Con uno sforzo consapevole provocò l’inizio del mutamento di fase. I suoi occhi si regolarono sulla luce della stanza. Non aveva più la retina; ma le piastre focali incastrate a contatto del cervello la sostituivano discretamente. Guardò il suo io di un tempo.
Alto, largo di spalle, ben piantato, con muscoli robusti e folti capelli color sabbia. Così era stato. Così era adesso. I chirurghi di un altro mondo avevano lasciato intatta la struttura sottostante. E cambiato tutto il resto.
Di fronte a lui, la sua immagine aveva un viso quasi altrettanto largo che alto, con zigomi pronunciati, orecchie piccole e occhi scuri, ben distanziati. Le labbra erano di quel tipo che si serra facilmente a formare una linea un po’ aggressiva. Un leggero spolverio di lentiggini era disseminato sulla pelle; quasi dappertutto era coperto di pelo dorato e fine. Dava, nel complesso, l’impressione del normale tipo virile: un uomo piuttosto forte, piuttosto intelligente, piuttosto abile, che in un gruppo poteva risaltare non in virtù di una dote vistosa ma di una costellazione di doti poco appariscenti. Il successo con le donne, presso gli altri uomini, nella sua professione, accompagnava quel genere di trionfale e semplice prestanza.
Ora, tutto ciò era scomparso.
Burris disse piano: — Senti, non è per commiserarmi. Se piagnucolo, prendimi a calci. Ma ti ricordi quando vedevamo un gobbo? O un uomo senza naso, una ragazza rattrappita con la testa incassata e le braccia corte? Anomalie, vittime? Ci chiedevamo che impressione si provasse, a essere mostruosi.
— Non sei mostruoso, Minner. Solo diverso.
— Va’ in malora, tu e la tua puzzolente semantica! Adesso sono una cosa che si guarda con occhi attoniti. Sono un mostro. Sono uscito di colpo dal tuo mondo per entrare in quello dei gobbi. Questi sanno perfettamente che non possono sfuggire a tutti quegli occhi. Hanno cessato di avere un’esistenza individuale, si confondono con la loro deformità.
— Inventi, Minner. Come puoi saperlo?
— Perché mi accade. Tutta la mia vita, ora, è raccolta intorno a ciò che mi è successo. Non ho altra esistenza. È il fatto centrale, unico. Come si fa a scindere il danzatore dalla sua danza? Io non posso. Se mai uscissi, sarei continuamente in mostra.
— Un gobbo ha tutta la vita per abituarsi, e dimentica la gobba. Per te, la tua faccenda è ancora una novità. Pazienza, Minner. Troverai un’intesa. Dimenticherai gli occhi che ti fissano.
— Tra quanto tempo? Tra quanto?
Ma l’apparizione era svanita. Burris perlustrò la stanza, producendo con sforzo vari spostamenti d’intensità visiva; ma era solo. Si alzò a sedere, sentendo una puntura di aghi sui nervi. Ogni suo movimento era accompagnato da un grappolo di disturbi fisici. Il suo corpo gli era sempre presente.
Scese dal letto, alzandosi in un solo movimento fluido. Questo corpo mi fa male, si disse, ma è efficiente. Devo arrivare ad amarlo.
Si fermò al centro della stanza.
L’autocommiserazione, pensò Burris, è la fine di tutto. Non devo rotolarmici. Devo trovare un’intesa. Adattarmi.
Uscire, fuori, nel mondo.
Ero forte, e non solo fisicamente. Tutta la mia forza, quella forza, se ne è forse andata?
Dentro di lui si innestavano e disinnestavano le serpentine. Infinitesimali valvole di sicurezza emettevano ormoni misteriosi. Le cavità del suo cuore eseguivano una danza complicata.
Qualcuno mi osserva, pensò Burris. E che osservi pure! Che si riempia la vista!
Con un colpo violento della mano, riattivò il contatto e si guardò nudo, nello specchio.
3
Brontolii sotterranei
— Se facessimo cambio? — disse Aoudad. — Tu sorvegli Burris. Io sorveglierò la ragazza. Che ne dici?
— Nop! - Nikolaides fece schioccare energicamente la consonante in più. — Chalk ha dato a te lui, a me lei. Che è una barba, comunque. Perché scambiarceli?
— Mi ha stufato.
— Impara a sopportarlo — gli consigliò Nikolaides. — Le cose sgradevoli formano il carattere.
