— Non potremmo — dissi — e per due motivi. Primo: mancanza di fondi.
— E l’altro?
— Che sarebbe una cosa di pessimo gusto — risposi. — Non si fa, e basta. E potrei aggiungere un terzo motivo: la legge antitrust.
— Ah sì — disse Atwood. — Ce ne rendiamo conto. Ma abbiamo già preso le contromisure.
— Ne ero sicuro.
— Dopotutto, a ben riflettere, l’unico prerequisito per fare ciò che abbiamo fatto, è possedere sufficiente… denaro — osservò Atwood.
— Ne parla come se fosse un’idea nuova per voi — dissi, notando l’accento che aveva messo sull’ultimo termine. — Non si conosce il denaro negli altri mondi?
— Non sia ridicolo! — rispose Atwood. — Esiste il commercio, in un modo o nell’altro, e quindi mezzi di scambio. Ma non il denaro come lo intendete voi. Qui sulla Terra è qualcosa di più della carta o del metallo in cui esiste, più delle cifre stesse che usate per contarlo. Qui gli attribuite un simbolismo che non si ritrova in nessun altro mezzo di scambio nell’universo. Per voi il denaro è una forza, una virtù. Non averne è una vergogna, talvolta un crimine. Misurate gli uomini in base al denaro che possiedono, il successo è frutto del denaro. Arrivate persino ad adorarlo.
Sarebbe andato avanti a lungo con quel sermone, se non lo avessi interrotto.
— Torniamo con i piedi per terra — dissi. — State per versare una somma superiore al costo della Terra stessa! Mandate via la gente dai posti di lavoro, e la cacciate di casa. Ma si dovrà provvedere ad assistere questa gente in qualche modo. Ogni governo della Terra varerà grandiosi programmi di assistenza, imponendo restrizioni e tasse. E le tasse, badi, cresceranno anche sulle proprietà acquistate da voi. Così, in definitiva, sarete voi a provvedere alle necessità di chi avete rovinato, pagando le imposte sull’assistenza sociale.
— Non si preoccupi eccessivamente per noi — ribatté Atwood. — Pagheremo le tasse. E ben volentieri.
— La vostra idea è di rovesciare i governi — chiesi — e quindi non pagherete le tasse. È così?
— Niente affatto — rispose Atwood con fermezza. — Non ci pensiamo nemmeno. Sarebbe illegale.
La cosa non andava. Non c’era niente che mi piacesse.
Perché gli alieni avrebbero controllato la Terra e le risorse naturali e tutto quello che era stato costruito sul suolo, e non avrebbero sfruttato la terra né nessun’altra cosa per i suoi usi normali. Non avrebbero seminato niente, e niente sarebbe cresciuto. Nessuna fabbrica avrebbe più funzionato. Nessun metallo sarebbe più stato estratto. Nessun albero tagliato.
La gente sarebbe stata privata non solo delle sue proprietà, ma anche delle eredità. Insieme alla terra e alle case, alle fabbriche e al lavoro, alle merci e al cibo, se ne sarebbero andate anche la speranza, le aspirazioni, le opportunità, nonché la fede che avevano forgiato l’umanità. Non era importante sapere quanto della Terra possedessero effettivamente gli alieni. Non avevano bisogno di acquistare tutto. Tutto quello che serviva era fermare le industrie, bloccare i commerci, distruggere dalle fondamenta la rete finanziaria. E quando questo fosse successo, non ci sarebbe più stato lavoro, né credito né affari. E il sogno umano sarebbe morto.
Non era realmente importante che gli alieni acquistassero case e appartamenti, quando tutto il resto fosse sparito, perché le quattro mura che un uomo chiama casa sarebbero diventate solo un posto per morire. L’incetta di case era quindi una semplice campagna terroristica, oppure un indizio del fatto che gli alieni non avevano capito quanto poco sforzo fosse necessario per dare il colpo finale.
