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Oscar sospirò, chiuse il computer portatile e rivolse lo sguardo verso l’interno del pullman. I collaboratori che lo avevano aiutato durante la campagna elettorale avevano vissuto in pullman per tredici settimane, in un mare di spazzatura lentamente montante. Ormai vittoriosi, stavano riposandosi dagli sforzi eroici sostenuti durante la campagna elettorale. Alcott Bambakias, il loro ex datore di lavoro, era il nuovo senatore degli Stati Uniti per il Massachusetts. Oscar aveva ottenuto la propria vittoria. La campagna elettorale di Bambakias era stata vinta, e messa in soffitta.

Però il pullman del senatore ospitava ancora dodici dei collaboratori di Oscar. Russavano nelle loro cuccette, oppure giocavano a poker su tavolini pieghevoli, calpestando alti e promiscui mucchi di biancheria sporca. Ogni tanto frugavano negli armadietti, in cerca di un panino.

Dalla manica di Oscar provenne un trillo. Vi infilò una mano, recuperò un telefono di stoffa e lo rese rigido con un colpetto distratto del polso. «Okay, Fontenot.»

«Senti, ci tieni davvero ad arrivare entro stasera al laboratorio scientifico, vero?» chiese Fontenot.

«Sì, la cosa non mi dispiacerebbe.»

«Per te è molto importante? Vedi, abbiamo un piccolo problema: un blocco stradale.»

«Ci vogliono estorcere un po’ di soldi, è così?» chiese Oscar, corrugando la fronte sotto i capelli pettinati alla perfezione. «Vogliono qualche bustarella, eh? La faccenda è davvero così semplice?»

«Non c’è più nulla di semplice» replicò Fontenot. L’uomo addetto alla sicurezza della campagna non stava tentando di fare una scontata battuta sarcastica, ma aveva semplicemente enunciato una delle verità della vita moderna. «Questo non è uno dei soliti blocchi stradali che abbiamo incontrato in precedenza. Questo blocco stradale è stato messo in atto da truppe dell’aeronautica degli Stati Uniti.»

Oscar rifletté su quella nuova informazione: non prometteva nulla di buono. «E per quale motivo l’aeronautica sta bloccando il transito su un’autostrada federale?»

«Qui in Louisiana le persone si sono sempre comportate in maniera particolare» spiegò Fontenot. Attraverso la sottilissima cornetta del telefono, un lontano sottofondo di clacson crebbe lentamente di intensità. «Oscar, penso che tu debba venire a dare un’occhiata di persona, lo conosco la Louisiana, sono nato e cresciuto qui, ma mi mancano le parole per descriverti quello che sta succedendo.»

«Molto bene» rispose Oscar. «Sarò subito lì.» Infilò di nuovo il telefono nella manica. Conosceva Fontenot da più di un anno e non lo aveva mai sentito rivolgergli un invito del genere. Fontenot non esortava mai altre persone a condividere i rischi professionali che correva: un tale invito andava contro qualsiasi istinto di una guardia del corpo, dunque Oscar non se lo fece ripetere due volte.

Oscar mise a posto il portatile, si alzò e si rivolse al suo entourage. «Gente, statemi a sentire, ecco cosa sta succedendo! Davanti a noi abbiamo un altro blocco stradale.» Si levarono gemiti di sofferenza. «Fontenot è sul posto per noi. Jimmy, attiva gli allarmi.»

L’autista fece accostare il pullman sul ciglio della strada e attivò i sistemi di difesa incorporati. Oscar rivolse una breve occhiata al finestrino. In realtà, il pullman non aveva finestrini. Visto dall’esterno, somigliava a un guscio solido, senza la minima apertura. I suoi ampi ‘finestrini’ interni erano schermi piatti, collegati a telecamere esterne che scrutavano l’ambiente circostante con impietosa intensità. Il pullman di Bambakias di solito video-registrava continuamente tutto quello che entrava nel raggio delle sue telecamere. Se necessario, era anche in grado di memorizzare e di catalogare tutti i dati, esportandoli via satellite in un archivio protetto nelle viscere delle Montagne Rocciose. Il pullman di Alcott Bambakias era stato progettato e costruito per essere un tipo di veicolo decisamente fuori dell’ordinario.

