Oscar gli porse una luccicante smart card che recava lo stemma del Senato federale in rilievo.
Quattro minuti dopo, i due vennero scortati all’interno dell’edificio. Il centro di accoglienza ospitava due dozzine di uomini e donne armati. Gli intrusi avevano spinto i mobili contro le pareti e avevano tolto le assi in precedenza inchiodate alle porte e alle finestre. Dal soffitto provenivano tonfi soffocati, stridii e scricchiolii, come se la soffitta fosse infestata da procioni giganti armati.
I veri impiegati dell’ufficio turistico della Louisiana si trovavano ancora all’interno dell’edificio. La krew di accoglienza era composta da alcune tipiche donne del Sud, ben vestite e di mezza età, appena uscite dal parrucchiere e agghindate con nastri tra i capelli, che indossavano graziose gonne plissettate e scarpe con il tacco basso. Le donne non erano state arrestate, né erano detenute in maniera formale; erano state invece ammassate in un tetro angolo del loro ufficio, adesso oscurato dalla stagnola, e avevano un’aria comprensibilmente afflitta.
L’ufficiale comandante era ubriaco fradicio. Oscar e Fontenot vennero accolti dall’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni, anche lui visibilmente sbronzo.
L’ufficio centrale era reso angusto dall’attrezzatura militare portatile di un posto di comando: adesso era uno sgabuzzino stracolmo di timbri, uniformi color kaki e schermi tremolanti. La stanza puzzava di whiskey distillato; il comandante, che indossava ancora l’uniforme, compresi gli stivali, puliti e tirati a lucido, era sdraiato compostamente su di una brandina color kaki. Il suo berretto, la cui visiera era adorna di una treccia dorata, gli nascondeva metà del volto.
L’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni, un veterano in divisa dal fisico tarchiato, dai capelli grigiastri e le guance rugose, era impegnato a una serie di consolle, da cui fuoriuscivano spessi grovigli di cavo militare in fibra ottica.
«In cosa posso esservi utile, signori?» esordì l’ufficiale.
«Le chiedo di autorizzare un pullman a superare il vostro posto di blocco» spiegò Oscar. «Un pullman da campagna elettorale.»
L’ufficiale sbatté le palpebre, che si sollevarono in due istanti diversi. Si era espresso con voce ferma e chiara, ma era al quanto ubriaco. «Signori, non potreste semplicemente comprare qualche leccornia, approfittando della nostra imbattibile offerta?»
«Mi piacerebbe accontentarla, ma, date le circostanze, sembrerebbe…» Oscar rifletté un istante. «Un gesto privo di tatto.»
L’ufficiale poggiò la luccicante smart card di Oscar sul bordo della console. «Bene, forse dovrebbe rifletterci un po’ su, signore. Tornare a Boston significherebbe fare un mucchio di strada.»
Fontenot intervenne, cercando di essere ragionevole. «Se voi interrompeste le vostre operazioni solo per mezz’ora o giù di lì, il traffico riprenderebbe a scorrere con regolarità e allora il nostro veicolo potrebbe passare senza problemi.»
«Immagino che questa sia una possibilità» commentò l’ufficiale. Uno dei suoi schermi interruppe il suo frenetico tremolio ed emise un sommesso squillo di trombe marziali. L’ufficiale lesse i risultati. «Ehi… ma lei è il figlio di Logan Valparaiso!»
Oscar annuì, trattenendo un sospiro. Un buon motore di ricerca era in grado di trovare informazioni strettamente riservate sulla vita di chiunque, però era impossibile prevedere cosa avrebbe trovato.
«Sa, io conoscevo suo padre!» esclamò l’ufficiale. «Lo intervistai quando interpretò il ruolo del protagonista nel rifacimento di El Mariachi.»
«Ma guarda.» Il computer era riuscito a trovare una zolla di terreno comune. Era una trovata a buon mercato, un giochetto da quattro soldi, ma, come un bel po’ di tecniche operative di tipo psicologico, funzionò alla perfezione. Adesso i tre non erano più degli estranei.
«Come sta il suo vecchio padre di questi tempi?»