Ci sarebbero stati programmi assistenziali, certo, per sfamare la gente e, se possibile, dar loro un tetto. Non sarebbe mancato il denaro per le iniziative assistenziali, perché gli alieni avrebbero pagato le tasse con viva soddisfazione. Ma, in una situazione del genere, il denaro sarebbe stata la cosa più a buon mercato. Infatti, che cosa importava il prezzo di una patata o di una pagnotta di pane, quando non ci fossero più state patate né farina?
Ci sarebbero state ribellioni, una volta risaputa la situazione. Non solo a livello popolare, ma di governi. Ma, per quel momento, gli alieni avrebbero ormai organizzato le loro difese, qualcosa che nessuno poteva immaginare. Forse facendo terra bruciata, dando case, fabbriche e tutto il resto alle fiamme, o distruggendo in modo che nessuno potesse ricostruire. Ci sarebbe stata solo la terra per cui combattere, ma la nuda terra non era sufficiente.
Se si fosse potuto agire immediatamente, ero sicuro che gi alieni potevano ancora essere battuti. Alla condizione, però, che esistesse in giro la buona volontà di credere a cosa stava accadendo. E qui veniva il guaio. Amaramente, mi resi conto che, perché si accettasse la situazione in tutta la sua brutalità, occorreva aspettare finché il mondo non si fosse trovato completamente in preda al caos, ma allora sarebbe stato troppo tardi.
In quel momento realizzai che ero stato battuto. Che eravamo stati battuti.
Herbert George Wells aveva descritto, a suo tempo, una celebre invasione aliena, e poi molti altri dopo di lui, con fantasia da vendere. Eppure nessuno di loro, mi pareva, era arrivato vicino alla vera soluzione. Nessuno aveva previsto che proprio quelle strutture sociali che avevamo edificato con tanta fatica lungo i secoli si sarebbero rivelate un’arma a doppio taglio. La libertà e il diritto di proprietà si erano trasformate in una trappola che avevamo teso contro noi stessi.
Joy mi tirò per il braccio. — Andiamocene via! — disse.
Ci voltammo e ci avviammo all’uscita.
Dietro di me sentii Atwood che diceva: — Torni a trovarmi domani. Lei e io potremmo intenderci.
26
Fuori pioveva. Una pioggerella insistente, continua, deprimente. Proprio la notte ideale per far da sfondo al nostro mondo che crollava, pensai. Anzi no, non crollava: sarebbe stato troppo spettacolare. Vogliamo dire che si stava afflosciando? Ecco, la notte ideale per un mondo che si afflosciava su se stesso, sempre più debole senza sapere perché, senza neppure accorgersi di esserlo. Finché non fosse rimasto piatto e vuoto.
Aprii la portiera della macchina per far salire Joy, ma la richiusi immediatamente per impedirle di entrare.
— Dimenticavo. Potrebbe esserci un’altra bomba — dissi.
Joy mi guardò, scostando con la mano una ciocca che le era caduta sulla fronte.
— Non credo — disse. — Se ti vuol vedere domani…
— Storie! L’ha detto così per dire. Era il suo modo di sembrare spiritoso.
— Anche se ci fosse una bomba, non tornerei mai a piedi in città, con questa pioggia e a quest’ora di notte. E poi, se non l’hanno messa prima, perché metterla ora?
— Allora entro solo io e metto in moto. Tu mettiti al riparo…
— No — si oppose con fermezza Joy, afferrando la maniglia e aprendo con violenza lo sportello.
Presi posto anch’io, e girai la chiavetta.
— Visto? — disse Joy.
— Avrebbe potuto esserci — osservai.
— Non possiamo vivere eternamente nel terrore di tutto — disse lei. — Tanto, se vogliono ucciderci, hanno milioni di altri modi per farlo.
— Sono stati loro a uccidere Stirling, e chissà quanti altri. Con me ci hanno già provato due volte.
— Senza riuscirci — disse Joy. — Ho l’impressione che non ci proveranno più.
— Intuito femminile?
— Forse anche loro hanno un intuito, Parker.