Lei esitava, ma lui insistette e infine accettò di accompagnarlo. Gli fece piacere sia per il desiderio e la compassione che provava per lei, sia per la solitudine che aveva conosciuto sino allora e non voleva più provare. Si incamminarono assieme sotto un sole freddo e ventoso. Il cuore di Falk era leggero perché era all'aperto, libero, in cammino. Ora non gli interessava lo scopo del viaggio. Il giorno era splendente, sul loro capo trascorrevano grosse nuvole bianche; procedere era lo scopo, in sé. E così camminava, con quella donna gentile, docile e tenace che gli stava al fianco.
5
Attraversarono la Grande Pianura, a piedi, cosa più facile a dirsi che a farsi. I giorni erano più lunghi delle notti e il venticello primaverile diventava sempre più dolce e tiepido. Infine, da lontano, scorsero la loro meta: la barriera, ancora indistinta per la neve e la distanza, la muraglia che attraversa il continente in tutta la sua lunghezza. Falk rimase immobile, osservando le Montagne.
— Lassù sui monti c'è Es Toch — disse Estrel, guardando con lui. — Spero che lì ciascuno di noi trovi quello che cerca.
— Lo temo più spesso che non lo speri… Eppure sono contento di essere in vista dei monti.
— Dobbiamo muoverci da qui.
— Chiederò al Principe se ci lascia andare domani. Ma prima di lasciarla si girò a guardare verso est, verso il deserto che si estendeva oltre i giardini del Principe, come guardasse indietro a tutta la strada che avevano percorso assieme.
Ora sapeva ancor meglio che mondo misterioso e vuoto abitassero gli uomini in quel periodo della loro storia. Per giorni e giorni egli e la sua compagna avevano marciato senza mai vedere tracce di presenze umane.
All'inizio del loro viaggio procedevano cauti avanzando nel territorio dei Samsit e delle altre popolazioni di Cacciatori di Bestiame, che Estrel definiva predatori quanto i Basnasska. Poi si inoltrarono in una zona più arida e dovettero per forza ripercorrere vie già utilizzate per trovare l'acqua; eppure quando vi erano tracce di persone passate da poco o di abitanti dei luoghi, Estrel stava all'erta e a volte cambiava addirittura direzione per evitare anche il rischio di essere visti. Aveva una conoscenza generica, ma a volte anche specifica della vasta zona che stava attraversando. A volte, quando il terreno diventava impraticabile e non sapevano dove dirigersi, diceva: — Aspetta l'alba — e scostandosi un po' pregava per un attimo il suo amuleto, poi tornava, si avvolgeva nel sacco a pelo e dormiva tranquilla. La strada che sceglieva il mattino dopo risultava sempre giusta. — Istinto di Vagabonda — sosteneva quando Falk ammirava la sua intuizione. — Comunque, fintanto che ci teniamo vicini all'acqua e lontano dagli esseri umani, siamo sicuri.
Ma una volta, a molti giorni di cammino dalla caverna, seguendo l'ansa di uno stretto fiumiciattolo incassato in una vallata, si imbatterono così all'improvviso in un villaggio che le guardie locali li circondarono prima che potessero correr via. Una pioggia battente aveva nascosto qualsiasi segno o suono di quel luogo prima che vi giungessero. Ma gli stranieri non usarono loro violenza, anzi, si dimostrarono disposti a ospitarli per un giorno o due, e Falk ne fu contento perché camminare e accamparsi nella pioggia costituiva un grande disagio.
Gli uomini di questa tribù o popolo si chiamavano gli Apicultori. Gente strana, progredita e armata di laser, vestita tutta allo stesso modo, uomini e donne: lunghe e pesanti camicie gialle con una croce marrone disegnata sul petto; si dimostrarono ospitali quanto incapaci di comunicare. Ai viaggiatori offrirono letti nei loro baraccamenti — costruzioni lunghe e basse, poco solide, di legno e argilla — e cibo in quantità al desco comune; ma parlarono così poco sia agli stranieri sia tra loro, da sembrare quasi una comunità di muti. — Si sono votati al silenzio. Fanno giuramenti e riti, non si sa per quale ragione — disse Estrel con il calmo e olimpico disdegno che pareva provare per quasi tutte le specie di uomini. I Vagabondi devono essere orgogliosi, pensò Falk. Ma gli Apicultori superarono le sue aspettative; a lei non rivolsero la parola nemmeno una volta. Parlavano con Falk. — La tua femmina vuole un paio delle nostre scarpe? — quasi fosse un cavallo ed essi avessero notato che aveva bisogno di scarpe. Le loro donne avevano nomi maschili, si vestivano come uomini e ci si rivolgeva a loro come a uomini. Ragazze solenni, con occhi chiari e labbra silenti, che vivevano e lavoravano come uomini in mezzo a giovani e uomini non meno solenni e sobri. Pochi Apicultori avevano superato la quarantina e nessuno era sotto i dodici. Era una strana comunità, come un esercito accampato in baracche invernali in mezzo alla più profonda solitudine, nella tregua di qualche inspiegabile guerra; strani, tristi, ammirevoli. L'ordine e la frugalità della loro vita fecero ricordare a Falk la sua casa nella Foresta, e il senso di una dedizione nascosta ma indefettibile, integrale, gli riuscì stranamente riposante. Avevano una tale sicurezza, questi bei guerrieri asessuati, nonostante non dicessero mai allo straniero di che fossero così sicuri.
