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A sera inoltrata ella lo raggiunse, calma come la neve che il vento aveva deposto sulla tenda. Avevano entrambi preparato ciò che dovevano portare con sé. Nessuno dei due parlò. Falk si allacciò il cappotto di pelle, si tirò su il cappuccio, annodò i legacci, poi si chinò per slegare il lembo dell'apertura. Ma subito si scostò per far passare un uomo che entrava irruente, piegato in due, attraverso il piccolo varco dell'entrata: Kokteky, un vigoroso Cacciatore, completamente calvo, geloso del suo rango e della sua virilità. — Horressins! La Donna Rossa… — cominciò, poi la scorse nell'ombra, al di là del fuoco ormai morente. Nello stesso istante, vedendo come erano vestiti lei e Falk, si rese conto delle loro intenzioni. Indietreggiò per ostruire il passaggio o per sfuggire all'attacco di Falk, spalancando la bocca per urlare. Senza nemmeno pensarci, con un veloce riflesso e sicuro nel gesto Falk gli sparò a bruciapelo col laser e il lampo fulmineo della luce mortale spense l'urlo nella bocca del Basnasska, bruciandogli bocca cervello e vita in un solo attimo, in un perfetto silenzio.

Falk balzò al di sopra delle ceneri, afferrando la mano della donna, e la fece passare sopra il corpo dell'uomo che aveva ucciso nell'oscurità.

Una neve sottile quasi uno spolverio, turbinava in un vento leggero, mentre il respiro gli si condensava in una nuvoletta fredda. Quello di Estrel usciva mischiato a singhiozzi. Falk, tenendole il polso con la sinistra e reggendo la pistola nella destra, si diresse verso ovest tra le tende sparse, a malapena visibili, punti e macchie di un pallido arancio. In un paio di minuti anch'esse erano scomparse e non rimaneva nient'altro che notte e neve.

Le pistole laser della Foresta Orientale avevano parecchi congegni e funzioni: l'impugnatura poteva servire come accendino mentre dalla canna potevano uscire lampi luminosi non molto potenti. Falk fece partire dalla pistola un bagliore per leggere la bussola e cercare la direzione giusta, poi avanzarono, guidati dalla luce mortale.

Sull'ampia altura dove i Basnasska avevano fissato l'accampamento invernale, il vento aveva quasi spazzato il manto di neve. Ma poco dopo, non sapevano più dove andare; si basavano unicamente sulla bussola rivolta a ovest mentre la tormenta confondeva terra e cielo in un indistinguibile turbinio. Infine arrivarono su un terreno meno elevato. Per qualche metro vi furono mulinelli attraverso i quali Estrel si trovò ad arrancare annaspando come un nuotatore esausto in alto mare. Falk si tirò via dal cappuccio la fettuccia di pelle, se la legò attorno al braccio, e le fece afferrare l'altra estremità, procedendo poi davanti a lei per aprirle il cammino. Una volta lei cadde e diede al legaccio uno strattone che per poco non tirò giù anche lui; si girò e dovette cercarla per un po' con la luce prima di scorgerla, accovacciata dietro di lui, quasi a terra. Si inginocchiò e nella pallida sfera di luce fluttuante di neve le vide il viso distintamente per la prima volta. Disse lei in un mormorio: — È peggio di quel che mi aspettavo…

— Tira un po' il fiato. In questa conca siamo al riparo dal vento.

Si accovacciarono lì insieme, minuscolo puntino luminoso. Attorno volteggiava la neve, spinta dal vento per centinaia di miglia nel buio della pianura.

Lei mormorò qualcosa che in un primo momento non capì: — Perché lo hai ucciso?

Giacendo inerte, con i sensi intorpiditi, cercando di raccogliere le forze per il proseguimento della loro lenta e difficile fuga, Falk non diede risposta. Alla fine borbottò in un mezzo sogghigno: — È cos'altro…?

— Non lo so. Dovevi farlo.

Il suo volto era pallido e teso per la fatica; egli non riusciva a seguire quello che diceva. Era troppo intirizzita per stare ferma a riposare, perciò egli si alzò in piedi costringendo anche lei ad alzarsi. — Vieni. Non deve mancare molto al fiume.

