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Mi sollevai cautamente, imbracciando il fucile, pronto a far fuoco, scrutando giù lungo le pendici del coDe.

Tutto sembrava normale. Notai solo che, proprio nella zona in cui l’uomo era scomparso, l’erba si muoveva. Tutt’intorno, la calma più assoluta.

Di nuovo il terribile odore della puzzola raggiunse le mie narici, salendo dal pendio. Inoltre succedeva qualcosa di ancora più strano: si vedeva l’erba agitarsi, come se qualcosa vi strisciasse attraverso, ma senza provocare rumore.

Cominciai a scendere, sempre con l’arma puntata.

All’improvviso sentii che qualcosa tentava disperatamente di saltar fuori della mia tasca, come un topo entrato per sbaglio, che ora volesse riacquistare la libertà. Con una mossa fulminea cercai di bloccare l’apertura della tasca, ma non feci in tempo. Ne saltò fuori una piccola sfera nera, che, dopo essermi sgusciata tra le dita, filò a pazza velocità verso il punto dove l’erba si muoveva.

La osservai mentre sfrecciava via e mi chiesi cosa fosse. Ebbi un’improvvisa rivelazione: era il denaro che avevo in tasca, una parte dei soldi che avevo ricevuto a casa Belmont. Aveva ripreso la sua forma originaria e correva verso il luogo dov’era scomparso l’altro essere.

Gridai, e cominciai a correre anch’io laggiù, dimenticando ogni precauzione, perché dovevo scoprire cosa stava succedendo.

Le emanazioni della puzzola stavano quasi per farmi perdere i sensi, e con tutta la buona volontà, non potei fare a meno di girare più al largo, quando con la coda dell’occhio vidi che cosa accadeva.

Rimasi immobile a guardare attonito.

Sotto i miei occhi, un gruppo di sfere saltava freneticamente nell’erba, rotolando e guizzando in aria, in uno sfrenato ballo selvaggio. Dall’erba arrivava il nauseabondo odore lasciato da una puzzola di passaggio, che provocava le lacrime e faceva venire i brividi.

Non potendo più resistere, girai i tacchi, quasi soffocato.

Mentre tornavo di corsa verso la macchina, mi sentivo trionfante. Avevo finalmente scoperto il tallone d’Achille nell’armamentario quasi perfetto delle palle da bowling.

34

Per loro, aveva detto il Cane, il profumo era la loro ragione di vita, il loro unico piacere. Il valore supremo. Una volta impadronitisi della Terra, l’avrebbero barattata con una partita di profumi.

Ora, sulla Terra, in quella forra coperta di arbusti, sui fianchi di quella collina, avevano trovato qualcosa che li attirava in modo eccezionale. Non poteva spiegarsi in altro modo la loro danza fantasiosa e frenetica. Quel qualcosa doveva avere un potere di attrazione talmente forte da distoglierli all’istante da qualsiasi altra attività.

Mi rimisi in macchina, feci marcia indietro per raggiungere la statale, e mi diressi verso la città.

Era evidente che gli altri odori esistenti sulla Terra non avevano un particolare fascino sulle sfere, mentre il fetore della puzzola le aveva mandate in estasi, benché su di me l’effetto fosse stato diametralmente opposto. Doveva pure esistere il modo, pensai, per sfruttare a vantaggio dell’umanità questo fatto nuovo, questa specie di relazione sentimentale tra le sfere e le puzzole.

Mi venne in mente l’articolo di Joy, quello sull’allevamento di puzzole; che però, in effetti, erano ben diverse da quelle allo stato libero, perché rese inodori. Cercai di farmi venire altre idee con un ragionamento a catena, ma non ne ricavai nozioni utili. Che rabbia, pensai, aver scoperto il punto debole degli invasori e non spremerne niente! Perché era l’unico jolly che avevamo da giocare. Su tutti gli altri fronti eravamo fritti, senza remissione.

Doveva assolutamente esistere un modo per sfruttare la cosa. Perché non mi veniva in mente? Sarebbe servito parecchio organizzare un brainstorming, ma anche in quel caso le teste sarebbero state solo due, la mia e quella di Joy.