— Per la procreazione provvedono catturando donne selvagge, le usano come scrofe e allevano in gruppo il frutto di questi accoppiamenti. Adorano qualcosa che viene chiamato il Dio Morto e tentano di placarlo con sacrifici, sacrifici umani. Non rappresentano nulla, e non le vestigia di qualche antica superstizione — disse Estrel quando Falk spese qualche parola in favore degli Apicultori. A causa della sua sottommissione, a volte correva il rischio di essere trattata come una creatura di specie inferiore. L'arroganza, in una persona così passiva, era toccante e a un tempo divertente per Falk che a volte la stuzzicava un poco. — Be', anche te ti ho vista alla sera borbottare al tuo amuleto. Le religioni sono varie…
— Certo, — rispose, ma con un tono più dolce.
— Mi chiedo contro chi siano armati.
— Contro i loro Nemici, non v'è dubbio. Come se fossero in grado di combattere contro gli Shing. E come se gli Shing si curassero di combattere contro di loro.
— Vuoi riprendere il viaggio, vero?
— Sì, non mi fido di questa gente. Nascondono troppe cose.
Quella sera andò a prender commiato dal capo della comunità, un uomo dagli occhi grigi di nome Hiardan, un po' più giovane di lui. Hiardan accettò i suoi ringraziamenti con la solita laconicità, poi gli disse nei modi semplici e misurati che distinguevano gli Apicultori: — Credo che tu ti sia comportato in modo assolutamente franco con noi. Di questo ti sono grato. Ti avremmo accolto più liberamente e ti avremmo parlato di argomenti noti solo a noi se fossi venuto da solo.
Falk esitò prima di rispondere. — Mi dispiace. Ma non sarei giunto fin qui se non fosse per la mia guida e amica. E… voi vivete qui tutti assieme, Signore Hiardan. Siete mai stati soli?
— Raramente — rispose l'altro. — La solitudine è la morte dell'anima: l'uomo è l'umanità stessa. Così si dice da noi. Ma da noi si dice anche: "Riponi la tua fiducia solo nei fratelli o nei compagni di arnia che conosci sin dall'infanzia". Ecco la nostra regola. È l'unica sicura.
— Ma io non ho congiunti, perciò non ho sicurezza, Signore — replicò Falk e salutando militarmente, come era costume degli Apicultori, si accomiatò. L'indomani mattina, sul far del giorno, proseguì verso ovest assieme a Estrel.
Di quando in quando durante il cammino videro altri villaggi o accampamenti, ma nessuno grande e tutti dispersi, più o meno cinque o sei in un raggio di cinque, seicento chilometri. Falk ammise fra sé e sé che in alcuni si sarebbe fermato. Era armato, mentre quella gente sembrava del tutto inerme: un paio di tende mobili, da nomadi, lungo un fiumiciattolo semighiacciato, un pastorello solitario su un enorme pendio collinare che pascolava vacche rossastre mezzo selvagge, oppure, molto più in là sul terreno ondulato, uno svolazzo di fumo azzurrognolo che si perdeva nello sterminato cielo grigio. Aveva abbandonato la Foresta per cercare, se mai ve ne fossero, notizie che lo riguardavano, un accenno a cos'era mai, qualcosa che gli facesse capire cos'era stato negli anni di cui non serbava memoria; come poteva venirne a capo se non osava rischiare di fare domande? D'altro canto Estrel aveva paura a fermarsi anche nel più sperduto, nel più misero di questi villaggi della prateria. — Non hanno simpatia per i Vagabondi — soleva ripetere — né per alcuno straniero. Quelli che vivono così soli sono pieni di terrore. Nel loro terrore arriverebbero anche ad accoglierci, a darci cibo e riparo; ma poi nella notte verrebbero a imprigionarci, a ucciderci. Non puoi andar da loro, Falk — e qui lanciò un'occhiata ai suoi occhi — a dirgli sono dei vostri… Sanno benissimo che siamo qui; ci tengono d'occhio. Se ci vedono partire domani non ci torceranno un capello. Ma se non ci vedono andar via, oppure se cerchiamo di andare da loro, avranno paura. È la paura che uccide.