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Il volto acceso dal vento e stanco dal viaggio, il cappuccio spinto all'indietro, l'infuocato vento dell'ovest, pungente e impetuoso, che gli giocava tra i capelli, Falk stava seduto vicino al fuoco da campo, al riparo di una collina a pan di zucchero. Teneva le braccia attorno alle ginocchia. — Verissimo — disse, con tono meditabondo, lo sguardo fisso al lontano filo di fumo.

— Magari è questo il motivo per cui gli Shing non uccidono nessuno. — Estrel intuiva il suo umore e cercava di rincuorarlo, di deviarne i pensieri.

— E perché? — le chiese, consapevole del suo intento, ma senza alcuna reazione.

— Perché non hanno paura.

— Può darsi. — Lo aveva fatto pensare, e non erano pensieri molto allegri. Infine disse: — Bene, poiché si dà il caso che debba andar da loro a porgli tutte le mie domande — questo è lo scopo del mio viaggio — se mi uccidono avrò la soddisfazione di sapere che gli facevo paura…

Estrel scosse la testa. — No. Non uccidono.

— Neanche gli scarafaggi? — chiese lui, scaricando su di lei il malumore derivato dalla stanchezza. — Cosa fanno agli scarafaggi nella loro Città, li disinfettano e poi li lasciano liberi, come i Cancellati di cui mi hai parlato?

— Non lo so — rispose Estrel. Prendeva sempre seriamente le sue domande. — Ma per loro è legge rispettare la vita, e le leggi le osservano.

— Non rispettano le leggi degli uomini. E perché mai dovrebbero, se non sono neanche uomini?

— È proprio per questo che nel loro comportamento c'è rispetto per la vita, non ti pare? Mi hanno insegnato che non ci sono state guerre sulla terra, né fra i vari mondi dacché sono venuti gli Shing. Sono gli esseri umani che si uccidono l'un l'altro!

— Non vi è essere umano che potrebbe farmi quello che hanno fatto gli Shing. Io amo la vita, la amo perché è una cosa molto più difficile e insicura della morte; e la qualità più difficile e insicura di tutte è l'intelligenza. Gli Shing hanno rispettato le loro leggi e mi hanno lasciato in vita, ma mi hanno ucciso l'intelligenza. Non è forse un assassinio questo? Hanno ucciso l'uomo che ero, il bambino che sono stato. E farsi gioco della mente di un uomo a tal punto, è forse rispetto? La loro legge è una pura truffa e il loro rispetto un raggiro.

Sconcertata dalla collera che l'aveva preso, Estrel inginocchiata vicino al fuoco infilava sullo spiedo i pezzi di un coniglio che lui aveva ucciso. La rossa chioma polverosa le incorniciava di riccioli il capo chino; aveva un'espressione paziente e distaccata. Come sempre, riuscì a riavvicinarlo a sé pentito e preso dal desiderio. Erano molto uniti, eppure egli non riusciva mai a capirla; si chiedeva se erano così tutte le donne. Pareva una stanza inaccessibile di una casa smisurata, un cofanetto di cui non aveva la chiave. Non gli nascondeva nulla, eppure il suo riserbo rimaneva intatto, impenetrabile.

Uno sconfinato crepuscolo si andava allargando sulla terra, una distesa di erba zuppa d'acqua per miglia e miglia. La fiammella del loro fuoco bruciava di un rosso dorato nella limpida oscurità della notte.

— È cotto, Falk — disse la morbida voce di lei.

Egli si alzò e le si fece appresso, accanto al focolare. — Amica mia, amore mio — le sussurrò, prendendole la mano per un momento. Sedettero uno vicino all'altra a dividere il cibo, poi il sonno.

Inoltrandosi verso ovest la prateria diventava sempre più asciutta, l'aria sempre più limpida. Estrel piegò un po' a sud per evitare una zona che diceva fosse abitata, o fosse stata abitata, da una popolazione nomade delle più selvagge, i Centauri. Falk si fidò di lei; non aveva nessuna voglia di ripetere l'esperienza dei Basnasska. Al quinto o sesto giorno di cammino giunsero a una regione collinare e si inoltrarono su un terreno asciutto, elevato, piatto e brullo perennemente spazzato dal vento. Le screpolature del suolo si riempivano d'acqua durante le piogge, ma l'indomani erano di nuovo secche. D'estate la zona doveva essere semideserta; perfino in primavera aveva un aspetto desolato.

Mentre avanzavano incontrarono per ben due volte antiche rovine, nulla più di tumuli e monticelli, ma allineati secondo una spaziosa geometria di strade e piazze. In quei luoghi il terreno era tutto percorso da cunicoli pieni di cocci di ceramica, frammenti di vetro colorato e di plastica. Dovevano essere passati due o tremila anni da quando erano scomparsi gli ultimi abitanti. E nessuno era più venuto ad abitare in quella steppa sterminata, buona solo per il pascolo, dopo la diaspora nelle stelle, di cui i documenti frammentari e spesso poco attendibili non indicavano con esattezza la data.

— Si stenta a credere — sbottò Falk mentre costeggiavano la seconda delle città sepolte — che qui bambini abbiano giocato, e… donne steso i panni… secoli fa. Un'altra era. Molto più lontani da noi che i mondi della stella più lontana.

— L'Era delle Città — replicò Estrel — l'Era della Guerra… non ho mai sentito parlare di posti del genere, da nessuno della mia gente. Probabilmente siamo andati troppo a sud, e ci stiamo dirigendo verso il Deserto Meridionale.

Cambiarono pertanto direzione, sempre verso ovest ma un po' più a nord, e l'indomani mattina furono bloccati da un ampio fiume, con acque arancione, turbinoso, non molto profondo, ma pericoloso da attraversare; perdettero tutto il giorno a cercare un guado.

Quando furono sull'altra riva il paese si fece più arido di prima. Passando il fiume avevano riempito le borracce; finora l'acqua aveva costituito un problema per l'eccessiva abbondanza piuttosto che per la scarsità, perciò Falk se ne era preoccupato poco o nulla. Il cielo era di nuovo sereno, il sole splendeva tutto il giorno; per la prima volta dopo centinaia di miglia non dovevano resistere al vento freddo mentre procedevano e dormivano all'asciutto e al caldo. La primavera avanzava veloce e radiosa sulla terra asciutta; all'alba splendeva la stella del mattino e sotto i loro piedi c'era un tappeto di fiori di campo. Ma una volta attraversato quel fiume non incontrarono più corsi d'acqua per tre giorni di seguito.

Lottando con le acque impetuose del fiume, Estrel s'era buscata un colpo di freddo. Non ne fece parola, ma ora non aveva più il suo passo instancabile e il volto incominciò a farlesi più smorto. Fu presa da un attacco di dissenteria. Poco dopo si accamparono. Alla sera, distesa accanto al fuoco di sterpi che avevano acceso, si mise a piangere; non molto, solo un paio di singhiozzi senza lacrime, ma già troppo per una che celava ogni emozione dentro di sé.

A disagio, Falk cercò di confortarla, prendendole la mano; scottava per la febbre alta.

— Non toccarmi — disse allarmata. — No, no. L'ho perso, l'ho perso, come faccio adesso?

Egli vide solo allora che la catena e l'amuleto di pallida giada non le pendevano più dal collo.

— Devo averlo perso attraversando il fiume — disse già più padrona di sé, lasciandosi prendere la mano.