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— Sono sciocchi non meno dei Basnasska, e il vecchio è pazzo.

Benché il Principe non avesse mai voluto vederla, la sua gente era stata gentilissima con lei; perciò il tono di amarezza che Falk sentì nella sua dolce voce lo sorprese non poco. — I Basnasska hanno totalmente dimenticato le vecchie tradizioni degli uomini — disse allora. — Questi invece le ricordano anche troppo bene. — Rise. — Comunque l'aeromobile se ne è andato.

— Non perché l'hanno spaventato con i loro petardi, Falk — replicò lei, seria, come se cercasse di metterlo in guardia da qualcosa.

La guardò. Evidentemente non coglieva la pazzesca, poetica dignità di quei petardi che nobilitavano perfino un aeromobile Shing attribuendogli la qualità di un'eclisse solare. Sotto l'oscura minaccia di una calamità totale, perché non sparare un petardo? Ma da quando si era ammalata, da quando aveva perso il talismano di giada, Estrel era diventata ansiosa e triste, e il soggiorno in quel luogo, che tanto piaceva a Falk, a lei riusciva penoso. Era tempo che se ne andassero. — Andrò dal Principe ad annunciargli la nostra partenza — le disse teneramente, e lasciandola sotto i salici imperlati di gemme giallo-verdi, percorse i giardini e arrivò alla casa principale. Cinque di quei grandi cani dalle spalle massicce gli trotterellarono intorno, una guardia d'onore di cui avrebbe sentito la mancanza quando se ne fosse andato.

Il Principe del Kansas era nella sala del trono, immerso nella lettura. Il disco che occupava la parete orientale della stanza emanava durante il giorno una fredda luce argentea diseguale, come di luna domestica; soltanto di notte splendeva di caldo tepore di luce. Davanti ad esso si ergeva il trono, di lucido legno marmorizzato proveniente dal deserto del sud; Falk aveva visto il Principe seduto sul trono solo la notte del suo arrivo. Sedeva ora su una delle sedie accanto al telaio crea-forme, e alle sue spalle le alte finestre di dieci metri volte a occidente erano prive di tende. Là, in lontananza, si ergevano le scure montagne dalla cima di ghiaccio.

Il Principe sollevò il viso tagliente e ascoltò ciò che Falk aveva da dire. Invece di rispondere, indicò il libro che stava leggendo, non uno di quei rotoli a rilievo stupendamente decorati della sua mirabile libreria, ma un libriccino scritto a mano, rilegato con semplicità. — Conosci questo Canone?

Falk gettò uno sguardo dove gli veniva indicato e lesse il versetto:

Quel che gli uomini temono

deve essere temuto

O desolazione!

Non ha ancora

non ancora raggiunto il limite!

— Lo conosco, Principe! Ho intrapreso questo viaggio portandone una copia nel bagaglio. Ma nella tua copia non riesco a leggere la pagina a sinistra.

— Sono i simboli in cui venne scritto originariamente, cinque o seimila anni fa: la lingua dell'Imperatore Giallo, un mio antenato. Il tuo l'hai perso per strada? Tieni questo, allora. Ma immagino che perderai anche questo; nel cercare la Strada, la strada si smarrisce. O desolazione! Perché dici sempre il vero, Opale?

— Non lo so bene. — E infatti, benché poco per volta fosse giunto alla determinazione di non mentire mai, a chiunque parlasse e per quanto improbabile sembrasse la verità, non sapeva perché fosse arrivato a questa decisione. — Usare le armi del nemico… significa stare al suo gioco…

— Oh, l'hanno vinto da tempo… Così te ne vai? Parti, dunque; è giunto il momento, infatti. Ma terrò qui la tua compagna per un po'.

— Le ho promesso che l'avrei aiutata a trovare i suoi, Principe.

— I suoi? — Rivolse verso di lui un viso duro, ombroso. — Per quale motivo la porti con te?

— È una Vagabonda.

— E io sono una noce verde, tu sei un pesce, quei monti laggiù son fatti di montone arrosto! Fa' pure a modo tuo. Di' la verità, cerca la verità. Avviandoti a ovest raccogli i frutti del mio orto fiorito, Opale, e bevi il latte dei mie mille pozzi all'ombra di felci gigantesche. Non governo forse un regno piacevole? A ovest nel buio troverai miraggi e polvere. È desiderio o lealtà che ti lega a lei?

