritoccate. Per il resto, non sono realmente sicuro di quanto sia mio e di quanto sia loro.
— E internamente?
— Tutto diverso. Un caos. Si sta stendendo una relazione. Non sono tornato sulla Terra da molto tempo. Mi hanno esaminato per un po’, poi mi sono ribellato.
— Perché?
— Stavo diventando un oggetto. Non solo ai loro occhi, ma anche ai miei. Ma non sono un oggetto. Sono un essere umano che è stato ricomposto. Nell’intimo, continuo a essere umano. Se lei mi punge, sanguino. Che cosa può fare per me, Chalk?
Una mano carnosa venne agitata. — Un po’ di pazienza. Desidero saperne di più sul suo conto. Era un ufficiale spaziale?
— Sì.
— Veniva dall’accademia?
— Naturalmente.
— Deve avere avuto dei voti eccellenti. Le hanno dato degli incarichi difficili. E lo sbarco su pianeti abitati da esseri intelligenti… Non è certo uno scherzo. In quanti eravate?
— In tre. Sottoposti tutti e tre a operazione chirurgica. Prima è morto Prolisse, poi Malcondotto. Hanno avuto fortuna.
— Il suo corpo attuale le è sgradito?
— Offre qualche vantaggio. I medici dicono che vivrò probabilmente cinquecento anni. Ma è penoso e anche imbarazzante. Non ero assolutamente fatto per essere un mostro.
— Non è brutto come forse lei crede — obiettò Chalk. — Oh, sì, i bambini che scappano urlando, eccetera eccetera. Ma i bambini sono conservatori. Odiano qualsiasi novità. Secondo me, il suo viso ha un fascino notevole. Direi che una quantità di donne sarebbero pronte a gettarsi ai suoi piedi.
— Non so. Non ho provato.
— Esiste un certo fascino del grottesco, Burris. Io, nascendo, pesavo più di sei chili. Il mio peso non ha mai costituito un intralcio. Lo considero un bene patrimoniale.
— Lei ha avuto tutta una vita per abituarsi alla sua mole — disse Burris. — Vi si è adattato in mille modi, è anzi ha voluto essere com’è. Io sono vittima di un capriccio incomprensibile. Di una sopraffazione. Mi hanno violentato, Chalk.
— Vuole che tutto ciò venga annullato?
— Lei che ne pensa?
Chalk annuì. Le sue palpebre si abbassarono, e parve che fosse caduto a un tratto in un sonno profondo. Burris attese, perplesso. Più di un minuto trascorse così. Senza muoversi affatto, Chalk disse: — Ci sono dei chirurghi, qui sulla Terra, capaci di effettuare con successo il trapianto del cervello, da un corpo a un altro.
Burris sussultò, colto da una crisi di eccitazione febbrile. Dentro il suo corpo, un nuovo organo iniettò spruzzi di un ormone ignoto, nella cavità estranea accanto al suo cuore. Ebbe le vertigini. Annaspò nei frangenti di una risacca che lo scagliava a ripetizione sulla sabbia abrasiva di una spiaggia.
Chalk proseguì con calma: — Posso darle i particolari tecnici dell’operazione, se le interessano.
I tentacoli, sulle mani di Burris, si contorcevano, incontrollati.
— Non è gran cosa — concedette Chalk — se la paragoniamo a quel che è stato fatto su di lei. Ma l’operazione è stata eseguita con successo sui mammiferi superiori. Anche sui primati.
— E su esseri umani?
— No.
— Allora…
— Si sono usati casi terminali. Cervelli trapiantati in individui appena deceduti. Ma in questo modo le probabilità sfavorevoli sono troppe. Ciò non toglie che talvolta si è andati a un pelo dal successo. Altri tre anni, Burris, e gli esseri umani scambieranno cervello con la stessa facilità con cui oggi scambiano gambe e braccia.
Burris non era contento di quelle sensazioni di ansiosa attesa che lo attraversavano con grande tumulto. La temperatura della sua pelle era spiacevolmente alta. Aveva pulsazioni in gola.
Chalk disse: — Per lei, costruiamo un duplicato sintetico, che riproduca per quanto possibile il suo aspetto originale. Mettiamo insieme un “golem”, capisce, prelevando le parti dalla banca anatomica, ma senza includervi il cervello. In questo montaggio trapiantiamo il suo cervello. Ci saranno delle differenze, naturalmente, ma lei sarà, in sostanza, tutto intero. La interessa?
— Non mi tormenti, Chalk.
— Le do la mia parola che parlo seriamente. Due problemi di ordine tecnico si frappongono. Dobbiamo ancora mettere a punto la tecnica di montaggio totale del “recipiente”, e dobbiamo tenerlo in vita fino a quando non si possa eseguire il trapianto con successo. Ho già detto che occorreranno tre anni per superare il secondo ostacolo. Diciamo altri due per poter costruire il “golem”. Cinque anni, Burris, e lei sarà di nuovo un essere umano.
— Che cosa costerà?
— Forse cento milioni. Forse più.
Burris rise aspramente, e la sua lingua, così simile, ora, a quella di un serpente, apparì in un guizzo.
Chalk disse: — Sono disposto ad accollarmi l’intera spesa della sua riabilitazione.
— Non mi racconti favole.
— La prego di far credito alle mie risorse. È disposto a separarsi dal suo corpo attuale se, dal canto mio, le posso fornire qualcosa che si avvicini di più alla norma umana?
Burris non si aspettava che nessuno gli rivolgesse mai una domanda simile. Rimase sconcertato per la forte esitazione che provava. Detestava quel corpo e gemeva sotto il peso di ciò che gli era stato fatto, tuttavia… Stava forse avviandosi ad amare la propria straniazione?
Dopo un breve silenzio, disse: — Quanto prima riesco a spogliarmene, tanto meglio.
— Bene. Ora c’è il problema di farle passare i cinque anni circa che ci vorranno. Le propongo di lasciarci fare un tentativo per modificare almeno l’aspetto del suo viso, di modo che lei possa andare un po’ d’accordo con la società, fino a quando non potremo operare il trasferimento. Ciò la interessa?
— Non è fattibile. Ho già esaminato questa idea con i medici che mi hanno visitato al mio ritorno. Io sono un guazzabuglio di strani anticorpi e qualsiasi trapianto provocherà una crisi di rigetto.
— Crede che sia così? Oppure le dicevano una bugia di comodo?
— Credo che sia così.
— Lasci che la mandi in un ospedale — suggerì Chalk. — Faremo qualche accertamento per avere conferma della diagnosi precedente. Se così è, così sarà. Altrimenti le potremmo rendere la vita un po’ più facile. Sì?
— Perché fa questo, Chalk? Che cosa chiede in cambio?
L’uomo grasso girò sulla sedia e si sporse in avanti fino ad avere gli occhi a pochi centimetri dal viso di Burris. Questi passò in rassegna le labbra stranamente delicate, il naso fine, le guance immense, le palpebre gonfie. A bassa voce, Chalk mormorò: — Il prezzo è alto. Lei ne sarà nauseato fino al midollo. Respingerà l’accordo.