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Si aggrappò a lui.

Finalmente! Finalmente!

Non le avrebbe dato dei bambini. Lei lo intuiva e non ne era turbata.

— Lona — disse egli, premendole il viso contro la clavicola e con voce che giungeva soffocata e roca. — Lona, Lona, Lona…

Ci fu una luminosità, come per l’esplosione di un sole. Lei fece scorrere la mano sulla sua schiena e le balenò in mente che quella pelle era asciutta, senza sudore. Poi, in una convulsa unità, dolore e piacere la soffocarono, e udì con stupore il proprio grido alto e frenetico.

20

Il bello verrà dopo

L’epoca era post-apocalittica. Si era vaticinato un giudizio universale; ma non era venuto o, se mai c’era stato, il mondo gli era sopravvissuto e conosceva tempi più tranquilli. I profeti avevano predetto il marasma di un malcontento, un’età dell’ascia, della spada, del vento e del lupo, tale da scuotere il mondo; invece le difese non erano crollate, le tenebre non erano scese. Come mai? Che cos’era accaduto? Duncan Chalk, uno di coloro che dall’epoca nuova ricavavano immensi guadagni, ponderava spesso su questo piacevole interrogativo.

Ora le spade erano aratri.

La fame era debellata.

La popolazione era sotto controllo.

L’uomo non inquinava più l’ambiente in ogni suo gesto quotidiano. I cieli erano relativamente puri, i fiumi scorrevano limpidi, c’erano laghi azzurri e cristallini, parchi di un verde smagliante. Certo, non era ancora l’età dell’oro; il delitto, la malattia e persino la miseria esistevano tuttora. Ma solo negli angoli bui.

Per i più, quella era un’epoca di agiatezza. Chi si ostinava a prevedere una crisi futura, se l’aspettava proprio da questo. Però le telecomunicazioni erano istantanee con qualsiasi punto del globo; per andarci, occorreva un po’ più di tempo, ma poco. Si saccheggiavano i pianeti, non abitati, del locale sistema solare, portandone via i metalli, i minerali, anche i gas del sottosuolo. Le stelle viciniori erano raggiunte. La Terra prosperava. E, in tempi di abbondanza come quelli, le ideologie pauperistiche sfiorivano.

L’abbondanza, tuttavia, è un concetto relativo. Sussistevano bisogni, invidie: tutte le spinte materialistiche. Inoltre, la forza di un pingue assegno non bastava sempre, per appagare gli appetiti più profondi e oscuri.

Ogni epoca si crea delle forme di divertimento caratteristiche. Chalk era uno di coloro che le avevano fatte nascere, nel proprio tempo. Il suo impero degli svaghi comprendeva metà del sistema. Gli procurava ricchezza, potenza, soddisfazione personale e celebrità per quel tanto che la desiderava. Indirettamente, quell’impero gli permetteva di appagare dei bisogni che nascevano dalla sua composizione fisica e psicologica e che, in un’altra epoca, sarebbero stati un grave impaccio. Ora, invece, per sua fortuna, era in grado di fare il necessario.

Doveva nutrirsi spesso. E il suo nutrimento era solo in parte costituito da carne e vegetali.

Dal centro del suo impero, Chalk seguiva, adesso, le azioni della sua sventurata coppia di amanti. Erano in viaggio, alla volta dell’Antartide. Egli riceveva regolarmente i rapporti di Aoudad e Nikolaides, quegli avvoltoi librati sul letto dell’amore. Ma ormai Chalk non aveva più bisogno che fossero i suoi lacché a dirgli quel che accadeva. Aveva stabilito pienamente il contatto e ricavava il suo speciale genere di informazione direttamente da quei due esseri spezzati che aveva riunito.

Per ora ne ricavava solo una risciacquatura insipida di felicità. Del tutto inservibile, per Chalk. Ma egli giocava con pazienza la sua partita. La compassione reciproca li aveva avvicinati l’uno all’altra; ma la compassione era forse una buona base per un amore imperituro? Chalk non lo credeva. Era disposto a scommetterci una fortuna. Sarebbero cambiati, a vicenda. E Chalk, per così dire, avrebbe riscosso i suoi dividendi.

