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— Andiamo a comunicare con il biologo? — mi chiese il Cane.

— Sì — risposi. — Si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.

— Dobbiamo avvisarlo di stare molto attento — disse il Cane. — Non ricordo se l’altra volta lo abbiamo fatto. Quelle sfere nel sacco possono giocargli brutti scherzi.

— Niente paura — lo rassicurai. — Stirling è in gamba. Forse ne sa più di noi.

— Quindi — disse Joy — lo chiamiamo, poi ce ne andiamo a nanna, e domattina si vedrà?

— Mi possano dannare se lo so — risposi. — Penseremo a un piano. Dobbiamo fare in modo che la gente sappia. E scoprire il sistema per dirglielo senza venire presi a torte in faccia.

Raggiungemmo la stazione di servizio, che restava aperta tutta la notte. Mi avvicinai a una distributore e dissi al benzinaio di fare il pieno. Poi chiesi se c’era un telefono. Con la mano mi indicò l’apparecchio, accanto a una macchinetta per le sigarette.

Entrai nella cabina, formai il numero e lasciai cadere i gettoni. Udii il segnale di chiamata.

Mi rispose una voce rauca, dal tono perentorio, che non era quella di Stirling.

— Chi parla? — chiesi. — Cercavo il professor Carleton Stirling.

Non rispose, in compenso ributtò indietro la domanda: — Lei chi è?

Stavo per perdere la pazienza, tuttavia mi controllai e gli diedi il mio nome.

— Da dove sta telefonando? — chiese ancora.

— Senta…

— Signor Graves — disse la voce — qui è la polizia. Gradiremmo avere un colloquio con lei.

— La polizia… Che cosa…?

— Carleton Stirling è morto. L’ha scoperto il portinaio un’ora fa.

23

Fermai la macchina davanti alla facoltà di Biologia, scesi.

— È meglio che lei resti qua — dissi al Cane. — Il portinaio non gradisce la sua presenza, inoltre non saprei come spiegare alla polizia la presenza di un cane parlante.

Il Cane emise un forte sospiro: — Sarebbe uno shock per loro, vero? Il suo defunto amico biologo invece l’aveva presa con molta calma. Anche meglio di lei, mi permetto di aggiungere.

— Aveva un vantaggio — dissi al Cane. — L’occhio dello scienziato.

Un secondo dopo, mi meravigliai della mia insensibilità. Stirling era stato mio amico, e forse ero stato proprio io a procurargli la morte, anche se in quel momento ancora non sapevo come fosse avvenuta.

Lo avevo rivisto quella stessa mattina al giornale, addormentato in poltrona in sala radio, quando gli restava meno di una giornata di vita. Ricordavo come si fosse svegliato senza rancore o stupore, e come si fosse messo a parlare di tutte quelle pazzie che ci si aspettava da lui.

— Aspetti qui — dissi al Cane. — Faremo presto.

Andammo Joy e io. Stavo per suonare alla porta dell’Università, quando notai che era aperta. Salimmo. Era aperta anche la porta del laboratorio.

Ad attenderci c’erano due uomini, seduti sul banco degli esperimenti. Stavano parlando tra loro ma, appena ci sentirono arrivare, si cucirono le labbra.

Uno era Joe Newman, il collega che mi aveva chiamato la mattina per dirmi delle palle da bowling che rotolavano lungo il vialetto.

— Ciao, Parker — disse. — Ciao, Joy.

— Salve — rispose Joy.

— Vi presento il tenente Bill Liggett — disse Joe — della Squadra omicidi.

— Omicidi? — chiesi.

— Sì — disse Joe. — La polizia ritiene che Stirling sia stato fatto fuori.

Mi voltai a guardare l’investigatore, che mi fece un cenno di conferma: — Si direbbe che sia morto per soffocamento… e non casuale. Ma non ci sono tracce.

— Vuol dire che…

— Restano sempre delle tracce sulla gola di una persona strangolata. Escoriazioni, ecchimosi. Ci vuole molta forza per strangolare un uomo, e quindi i tessuti del collo rimangono danneggiati dalla forte pressione.

— E sul corpo di Stirling non c’erano segni?

— Nessuno — rispose Liggett.

— Non può trattarsi di soffocamento accidentale? Bevendo o mangiando qualcosa? Contrazioni muscolari…

— Il medico lo esclude.

Scossi la testa. — Non riesco a capire.

— Forse, dopo l’autopsia ne sapremo di più — disse Liggett.

— Non mi sembra possibile — mormorai. — L’ho visto questa notte, poche ore fa.

— Abbiamo accertato, finora, che è stata lei l’ultima persona a vederlo vivo — disse Liggett. — Era vivo quando l’ha visto, vero?

— Vìvissimo.

— A che ora?

— Verso le dieci e mezza.

— Il portinaio ha dichiarato che l’ha fatta entrare con un cane. Se ne ricorda, perché le aveva detto che non poteva portare l’animale, e lei rispose che era per esperimenti. È vero?

— No — risposi. — Era una scusa per poter passare con il cane.

— Perché ha portato su quella bestia? Il portiere le aveva detto che era proibito.

— Volevo farlo vedere a Stirling. Ne avevamo parlato: era un cane speciale, per così dire. Aveva gironzolato attorno a casa mia per alcuni giorni ed eravamo diventati amici.

— A Stirling piacevano i cani?

— Non so. Non in modo particolare, credo.

— Dov’è questo cane, ora?

— Giù in macchina — dissi.

— Ma la sua macchina non è saltata in aria, stanotte?

— Non so — dissi. — L’ho sentito alla radio. Hanno anche ipotizzato che ci fossi dentro io.

— Invece non c’era.

— Be’, mi sembra evidente. Si è scoperto chi era la vittima?

Liggett annuì. — Un teppista che avevamo messo già al fresco due volte per furto d’auto. Le rubava, faceva una passeggiata e poi le abbandonava.

— Gli è andata male — commentai.

— Già — disse Liggett. — Lei ha un’altra macchina in questo momento?

— Usa la mia — intervenne Joy.

— È stata con lui tutta la sera, signora?

— Abbiamo cenato insieme, e non ci siamo mai lasciati — rispose Joy.

Brava, pensai. Non rivelare niente al piedipiatti. Non farebbe che ingarbugliare la situazione.

— Quindi lei è rimasta di sotto, mentre il signor Graves e il cane sono saliti?

Joy annuì.

— Pare che questa sera ci sia stata un po’ di confusione dalle sue parti, signorina — disse Liggett. — Ne sa niente?

— Assolutamente niente — rispose Joy.

— Non fategli caso — intervenne Joe. — Fa un mucchio di domande a tutti, sembra sospettare di tutti. Non può farne a meno, è il suo mestiere.

— Un bel puzzle — commentò Liggett. — Voi due sembrate immischiati fino al collo in questa faccenda, però ne uscite fuori belli puliti.

— Perché lo siamo — disse Joy.

— Perché siete andati al lago? — chiese Liggett.

— A fare una passeggiata — risposi.

— Con il cane?

— Sì. È una bestia simpatica.

Il sacco di plastica non pendeva più dal gancio a cui Stirling l’aveva sospeso. Né riuscii a vederlo intorno, benché non osservassi con molta attenzione, per non farmi notare da Liggett.

— Dovrete venire con me alla centrale. Entrambi — disse Liggett. — Ci sono dei particolari da chiarire.

— Il Vecchio sa già tutto — mi informò Joe. — Il collega della cronaca nera l’ha avvertito non appena hai chiamato il laboratorio.