In quel determinato momento le telecamere del veicolo mostravano due alte pareti verdi di pini velati dalla nebbia e una fila di paletti sghembi che reggevano del filo spinato corroso dalla ruggine. Il pullman era parcheggiato sull’autostrada 10, dieci miglia dopo lo spettrale insediamento industriale di Sulfur, Louisiana. Sulfur aveva attirato un bel po’ di occhiate stupite da parte dei collaboratori di Oscar quando il loro pullman aveva attraversato velocemente la cittadina. Avvolta nei mutevoli tentacoli della nebbia invernale, la città cajun somigliava a un’unica, gigantesca raffineria di petrolio, punteggiata di capanne d’erba malconce e di case mobili ammaccate.

Adesso la nebbia si era alzata e all’estremità opposta di Sulfur il traffico era quasi inesistente.

«Io esco» annunciò Oscar. «Voglio cercare di capire com’è la situazione locale.»

Donna, la sua consulente per l’immagine, portò a Oscar un vestito elegante. Oscar prese le bretelle di sota, il cappello e il cappotto italiano. Mentre la stilista si occupava delle scarpe, Oscar fissò con aria pensierosa i membri della krew. Magari un po’ di azione e di aria fresca sarebbero serviti a sollevare il loro morale. «Chi ha voglia di avere un faccia a faccia con l’aeronautica degli Stati Uniti?»

Jimmy De Paulo saltò su dal sedile dell’autista. «Ehi, verrò io con lei!»

«Jimmy,» rispose Oscar in tono gentile «non puoi farlo. Tu devi guidare questo pullman.»

«Ah, questo è vero» ammise Jimmy, lasciandosi cadere di nuovo sul sedile con aria abbattuta.

Moira Matarazzo si rizzò a sedere con riluttanza sulla cuccetta. «C’è qualche motivo per cui dovrei venire io?» Quello era il primo periodo relativamente lungo che trascorreva lontano dalle telecamere, dopo molti mesi trascorsi come portavoce della campagna. Moira, di solito curatissima, adesso sfoggiava una massa disordinata di capelli, labbra screpolate, sopracciglia cespugliose e un pigiama di cotone stazzonato. Il maligno bagliore sotto le palpebre gonfie per il troppo champagne avrebbe spaventato a morte perfino un serpente mocassino. «Perché io verrò, se necessario, ma, in caso contrario, non vedo perché dovrei farlo» spiegò in tono lamentoso. «I blocchi stradali possono essere davvero pericolosi!.

«Allora dovresti sicuramente andare con Oscar.» Chi aveva parlato era Bob Argow, l’amministratore di sistema della campagna. Il tono neutro della voce di Bob fece intuire che l’uomo era sul punto di esplodere. Bob aveva continuato a bere fin dall’inizio dei festeggiamenti per la vittoria, a Boston. Aveva iniziato la sua bevuta in uno stato di allegro sollievo e, mentre il pullman macinava miglia su miglia e le bottiglie vuotate metodicamente aumentavano in maniera preoccupante, Bob era piombato in una classica depressione post-traumatica.

«Verrò io con lei, signor Valparaiso» affermò in tono servizievole Norman il Volontario. Come al solito, tutti ignorarono Norman.

I dodici membri dello staff lavoravano ancora ufficialmente per Bambakias e venivano pagati con gli ultimi fondi stanziati da Bambakias per la campagna elettorale. Ufficialmente, si stavano concedendo una ‘vacanza’ più che meritata. Si trattava di un’offerta molto generosa, tipica di Alcott Bambakias, ma si trattava anche di un modo per allontanare, sia pure in maniera molto delicata e gentile, la krew dal nuovo senatore eletto. Dopo essere tornato nel suo ultramoderno quartiere generale di Cambridge, il carismatico miliardario era impegnato a costituire una krew nuova di zecca: lo staff che lo avrebbe aiutato a governare da Washington. Dopo mesi di frenetico lavoro di squadra e di grandi sacrifici personali, i professionisti della campagna elettorale erano stati congedati con un assegno e un’affettuosa stretta di mano.