Intanto avevo raggiunto la periferia della città. Mi fermai a un semaforo, ma non mi accorsi quando diede via libera, provocando un coro di proteste da parte degli automobilisti che mi seguivano.

— Asino! — gridò un taxista, sorpassandomi. Aggiunse anche espressioni probabilmente più colorite, che non colsi, mentre le macchine dietro di me attaccavano un concerto per clacson e voci. Mi affrettai a levarmi dai piedi.

“Ehi, ho detto un taxista?”. Mi balenò un’idea: forse un modo c’era, o se non altro, uno spunto. Andai a frugare nei meandri della memoria, alla ricerca del nome di quell’altro taxista, quello che aveva parlato con tanto entusiasmo della caccia al procione.

Arrivato nel cortile del motel, mi fermai davanti alla mia villetta e rimasi a sedere, delineando un piano d’azione. Quindi scesi dalla macchina e andai al ristorante per telefonare. Cercai Higgins, Larry, sulla guida e lo chiamai.

Mi rispose una voce di donna, a cui chiesi di Larry. Dopo un momento arrivò lui.

— Qui Higgins.

— Forse si ricorda di me — gli dissi. — Mi ha portato a Wellington Arms ieri sera, e per strada mi ha parlato della caccia al procione…

— Ragazzo mio, parlo della caccia al procione a tutti quelli che incontro!

— Ma ne abbiamo parlato a lungo. Le ho detto che io invece andavo a caccia di fagiani, e lei mi ha invitato a venire qualche volta con lei a…

— Oh sì, ora ricordo — mi interruppe. — Sicuro. L’ho caricata davanti a un bar. Mi spiace, ma stasera niente caccia, sono di turno. Mi ha trovato per un pelo, stavo per uscire.

— Ma io non…

— Qualche altra sera, va bene? Che ne dice di domani, domenica? O martedì, che ho il giorno di riposo? Le assicuro, è più divertente…

— Non le ho telefonato per andare a caccia.

— Non vuole più venirci? Le assicuro che, una volta preso gusto…

— Va bene, va bene, una di queste sere — dissi. — La richiamerò per metterci d’accordo.

— Perfetto, chiami quando vuole!

Inserii di corsa la frase successiva, perché stava per riattaccare: — Senta, c’era un’altra cosa. Mi ha anche parlato di un tale che ha un sistema per addomesticare le puzzole.

— Sì, è quel vecchio matto, garantito. Per la verità…

— Mi può dire dove posso trovarlo? — gli chiesi.

— Vuole andare a trovarlo? — mi chiese, stupito.

— Certo. Come posso arrivarci?

— Dice sul serio?

— Sì. Mi piacerebbe conoscerlo e parlare con lui.

— E di che?

— Be’, ecco…

— Senta, la cosa è così. Forse non avrei dovuto parlargliene. È un buonuomo, e non voglio procurargli delle grane. È un’anima candida, che la gente si divertirebbe a prendere in giro.

— Mi ha detto — aggiunsi — che sta cercando di scrivere un libro.

— Sì, è vero.

— E che non riesce a finirlo, ricorda? Mi diceva anche che era un peccato che avesse tante cose da raccontare, e che invece rimangono in un cassetto. Be’, io sono uno scrittore, e ho pensato che con un po’ di aiuto, forse…

— Vorrebbe aiutarlo?

— Non gratis — dissi.

— Quel tizio non ha un centesimo.

— Mica dovrebbe pagare lui. Lo aiuterei a terminare il libro, e insieme divideremmo gli utili, chiaro?

Higgins rifletté un istante. — Mi pare che possa andare — disse. — Se va avanti così, non riuscirà mai a tirar fuori un centesimo da quel suo libro. Gli farebbe bene un po’ di aiuto.

— D’accordo, allora. Dove si trova il posto?

— La posso portare io, una di queste sere — propose.

— Se possibile, vorrei incontrarlo subito. Da domani sarò fuori città.

— E va bene. Ha carta e penna?