«No.» Fontenot abbassò la voce. «Un tempo avrebbe potuto essere così. Sono vecchio, forse ho delle idee un po’ antiquate. Ma ti ho visto all’opera, dunque adesso ti conosco meglio.» Batté la gamba artificiale contro il terreno. «Non è certo per questo che sto per lasciarti, Oscar, ma devo andarmene comunque. La campagna è finita, tu hai vinto, in maniera spettacolare. Ho partecipato a un mucchio di campagne elettorali nella mia vita e sono davvero convinto che la tua sia stata la migliore che abbia mai visto. Ma ora sono tornato a casa, ai miei bayou, e credo che per me sia giunto il momento di lasciare il mio lavoro. Per sempre. Vedrò il tuo pullman arrivare sano e salvo a Buna, poi mi dimetterò dal mio incarico.»
«Rispetto la tua decisione, davvero» replicò Oscar. «Ma preferirei che tu continuassi a lavorare per noi, almeno temporaneamente. La krew nutre grande rispetto per il tuo parere professionale. E la situazione a Buna potrebbe rendere necessarie le tue capacità di capo della sicurezza.» Oscar respirò a fondo, poi iniziò a parlare in tono più intenso e deciso. «Per il momento non l’ho ancora detto ai nostri ragazzi sul pullman, ma ho dato un’occhiata alla situazione a Buna. E questo delizioso ritiro spirituale texano in cui arriveremo stanotte… Be’, io credo che praticamente si tratti di una grossa crisi in attesa di esplodere.»
Fontenot scosse la testa. «Non sono disposto ad affrontare una crisi del genere. Non vedo l’ora di andare in pensione. Andrò a pesca, magari a caccia. Voglio una capanna sulla baia, con un forno e una pentola per friggere, e nessuna dannatissima rete o telefono, mai più.»
«Però io posso far sì che, per te, valga la pena di attendere ancora un po’» cercò di persuaderlo Oscar. «Rimani con noi soltanto un altro mese, d’accordo? Quattro settimane, fino alle vacanze di Natale. Finché resterai con noi, continuerai a essere pagato. Sono disposto a raddoppiarti lo stipendio, se necessario. Pensa, un mese di stipendio in più.»
Fontenot spazzò via la pioggia dal cappello. «E puoi fare una cosa del genere?»
«Be’, non direttamente, non prelevando i soldi dai fondi della campagna, ma può occuparsene Pelicanos. Lui è un vero mago in queste faccende. Due mesi di stipendio in cambio di un mese di lavoro. E in base alle tariffe vigenti a Boston, per giunta. Sono sicuro che ci pagheresti la caparra per la tua capanna nella palude.»
Fontenot stava iniziando a cedere. «Be’, dovrai darmi un po’ di tempo per rifletterci su.»
«Puoi avere i fine settimana liberi.»
«Davvero?»
«Sì, fine settimana di tre giorni, visto che dovrai anche cercarti un posto in cui vivere.»
Fontenot sospirò. «Be’…»
«Sicuramente ad Audrey e Bob non peserà condurre qualche analisi sul mercato immobiliare per conto tuo. Sono ricercatori di alto livello, adesso stanno solo ammazzando il tempo. Dunque, perché dovresti sorbirti tutti i fastidi di cercare una casa? Loro saprebbero come procurarti una casa da sogno e perfino un agente immobiliare onesto.»
«Dannazione. Non ho mai considerato le cose da questo punto di vista. Comunque, è vero, la tua offerta potrebbe valere molto per me. Mi eviterebbe un mucchio di problemi. D’accordo, lo farò.»
Si strinsero la mano.
Intanto avevano raggiunto i loro veicoli, ma non c’era nessuna traccia di Norman il Volontario. Fontenot si sollevò sul cofano ammaccato del suo fuoristrada, con la gamba artificiale che scricchiolava per lo sforzo, e finalmente individuò Norman servendosi del binocolo.
Il giovane stava parlando con alcuni soldati. Si erano riparati sotto la tettoia spiovente di un tavolo da picnic in cemento, accanto a una passerella in legno che conduceva nel cuore della palude del fiume Sabine, ricca di cipressi. «Vuoi che vada a prenderlo?» chiese Fontenot.
