Carmichael fissò bramoso l’oculare. Era una finestra, anzi, una porta che si apriva su un potere al di là dei sogni di qualsiasi uomo. Una ricchezza al di là di qualunque immaginazione si trovava appena oltre quello spioncino. Il diritto alla vita e alla morte di qualunque uomo vivente. E non c’era nulla, tra lui e quel favoloso futuro, se non l’uomo che stava lì seduto, guardando la macchina.
Talley non parve udire quei passi cauti, o il lieve cigolio della porta alle sue spalle. Non si mosse quando Carmichael sollevò lentamente la pistola. Chiunque avrebbe pensato che fosse ben lungi dall’immaginarsi ciò che stava per capitargli, e neppure perché, o da parte di chi, quando Carmichael gli sparò attraverso la testa.
Talley sospirò e rabbrividi un poco, e ruotò la monopola dell’analizzatore. Non era la prima volta che la macchina gli mostrava il suo corpo privo di vita, intravisto in fondo a qualche sequenza di probabilità nel futuro, ma non aveva mai puntato gli occhi sull’accasciarsi di quella figura fin troppo familiare senza che un alito d’incredibile gelo soffiasse su di lui all’indietro dal futuro.
Alzo la testa, raddrizzò la schiena e si lasciò andare contro la sedia. Fisso gli occhi, pensieroso, su un paio di scarpe dalla suola ruvida che giacevano accanto a lui, sul tavolo. Restò seduto in silenzio per un po’, gli occhi sempre puntati sulle scarpe, mentre seguiva con la mente Carmichael lungo la strada, nella luce calante della sera, e la mattina dopo, e avanti, un giorno dopo l’altro, fino alla crisi successiva, il cui esito sarebbe dipeso dalla solidità dell’appoggio dei suoi piedi sulla banchina di una stazione della metropolitana, mentre un treno passava rimbombando accanto al punto esatto dove Carmichael si sarebbe trovato un giorno della settimana seguente.
Questa volta Talley aveva mandato fuori il suo fattorino ad acquistare due paia di scarpe. E un’ora prima aveva esitato a lungo fra il paio di scarpe a suola ruvida e quello con la suola liscia. Giacché Talley era umano, ed erano molte le volte in cui il suo lavoro gli ripugnava. Ma questa volta, alla fine, era stato il paio di scarpe dalla suola liscia ad essere incartato per Carmichael. Ora, Talley sospirò e tornò a curvarsi per osservare il futuro dentro la macchina, girando il regolare per riportare alla sua vista una scena che aveva già osservato prima.
Carmichael, in piedi sull’affollata banchina della metropolitana, la quale luccicava d’un’umida chiazza oleosa dovuta a un qualche traboccamento. Carmichael, con le scarpe dalla suola liscia che Talley aveva scelto per lui. Un movimento tumultuoso della folla, una spinta verso l’orlo della banchina: i piedi di Carmichael scivolarono spasmodicamente quando il treno passò ruggendo.
«Addio, signor Carmichael», mormorò Talley. Era il saluto che non aveva pronunciato quando Carmichael aveva lasciato il negozio. Lo pronuncio con rincrescimento… e il rincrescimento era per il Carmichael di oggi, che non si meritava una simile fine. Oggi, non era un furfante melodrammatico alla cui morte si poteva assistere impassibili. Ma il Tim Carmichael di oggi doveva espiare per il Carmichael di dieci anni dopo, e il pagamento doveva, inesorabilmente, essere riscosso.
Non e una bella cosa avere il potere di vita e di morte sui propri simili. Peter Talley sapeva, appunto, che non era una bella cosa — ma quel potere era stato posto tra le sue mani. Lui non l’aveva cercato. Gli pareva che la macchina fosse cresciuta quasi per caso, fino al suo incredibile completamento, sotto le sue dita e la sua mente addestrate.
Sulle prime, la cosa l’aveva riempito di perplessità. Come avrebbe dovuto usare un simile congegno? Quali pericoli, quali terribili potenzialità si nascondevano in quell’occhio che poteva vedere attraverso il velo del domani? Sua era la responsabilità, e aveva pesato molto su di lui, finché la risposta non era venuta. Ma, quando aveva saputo la risposta, il peso… be’, il peso era stato ancora maggiore.
Giacché Talley era un uomo mite.
Non avrebbe potuto dire a nessuno perché faceva il negoziante. Per la soddisfazione, aveva detto a Carmichael. E a volte, si, c’era davvero una profonda soddisfazione. Ma altre volte — in momenti come quello — c’erano soltanto sgomento e umiltà. Soprattutto umiltà.
Noi abbiamo ciò che ti serve? Soltanto Talley sapeva che quel messaggio non era per gli individui che, uno alla volta, entravano nel suo negozio. Quel pronome, si, era proprio inteso al plurale, non al singolare. Era un messaggio per il mondo intero — il mondo il cui futuro veniva riplasmato con attenzione e amore sotto la guida di Peter Talley. Non era facile modificare la linea principale del futuro… Il futuro è una piramide che prende forma con lentezza, un mattone dopo l’altro, e Talley doveva appunto cambiarlo un mattone dopo l’altro. C’erano uomini che erano indispensabili — uomini che avrebbero creato e costruito — uomini che dovevano venir salvati.
Talley dava loro ciò che serviva.
Ma, inevitabilmente, c’erano altri uomini il cui corpo era il male. Anche a loro Talley dava ciò di cui il mondo aveva bisogno: la morte.
Peter Talley non aveva chiesto quel terribile potere. Ma nelle sue mani era stata posta la chiave, e lui non osava delegare ad altri una simile autorità… a nessun altro uomo vivente. A volte, anche lui. commetteva errori.
Si era sentito un po’ più sicuro di sé quando gli era venuta in mente l’allegoria della chiave. Sì, la chiave del futuro. Una chiave che era stata posta nelle sue mani.
Ricordando ciò, si lasciò andare nuovamente contro lo schienale di quella vecchia sedia, e allungò la mano verso un libro dall’aspetto consunto. Il libro si aprì con facilità su un passo a lui familiare. Le labbra di Peter Talley si mossero silenziose mentre leggeva, una volta ancora, quel passo, in quella piccola stanza sul retro del negozietto in Park Avenue:
«Ed io ti dico, che tu sei Pietro… E io darò a te le chiavi dei regno dei cieli…»