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“La polizia chiede a chi è fuori città di non entrare” annunciò a mitraglia lo speaker. “Il traffico è letteralmente paralizzato, e non fareste altro che aggravare la situazione. Rimanete a casa, per favore, e state calmi”.

Pensai che gli alieni avevano fatto un grosso sbaglio. Se non avessero telefonato a Joy, le cose si sarebbero volte a loro favore. Io ero ancora vivo, certo, ma avrebbero impiegato poco tempo a trovarmi e a liquidarmi, e questa volta si sarebbero assicurati di portare a termine il lavoro. Evidentemente, presi dal panico, avevano commesso un errore, e adesso ne subivano le conseguenze.

In quel momento vidi una forma familiare dall’aria allegra, che camminava, anzi galoppava verso di noi, con la lingua penzoloni. Gigantesco e arruffato. Ci si accucciò davanti, battendo la robusta coda sul terreno in segno di gioia.

— Ce l’ha fatta, amico mio! — mi disse il Cane. — Li ha stanati tutti e li ha portati alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti gli esseri umani. Adesso la gente sa…

— Ma lei — gli chiesi — non era a Washington?

— Ci sono molti modi per viaggiare — sentenziò il Cane — molto più rapidi dei vostri aerei. E ci sono mezzi più efficaci del telefono per sapere dove si trova qualcuno.

— Adesso sono impazzito io! — gemette Higgins. — Ora c’è anche un cane che parla…

“Nessun allarmismo” riprese l’annunciatore. “Finora non si sa cosa siano queste strane forme, ma si troverà presto una spiegazione logica. La polizia tiene la situazione sotto controllo, e non bisogna…”

— Poco fa qualcuno di voi — chiese il Cane — ha pronunciato la parola “medico”. Che significa?

— È una persona che rimette in sesto i corpi degli altri — gli spiegò Joy. — Parker è ferito.

— Oh, ecco — disse il Cane. — Anche noi abbiamo il concetto di medico, anche se non c’è dubbio che i nostri si servano di un diverso modus operandi. È stupefacente, però, vedere quanti risultati identici si raggiungano pur seguendo diverse tecniche.

“La massa delle sfere continua a crescere — gracchiò eccitata la radio. — Hanno raggiunto l’altezza delle finestre al sesto piano, e dilagano per le strade vicine. Ne arrivano altre, a ritmo sempre più sostenuto! E via via che…”

— Ora che la mia missione è compiuta — disse il Cane — mi spiace dirvi addio. Non che abbia contribuito granché, però è stato bello visitare la Terra. Il vostro è un pianeta incantevole, sappiate custodirlo con amore.

— Un momento solo — dissi. — Ci sono ancora molte cose da…

Le mie parole caddero nel vuoto, perché il Cane era scomparso.

— Che il cielo mi strafulmini — disse Higgins. — Ma era qui sul serio, o me lo sono sognato?

Non aveva torto, poveraccio. Il Cane era stato con noi, ma adesso era tornato a casa, al pianeta lontano e alla (chissà quanto) strana dimensione da cui proveniva. Non se ne sarebbe andato se ci fosse stato ancora bisogno di lui, ne ero certissimo.

Le cose si mettevano bene per noi, ora. Tutti ormai erano venuti a conoscenza dell’esistenza delle palle da bowling aliene, e ci avrebbero dato retta: il Vecchio, il senatore, lo stesso presidente. Tutti. E si sarebbero prese le decisioni che andavano prese. Per esempio, si potevano immediatamente bloccare tutte le transazioni economiche, finché non si fosse riusciti a distinguere quelle aliene da quelle di orìgine umana. Gli atti legali degli alieni erano nulli, perché avevano pagato con moneta falsa. Ma, anche a non volerli dichiarare nulli, cambiava poco, perché presto il genere umano avrebbe scoperto che cosa stava succedendo, e avrebbe reagito di conseguenza. Bene o male, ci si sarebbe mossi per mettere la parola fine a questa vicenda.

Aprii lo sportello posteriore della macchina e feci cenno a Joy di salire.

— Su, muoviamoci — dissi a Higgins. — C’è tanto da fare. C’è una stona da raccontare.

Mi sembrava già di vedere la faccia del boss quando fossi entrato nel suo ufficio. Mi ripetevo mentalmente ciò che gli avrei detto. E stavolta mi avrebbe ascoltato, perché avevo lo scoop. In esclusiva.

— Non al giornale — corresse Joy. — Prima cerchiamo un medico.

— Macché medico! — esclamai. — Non mi serve più!

E rimasi meravigliato anch’io, non tanto per averlo detto, quanto per la facilità con cui accettavo il fatto che davvero non ce n’era più bisogno. Qualcosa era successo dentro il mio corpo senza che al momento me ne accorgessi. Me n’ero reso conto a poco a poco.

Non sentivo più alcun male. Niente dolore al torace, nulla all’addome, tutto a posto nelle ginocchia. Mossi le braccia per fare la controprova, e tutto era in ordine. Se c’era stato qualcosa di rotto, si era aggiustato.

Ricordai che il Cane aveva detto quanto fosse stupefacente constatare come molti risultati identici si possano ottenere con tecniche diverse.

— Grazie, amico! — dissi, guardando verso il cielo con un sentimentalismo che ricordava quello del Cane. — E non dimentichi di mandare il conto!

38

Fulmine mi gettò il giornale sulla scrivania, ancora fresco di inchiostro. In prima pagina, con un titolo a caratteri cubitali, campeggiava il mio articolo.

Rimasi a fissare quelle lettere, senza toccare il giornale. Poi mi avvicinai alla finestra e rimasi lì a guardare fuori. Verso nord scorsi la montagna di sfere, illuminata dai proiettori, che si stagliava netta contro il cielo, in continua crescita. Qualche ora prima si era perduta ogni speranza di salvare i radiocronisti rimasti intrappolati sul tetto del McCandless Building. Non si poteva far altro che aspettare.

Anche Gavin si avvicinò per guardare dalla finestra.

— A Washington pensano di far evacuare la città e di distruggerle con una bomba all’idrogeno. Ci è appena arrivato il dispaccio di agenzia. Attenderanno finché la montagna non cesserà di crescere, poi manderanno un bombardiere.

— A che scopo? — gli dissi. — Ora non potranno più fare danno. Erano un pericolo mortale solo quando ne ignoravamo l’esistenza.

Tornai alla scrivania. Guardai l’orologio da polso, senza ricordare che era ancora rotto. Quello a muro segnava le due e cinque del mattino.

Il capo, che fino ad allora era stato con i cronisti locali, si avvicinò e mi tese la mano. Gli porsi la mia, lui la strinse e vi si attaccò, scrollandomi il braccio con forza e con calore.

— Ottimo lavoro, Parker! — esclamò. — Lo apprezzo!

— Grazie, boss — risposi, ricordandomi che non gli avevo detto nulla di tutto ciò che avevo deciso di dirgli. Però, non mi dispiaceva di non averlo fatto.

— Andiamo a berci un goccetto nel mio ufficio — propose.

Scossi la testa in segno di diniego. Mi diede una pacca sulla spalla e mi lasciò andare.

Scesi di sotto, e mi fermai al tavolo di Joy.

— Andiamo, bella — le dissi. — Dobbiamo ancora concludere una certa questione.

Joy si alzò, aspettando il seguito.

— E vorrei concluderla — dissi — prima che questa notte finisca.

Temevo che si sarebbe offesa. Invece allargò le braccia e me le gettò al collo, davanti a tutti.

Viveste un miliardo di anni, non riuscirete mai a capire le donne.

FINE