Invece mancava molto. Lei era venuta nella sua tenda alcune ore dopo che si era fatto buio, pensò — c'era una parola per dire ore nella lingua della Foresta, ma il significato era impreciso e dava solo la qualità; persone senza occupazioni e comunicazioni nello spazio e nel tempo non hanno bisogno di indicare le ore e i minuti — e restava un bel po' prima che finisse quella notte d'inverno. Essi avanzarono e avanzò la notte.

Al primo grigiore che venne a rischiarare il turbinoso buio dei fiocchi di neve, stavano scendendo a fatica giù per il pendio di erba e cespugli ghiacciati quanto folti. Un essere possente si alzò proprio davanti a Falk con un suono lamentoso e balzò via nella neve. Da qualche parte lì vicino sentirono sbuffare una vacca o un toro, poi per qualche minuto furono circondati da quelle grosse bestie, mentre la luce pioveva sui bianchi musi e sui grandi occhi liquidi, sui fianchi e sugli ispidi lombi dove si raccoglieva e si ammonticchiava la neve battente. Si lasciarono alle spalle la mandria e arrivarono alla riva del fiumiciattolo che separava il territorio Basnasska da quello dei Samsit. Il corso, molto rapido e poco profondo, non era gelato. Fu giocoforza guadare. La corrente gli intralciava il passo sui sassi lisci, impetuosa contro i piedi, poi contro le ginocchia ad altezza della cintola che pareva infuocata. Le gambe di Estrel cedettero prima che fossero arrivati dall'altra parte. Falk la trascinò fuori dell'acqua, tra i giunchi ghiacciati della sponda occidentale, poi si lasciò cadere accanto a lei in una vuota spossatezza tra i cespugli ricoperti di neve della riva sovrastante. Spense la pistola luminosa. Anche se con una luce pallida una giornata tempestosa stava ormai scacciando le tenebre lungo tutto l'orizzonte.

— Dobbiamo andare avanti, dobbiamo scaldarci con un fuoco.

Lei non rispose.

La strinse tra le braccia contro il suo petto. Avevano stivali, calzoni, eskimo, tutto irrigidito dal gelo, dalla testa ai piedi. Il viso di lei, poggiato sul suo braccio, era di un pallore mortale.

La chiamò per nome, cercando di farla alzare. — Estrel! Estrel, andiamo. Non possiamo stare qui. Dobbiamo andare avanti ancora un po'. Non è poi così duro. Andiamo, svegliati, piccolina, piccolo falco, svegliati… — In preda alla stanchezza lui stesso, le stava parlando come faceva con Parth, allo spuntar del giorno, tanto tempo fa.

Infine lei gli diede ascolto, tirandosi faticosamente in piedi col suo aiuto, riprendendo il laccio tra i guanti gelati, e seguendolo passo passo oltre la riva, poi su per la bassa sponda, quindi avanti nella neve che batteva senza tregua, sempre uguale.

Costeggiarono il letto del fiume, procedendo verso sud, come aveva consigliato lei quando avevano pensato alla fuga. Egli non nutriva alcuna speranza di riuscire a trovare alcunché in quel biancore turbinoso, dove le cose si confondevano come durante la tormenta notturna. Ma poco dopo giunsero a un altro corso d'acqua, tributario di quello che avevano attraversato, e presero a costeggiarlo procedendo con difficoltà sul terreno ineguale. Avanzavano incespicando. Falk ormai pensava che la miglior cosa era lasciarsi cadere e dormire, ma non si risolse a farlo. C'era qualcuno che faceva affidamento su di lui, qualcuno che lontano da lì e molto tempo prima gli aveva fatto intraprendere quel viaggio; non poteva lasciarsi andare perché aveva delle responsabilità…

Ci fu un crepitare appena percettibile vicino al suo orecchio, la voce di Estrel. Davanti a loro un gruppo di alti fusti d'albero spruzzati di neve apparvero come spettri contro il biancore, ed Estrel prese a tirarlo per il braccio. Incespicavano su e giù per le montagnole che costeggiavano la sponda settentrionale del fiume bordato di bianco, sempre lungo gli alti alberi, alla ricerca di qualcosa. — Una pietra — ripeteva lei — una pietra. — E benché non sapesse perché mai avessero bisogno di una pietra, anche lui s'era messo a cercare a tentoni nella neve con lei. Procedevano entrambi strisciando carponi, quando infine lei si imbatté nella pietra che cercava, un enorme masso coperto dalla neve, alto mezzo metro.