— Abbiamo percorso un lungo cammino assieme.

— Non fidarti di lei!

— Mi ha dato aiuto, mi ha fatto sperare; siamo compagni. C'è fiducia tra noi; come posso romperla?

— Oh pazzo! Oh desolazione! — disse il Principe del Kansas. — Ti darò dieci donne che ti accompagnino al Luogo della Menzogna, con flauti e tamburi, con pillole contraccettive. Ti darò cinque buoni amici forniti di petardi. Ti darò un cane, davvero, te lo do, un cane vivo e vegeto di quelle razze estinte, perché ti sia compagno. Sai perché di cani non ne è rimasto uno? Perché erano leali, perché erano fedeli. Vai solo, uomo!

— Non posso!

— Vai con chi vuoi allora. Il gioco è fatto. — Il Principe si alzò, andò al trono sotto il cerchio della luna e sedette. Non girò mai la testa, quando Falk cercò di salutarlo.

6

Con solo il ricordo di un picco solitario a dar corpo alla parola montagna, Falk aveva pensato che, raggiunti i monti, sarebbero arrivati a Es Toch. Non si rendeva conto che avrebbero dovuto scavalcare l'architrave di un continente. Le catene di montagne si ergevano una dietro l'altra; e un giorno dopo l'altro arrancarono in su nel mondo delle alture, e la loro meta giaceva cionondimeno più su, più a sudovest. Tra foreste e torrenti e tra pendii che sparivano nelle nuvole, pendii di neve e di granito, si incontrava di quando in quando un accampamento, un villaggio lungo la via. Spesso non li potevano evitare, perché non vi era altra strada. Gli passavano accanto a dorso di mulo, il principesco dono di commiato del Principe, senza incontrare il minimo ostacolo. Estrel ripeteva che quelli della montagna che vivevano alle soglie del territorio Shing erano tipi diffidenti, che non molestavano né accoglievano volentieri gli stranieri e preferivano essere lasciati in pace.

Faceva un freddo tremendo sui monti, in aprile, e accamparsi era un affare serio. L'unica volta che si fermarono in un villaggio fu un vero sollievo. Era un paese minuscolo, quattro case di legno in tutto, accanto a un fiume fragoroso, incassato in una gola su cui incombevano enormi picchi spazzati dalle tempeste; ma aveva un nome, Besdio, ed Estrel vi aveva già soggiornato anni prima, gli disse, quand'era bambina. Gli abitanti di Besdio, un paio dei quali avevano la pelle chiara e i capelli ricci come Estrel, parlarono un po' con lei. Parlavano la lingua dei Vagabondi; Falk con Estrel aveva sempre parlato in Galaktika senza mai imparare questa lingua occidentale. Estrel diede poche spiegazioni, indicando l'est e l'ovest; i montanari annuivano cupamente, studiandola con attenzione, e sogguardando Falk con la coda dell'occhio. Fecero poche domande, diedero loro cibo e riparo per la notte, senza grettezza, ma con modi così freddi e distaccati che Falk si sentì vagamente a disagio.

Comunque la stalla dove passarono la notte era calda, con un vivo tepore di vacche, capre e galline, ammassate tutte assieme in una compagnia sbuffante, odorosa e pacifica. Mentre Estrel si tratteneva ancora a parlare con gli ospiti nella capanna principale, Falk si recò nella stalla e si mise a suo agio. Salì sul fienile e col fieno costruì un ricchissimo letto a due piazze e vi stese i sacchi a pelo. Quando Estrel giunse era già mezzo addormentato, ma riuscì a svegliarsi quel tanto da far notare: — Sono contento che tu sia arrivata… Ci nascondono qualcosa, ma non so che cosa. C'è puzza di guai.

— E anche d'altro…

Estrel non si era mai spinta così avanti con i giochi di parole, e Falk le lanciò uno sguardo sorpreso. — Sei contenta di avvicinarti alla Città, vero? — le chiese. — Vorrei esserlo anch'io.