— Tu ascolti Chalk da troppo tempo.
— Non si può dire lo stesso di tutti noi?
Sorrisero. Non ci sarebbe stato un baratto di responsabilità. Aoudad diede un colpo alla levetta del commutatore e la vettura in cui viaggiavano tagliò netto da una rete maestra di comunicazione all’altra. Si mise a sfrecciare come un razzo verso nord a duecentoquaranta all’ora.
Aoudad aveva progettato personalmente quella vettura, per uso personale di Chalk. Costituiva, più o meno, un grembo materno, foderato di fibre rosee e spugnose e provvisto di ogni specie di comodità, tranne i gravitroni. Ultimamente, Chalk se ne era stancato e non sdegnava di permettere che i suoi sottoposti se ne servissero. Aoudad e Nikolaides vi viaggiavano spesso. Ciascuno dei due si riteneva il collaboratore più stretto di Chalk, e in silenzio considerava l’altro un leccapiedi. Era un’utile illusione reciproca.
L’importante stava nel formarsi in qualche modo un’esistenza indipendente da Duncan Chalk. Chalk esigeva per sé tutte le ore in cui una persona era sveglia e non era alieno dallo sfruttarla, se poteva, nel sonno. Tuttavia rimaneva sempre qualche frammento di vita in cui si era separati dal grassone e ci si poteva considerare degli esseri umani a tutto tondo, e autonomi. La soluzione, per Nikolaides, stava nello sforzo fisico: sci d’acqua sui laghi, escursioni sull’orlo delle solfatare, canoa volante, esercitazioni in deserto. Anche Aoudad aveva scelto lo sforzo, ma di un tipo più amabile; a gambe allargate e piedi a contatto, le sue donne avrebbero formato una ghirlanda attraverso vari continenti. Anche d’Amore e gli altri avevano le proprie valvole di sicurezza personali. Chalk divorava chi non ne avesse.
Era ricominciato a nevicare. I fiocchi leggeri svanivano appena toccavano terra, ma la rotaia di scorrimento era sdrucciolevole. I servomeccanismi intervenivano rapidamente a raddrizzare la vettura. I due passeggeri reagivano in modo diverso. Il pericolo potenziale, per quanto minimo, eccitava Nikolaides, mentre Aoudad pensava tetramente alle cosce bramose che lo attendevano se sopravviveva al viaggio.
Nikolaides disse: — A proposito di quella proposta di baratto…
— Lascia correre. Un no è un no.
— Voglio solo sapere. Dimmi, Bart, ti interessa il corpo della ragazza?
Aoudad si ritrasse con uno sfoggio eccessivo di innocenza. — Ma per chi diavolo mi prendi?
— Io ti conosco. Come tutti, del resto. Tiro solo a indovinare. Ti è forse saltato in mente che se ci scambiamo gli incarichi e Lona passa a te, potresti averla?
Sprizzando rabbia, Aoudad disse: — Ci sono delle donne per le quali traccio una linea divisoria. Non andrei mai a immischiarmi con lei. Per l’amor di Dio, Nick! Quella ragazza è troppo pericolosa. Diciassette anni, vergine, con cento bambini! Non la toccherei neanche con le molle. Puoi credere davvero che lo farei?
— In realtà, no.
— E allora, perché me lo hai chiesto?
Nickolaides alzò le spalle e rimase a fissare la neve.
— Te l’ha detto Chalk, di indagare? — disse Aoudad. — Teme che io voglia infastidirla, vero? È vero? È vero?
Nikolaides non rispondeva e tutt’a un tratto Aoudad si mise a tremare. Se Chalk poteva sospettarlo di albergare desideri del genere, voleva dire che aveva perso ogni fiducia in lui. Gli scompartimenti dovevano rimanere separati: qui il lavoro, lì le donne. Aoudad non aveva mai travalicato, Chalk lo sapeva bene. Dove stava lo sbaglio? In che cosa era venuto meno al grassone? Perché togliergli la fiducia in quel modo?
Aoudad disse con voce spenta: — Nick, te lo giuro, non avevo nessuna intenzione del genere, nel proporre uno scambio. Quella ragazza, sessualmente, non mi interessa affatto. Neanche un poco. Puoi credere che io voglia una ragazzina grottesca come quella? Pensavo solo che ero stufo di guardare il corpo pasticciato di Burris. Volevo variare un po’ l’incarico. E tu…