«Sfortunatamente Logan Valparaiso è deceduto nel ’42. Infarto.»
«È un vero peccato.» L’ufficiale fece schioccare le dita corte e tozze in un gesto di dispiacere. «Sicuramente ha interpretato dei grandi film d’azione.»
«Nell’ultimo periodo della sua vita, papà ha condotto una vita molto ritirata» rivelò Oscar. «Sa, era entrato nel campo immobiliare.» Avevano mentito entrambi. I film di Valparaiso, per quanto molto popolari, erano stati decisamente mediocri. Gli ultimi affari conclusi in campo immobiliare del padre di Oscar erano serviti come copertura al riciclaggio di denaro dei produttori hollywoodiani di Logan Valparaiso: mafiosi colombiani emigrati negli Stati Uniti.
«Allora, potreste spostare quelle barricate solo temporaneamente, per consentirci di passare?» domandò Fontenot in tono gentile.
«Adesso vi rivelerò un piccolo segreto, ragazzi» rispose l’ufficiale. I suoi schermi avevano ripreso a macinare dati, ma adesso i tre uomini erano diventati degli amiconi. Stavano facendo qualche pettegolezzo di rete, si stavano scambiando qualche confidenza. Non si uccide qualcuno dopo avere saputo che il padre è stato una star del cinema. «Qui abbiamo quasi finito.»
Oscar inarcò le sopracciglia. «Davvero? Questa è una bella notizia.»
«Sto soltanto eseguendo alcuni sondaggi sull’impatto mediatico di questo evento… Sapete, in una guerra informatica il vero problema non è entrare nei sistemi, ma uscirne senza subire danni collaterali. Perciò, se avrete un po’ di pazienza, faremo armi e bagagli e ce ne andremo molto prima di quanto possiate immaginare.»
Il comandante cominciò a gemere per la nausea causata dalla sbornia e ad agitarsi sulla brandina. L’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni accorse al fianco del suo superiore, gli rimboccò teneramente la ruvida coperta e gli sistemò per benino il cuscino gonfiabile. Poi tornò da Oscar e Fontenot, dopo essersi furtivamente impadronito di una bottiglia di bourbon nascosta sotto il letto. Ne versò distrattamente un po’ in un bicchierino di carta, mentre esaminava lo schermo più vicino.
«Stava dicendo?» lo sollecitò Oscar.
«L’impatto mediatico. Sapete, è la chiave per qualsiasi spiegamento di truppe rapido. Abbiamo disposto lungo tutta l’autostrada robot di sorveglianza che controllano le targhe delle auto. Inseriamo le targhe in questo archivio, esaminiamo i conti in banca e i profili di marketing dei guidatori, scegliamo i soggetti disposti a offrire un generoso contributo in denaro senza creare troppo scompiglio…» L’ufficiale sollevò lo sguardo. «Vedete, questo potrebbe essere considerato un sistema di tassazione alternativo e decentrato.»
Oscar fissò Fontenot. «Sono in grado di farlo?»
«Sì, certo» rispose Fontenot. Lui era un ex agente del servizio segreto e l’USSS, almeno su quelle faccende, era sempre stato aggiornato.
L’ufficiale addetto alla pubbliche relazioni rise in tono amaro. «È così che il governatore preferisce definirlo… Ecco, si tratta semplicemente di un’operazione di guerra informatica, una cosa che facevamo sempre quando intervenivamo oltremare. Arrivavamo all’improvviso, distruggevamo i sistemi vitali, subendo poche o nessuna perdita, raggiungevamo l’obiettivo della missione Subito dopo svanivamo, ci defilavamo, ci eclissavamo. E poi si voltava pagina.»
«Esatto» commentò Fontenot. «Proprio come l’operazione Panama Due.»
«Ehi,» esclamò l’ufficiale in tono orgoglioso «ho partecipato anch’io a Panama Due! Fu una guerra di rete classica! Abbattemmo il regime locale semplicemente mandando a puttane i suoi flussi di bit. Senza subire nessuna perdita! E non avemmo bisogno di sparare neppure un colpo!»
«È molto bello quando non ci sono perdite.» Fontenot piegò la gamba artificiale con uno scricchiolio.