Ma ecco che la voce di Aoudad si inseriva nel circuito. — Stiamo arrivando, signore. In questo momento, li portano in albergo.

— Bene, bene. Provvedi affinché godano di ogni comodità.

— Naturalmente.

— Ma non stare troppo appiccicato alle loro calcagna. Hanno bisogno di essere soli, non di essere menati in giro da paraninfi. Mi hai capito, Aoudad.

— Avranno il Polo tutto per loro.

Chalk sorrise. Avrebbero fatto un giro turistico che era un sogno d’innamorati. Quell’epoca era elegante e coloro che avevano la chiave adatta potevano aprire tutte le innumerevoli porte dei piaceri. Burris e Lona si sarebbero divertiti.

L’apocalisse poteva aspettare.

21

Il richiamo del sud

— Non capisco — disse Lona. — Come mai, qui, è estate? Quando siamo partiti, era inverno!

— Nell’emisfero boreale, sì — sospirò Burris. — Ma adesso siamo sotto l’equatore. Anzi, più sotto di così non potremmo essere. Qui le stagioni sono alla rovescia. Quando da noi è estate, qui hanno l’inverno. E adesso è l’estate di qui.

— Va bene, ma perché?

— C’entra il modo in cui la Terra è inclinata sul suo asse. Mentre gira intorno al sole, una parte del pianeta viene a trovarsi in posizione favorevole per essere riscaldata dalla luce solare, e una parte no. Se avessimo qui un globo, potrei mostratelo in pratica.

— Però, se qui è estate, perché c’è tanto ghiaccio?

Più delle domande, lo infastidiva la voce esile e un po’ querula con la quale le faceva. Burris si girò di scatto verso di lei. Il suo diaframma subiva una contrazione spasmodica, organi misteriosi gli spremevano nel sangue secrezioni colleriche.

— In malora, Lona! Ma non sei andata a scuola?

Lei si ritrasse. — Non alzare la voce con me, Minner. No, per favore.

— Non ti hanno insegnato niente?

— Ho abbandonato la scuola, di buon’ora. Non ero un’eccellente scolara.

— E adesso ti devo fare da maestro?

— Non sei obbligato — disse Lona, piano, con occhi troppo lucidi. — Con me, non sei obbligato a far niente, se non vuoi.

Egli si mise di colpo sulla difensiva. — Non intendevo alzar la voce.

— Ma l’hai alzata.

— Ho perso la pazienza. Tutte quelle domande…

— Tutte quelle domande stupide. Non è questo che avevi voglia di dire?

— Lona, smettiamo. Mi dispiace di aver perso le staffe. La notte scorsa ho dormito male e ho i nervi in malora. Facciamo una passeggiata, e cercherò di spiegarti le stagioni.

— Non ci tengo più tanto, Minner.

— Niente stagioni, allora; ma camminiamo. Cerchiamo di calmarci.

— Credi forse che io abbia dormito molto la notte scorsa?

Egli ritenne che fosse venuto il momento di sorridere. — Direi di no. Non hai dormito molto.

— E mi metto forse a gridare e a lamentarmi?

— Per l’esattezza, sì. Perciò, tronchiamo qui il discorso e distendiamoci i nervi con una camminata. D’accordo?

— D’accordo — disse lei, risentita. — Una passeggiatina estiva.

— Una passeggiatina estiva.

Si infilarono dei leggeri termocappotti, con cappuccio e guanti. Per quella parte del mondo, faceva una temperatura mite: alcuni gradi sopra zero. L’Antartide subiva un’ondata di calore. L’albergo polare di Chalk sorgeva poche decine di miglia a nord del Polo (né, come ogni altra cosa, poteva essere altrove che a nord), nella direzione del banco di Ross. La sua vasta e appiattita cupola geodesica aveva la consistenza adatta per difenderlo dai rigori della notte polare e per lasciar circolare la tipica atmosfera dell’Antartide.

Attraverso una doppia cella di uscita, passarono all’esterno, nel regno dei ghiacci. La cupola era circondata da una cintura marrone, larga tre metri, di terreno nudo, posto in sito dai costruttori come fascia isolante. Appena Burris e la ragazza sbucarono fuori, un cicerone corpulento si avvicinò in fretta, sorridente.