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— Ma qui è estate. Dovrebbero avere il nido.

— Nidificano a metà dell’inverno. I piccoli pinguini vengono fuori in giugno e in luglio: il periodo più buio e più freddo dell’anno. Se volete vedere dei pinguini, prenotatevi per la gita della Costa di Adélie. Lì, li vedrete.

Durante la lunga corsa in motoslitta per tornare all’albergo, Burris sembrava di buon umore. Stuzzicò Lona con allegria e, a un certo punto, fermata apposta la slitta, fecero gli scivoloni su un pendio di neve liscia come il vetro. Giungendo più vicino all’albergo-rifugio, Lona osservò che Burris subiva un cambiamento. Era come l’annuncio del crepuscolo; ma non c’erano crespuscoli al Polo, in quella stagione. Burris si rabbuiò: il suo viso divenne rigido, egli smise di ridere e scherzare. Quando infine passarono le doppie porte per entrare, era come sbozzato nel ghiaccio.

— Che cos’hai? — chiese lei.

— Chi ha detto che ho qualcosa?

— Ti spiacerebbe di offrirmi da bere?

Andarono nella sala da cocktail. Era un ambiente grande, con rivestimenti di legno alle pareti e un caminetto vero, per conferirgli un’autentica aria del ventesimo secolo. Una ventina di persone, sedute ai pesanti tavolini di quercia, chiacchieravano e bevevano. Erano tutte coppie, osservò Lona. Quello era un posto quasi esclusivamente da luna di miele. I giovani sposi vi si recavano per cominciare la loro vita matrimoniale nella purezza glaciale dell’Antartide. A quanto pareva, si poteva fare dell’ottimo sci nei monti della Terra di Marie Byrd. Le teste si girarono nella direzione di Burris e Lona, quando entrarono. E altrettanto prontamente si volsero altrove, in un rapido riflesso di revulsione. Oh, come ci spiace! Non intendevamo stare a fissarvi! Probabilmente un uomo come lei non gradisce che la gente lo fissi. Ma noi guardavamo solo per vedere se erano venuti giù i signori Smith, a bere qualcosa con noi.

— Lo spettro al festino di nozze — mormorò Burris.

Lona non era sicura di aver udito bene; ma non gli chiese di ripetere.

Un robot-cameriere venne a chiedere che cosa desideravano bere. Lei si fece portare della birra, lui del rum. Sedevano, soli a un tavolino laterale, appartato, e non trovavano, tutt’a un tratto, niente da dirsi. Intorno, il brusio delle conversazioni sembrava troppo forte, non naturale: discorsi sulle future vacanze, sugli sport, sulle numerose gite possibili da quel luogo.

Nessuno si avvicinò per sedersi con loro.

Burris stava rigido, impettito, tenendo le spalle in un modo che, come Lona sapeva, doveva fargli male. Finì rapidamente il suo bicchiere e non ne ordinò un altro. Fuori il pallido sole rifiutava di tramontare.

— Come sarebbe bello, qui, un tramonto romantico! — disse Lona. — Strisce azzurre e oro sul ghiaccio. Ma non verrà, vero?

Burris sorrise. Non rispose.

Il movimento di persone che entravano o uscivano era continuo: una corrente, che girava al largo del loro tavolo. Essi erano come macigni in mezzo a un fiume. Tutt’intorno c’erano strette di mano e scambi di baci. Lona udiva le persone che si presentavano a vicenda. In un posto del genere, le coppie fanno conoscenza con altre coppie, senza troppe formalità, sicure di uno scambio di calda simpatia.

Nessuno veniva, senza troppi complimenti, a fare conoscenza con loro.

— Sanno chi siamo — disse Lona a Burris — e ritenendoci delle celebrità, troppo importanti, temono di seccarci e ci lasciano in pace.

— Va bene.

— Perché non ci facciamo avanti noi? Rompiamo il ghiaccio, dimostriamo di non essere scostanti.

— Meglio di no. Restiamocene seduti qui.

Lona credeva di sapere quale tarlo lo rodesse. Lui si immaginava che la gente li evitasse perché era brutto, o almeno strano a vedersi. Perché nessuno voleva esser costretto a guardarlo dritto in faccia. E non si può mica far conversazione distogliendo lo sguardo, sistematicamente, dall’interlocutore! Perciò la gente stava alla larga. Era questo il fatto che lo turbava? Lo riprendeva la timidezza? Non glielo chiese. Lona credeva di poter fare qualcosa, a tal riguardo.