«Andrò io» rispose Oscar. «Sono stato io a portarlo qui. Tu chiama Pelicanos sul pullman e metti al corrente della situazione la krew.»
Nell’America dell’epoca i giovani costituivano una minoranza ben definita e, come la maggior parte delle minoranze, tendevano a fraternizzare. Norman era abbastanza giovane per potere ancora arruolarsi nell’esercito. Appoggiato a un palo di supporto della tettoia coperto di graffiti, discuteva animatamente con i soldati.
«… Velivoli robot invisibili ai radar e armati di raggi laser!» concluse Norman in tono deciso.
«Be’, forse li abbiamo e forse no» rispose un ragazzo in uniforme azzurra con un accento del sud terribilmente strascicato.
«Senti, lo sanno tutti che li avete. Come quei satelliti che leggono le targhe dall’orbita — ormai è roba vecchia, sono zilioni di anni che li avete. E allora la mia domanda è questa: date le vostre possibilità tecniche, perché non sistemate questo governatore della Louisiana? Individuate il suo corteo con dei teleobiettivi e seguitelo. Quando vedete che si allontana un po’ dalla sua auto, fatelo fuori.»
Una giovane donna intervenne. «Fare fuori il governatore Huguelet?»
«Non intendo dire che deve essere ucciso. Sarebbe troppo ovvio. No, bisogna vaporizzarlo… Bisogna semplicemente vaporizzare quel tizio! Le scarpe, il Vestito, insomma tutto! Penseranno che sia… sapete… in un albergo, a leccare i piedi di qualche troia.»
I militari ebbero bisogno di qualche istante per valutare la proposta. Era chiaro che quell’idea li aveva irritati. «Non si può vaporizzare un intero corpo umano usando un laser ai raggi X aviotrasportato.»
«Invece potreste farlo, se il laser fosse sintonizzabile.»
«I laser sintonizzabili a elettroni liberi non sono invisibili ai radar. E poi consumano una quantità impressionante di energia.»
«Be’, allora si potrebbero far convergere quattro o cinque aerei su un’unica zona di fuoco. E poi, che bisogno c’è di usare superati e ingombranti laser a elettroni liberi quando sono disponibili quelli a banda quantica? Tra l’altro, sono perfettamente sintonizzabili.»
«Scusate se vi interrompo» intervenne Oscar. «Norman, adesso dobbiamo tornare al pullman. Hanno bisogno di noi.»
La ragazza guardò Oscar, squadrandolo lentamente, dall’impeccabile cappello alle scarpe luccicanti. «Chi è questo elegantone?»
«È… be’, lavora per il Senato federale.» Norman sorrise allegramente. «È un mio carissimo amico.»
Oscar poggiò delicatamente una mano sulla spalla di Norman. «Dobbiamo davvero andare, Norman. Abbiamo prenotato per tutti in un grazioso ristorante cajun.»
Come sempre, Norman lo seguì ubbidiente. «In quel posto mi permetteranno di bere?»
«Laissez les bon temps rouler» rispose Oscar.
«Quelli li erano dei bravi ragazzi» dichiarò Norman. «Cioè, fanno blocchi stradali e tutto il resto, ma in fondo sono soltanto dei bravi ragazzi americani.»
«Sono militari americani ingaggiati per derubare chi viaggia sull’autostrada.»
«Già. È vero. È terribile, veramente terribile. Sa una cosa? Sono militari fino all’osso, per questo non hanno una mentalità politica.»
Attraversarono il confine texano nell’afa appiccicosa della notte. La krew si era rimpinzata di gamberi bolliti e di coda di alligatore fritta nella pastella, per concludere con una serie apparentemente infinita di giri di whiskey forte come il calcio di un mulo e di caffè fumante corretto al brandy. Nei casinò cajun il cibo veniva servito in quantità epiche. Riuscirono anche a ottenere una speciale riduzione sul conto riservata ai pullman turistici.
Quella di fermarsi a mangiare era stata un’ottima idea. Oscar percepiva che l’umore del suo pubblico in miniatura era cambiato radicalmente. La krew se l’era proprio spassata. Erano stati ripetutamente informati del fatto che si trovavano nello stato della Louisiana, ma soltanto adesso lo sentivano davvero: a rivelarlo era il loro sangue, che scorreva pigro per il troppo cibo ingurgitato.