Tornarono in camera circa un’ora prima di cena. La camera consisteva di un solo ambiente, finto rustico. Le pareti erano fatte di tronchi grezzi, ruvidi; ma l’aria era accuratamente condizionata e c’erano tutte le comodità moderne. Egli stava seduto, e non diceva niente. Dopo un po’, si alzò in piedi e cominciò a esaminarsi le gambe, facendole oscillare avanti e indietro. Era, adesso, d’umore così nero che Lona ne ebbe paura.

Disse: — Scusami. Torno subito.

— Dove vai?

— A vedere le gite in programma per domani.

La lasciò andare. Lei percorse il corridoio in curva, fino all’atrio principale. A metà strada, uno schermo gigantesco faceva vedere un’aurora australe per un gruppo di clienti dell’albergo. Forme verdi, rosse, viola saettavano attraverso uno sfondo neutro, grigio. Sembrava la fine del mondo.

Nell’atrio, Lona raccolse una manciata di volantini sulle gite. Poi tornò nella sala con lo schermo. Vide una coppia che prima era nella sala da cocktail. La donna aveva poco più di vent’anni. Era bionda, con delle striature verdi che partivano artisticamente dall’attaccatura dei capelli. Aveva uno sguardo calmo e freddo. Il marito (ammesso che fosse il marito) era più vecchio, e indossava una tunica che sembrava costosa. Un anello a moto perpetuo, venuto da un altro mondo dello spazio, si contorceva alla sua mano sinistra.

Lona, facendosi coraggio, si avvicinò a loro, sorridente.

— Buona sera. Sono Lona Kelvin. Forse ci avete notati nella sala.

Le risposero dei sorrisi sforzati, un po’ impauriti. Quelli stavano pensando: “Ma che vuole da noi?”.

Si presentarono a loro volta. Lona non afferrò i nomi, ma non aveva importanza.

Disse: — Pensavo che forse sarebbe simpatico se cenassimo in quattro allo stesso tavolo, stasera. Credo che trovereste Minner molto interessante. È stato su un così gran numero di pianeti…

Ebbero l’aria di sentirsi intrappolati. La bionda moglie era quasi in preda al panico. Il mellifluo marito venne abilmente alla riscossa.

— Ne saremmo lietissimi… altri impegni… degli amici venuti dalla nostra stessa città… forse un’altra sera…

Le tavole non erano soltanto a due o a quattro posti, e neanche a sei. C’era sempre la possibilità di aggiunte a volontà. Lona, mortificata, sapeva adesso quel che Burris aveva percepito varie ore prima. Essi non erano bene accetti. Lui era l’uomo col malocchio, che riversava la sventura sulla loro festosità. Tenendo stretti i suoi volantini, Lona si affrettò a tornare in camera. Burris, davanti alla finestra, guardava fuori la neve.

— Vieni a esaminare con me questi prospetti, Minner. — La sua voce aveva un timbro troppo acuto.

— Ce n’è qualcuno che ti pare interessante?

— Tutti, direi. Non so proprio qual è il migliore. Fai tu la scelta.

Seduti sul letto, fecero passare i foglietti lucidi. C’era la gita alla Costa di Adélie, mezza giornata, per vedere i pinguini. Una gita di un giorno intero al banco di Ross, compresa la visita alla Piccola America e alle altre basi di esplorazione del McMurdo Sound. Tappa speciale per vedere l’Erebus, un vulcano attivo. Oppure una gita più lunga, su per la Penisola dell’Antartide, dove si vedevano le foche e i leopardi di mare. L’escursione sciatoria alla Terra di Marie Byrd. Il viaggio nelle montagne costiere e attraverso la Terra Vittoria fino al ghiacciaio di Mertz, che si stende come una lingua in mare. E una decina di altri. Scelsero la gita con i pinguini, e poi, quando scesero per la cena, si prenotarono.

Cenarono a un tavolo da soli.

Burris disse: — Parlami dei tuoi bambini, Lona. Li hai mai visti?