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— Dunque, non è che me ne ricordi con estrema chiarezza. Ero un bambino, nove anni in tutto, col sistema della Terra. Non credo del resto che lo si possa ricordare chiaramente. Non si sa come… come mettere in relazione le varie cose. Si vede, si sente, ma le cose non combaciano; non vi è nulla che abbia un significato. Non so se mi spiego. E poi quando ritorni a inoltrarti nello spazio interplanetario, si attraversa quella che i Signori chiamano la Soglia, e questo obnubila i passeggeri, a meno che non vi siano preparati. La nostra nave non lo era. Nessuno di noi si era ripreso quando fummo attaccati, per cui non ricordo nulla, nulla più di te, prech Ramarren. Quando rinvenni mi trovavo su un aeromobile degli Shing.

— Perché fosti portato anche tu tra i ragazzi?

— Mio padre era il capitano della spedizione. Anche mia madre era sulla nave. Tu sai bene, del resto prech Ramarren… Se qualcuno tornasse indietro, la sua gente sarebbe tutta morta, da molto molto tempo. Non che importasse… i miei genitori sono morti, ora, comunque. O forse hanno subito la tua stessa sorte, e… e non mi riconoscerebbero se ci incontrassimo…

— E che parte avevo io nella spedizione?

— Eri il nostro ufficiale di rotta.

L'ironia della cosa lo fece trasalire, ma Orry continuò col suo modo rispettoso e ingenuo a un tempo.

— Il che significa, naturalmente che stabilivi la rotta dell'astronave, le coordinate… eri il più grande prostenio, un astronomo-matematico, di tutto Kelshy. Eri prechnowa per tutti noi, fuorché per mio padre, Har Weden. Sei dell'Ottavo Ordine, prech Ramarren! Ti… ti ricordi qualcosa di tutto ciò?

Falk scosse la testa.

Il ragazzo si calmò, dicendo infine con tristezza:

— Quasi quasi stento a credere che tu non ti ricordi, tranne quando fai così.

— Scuotere la testa?

— Su Werel per dire no ci si stringe nelle spalle. Così.

La semplicità di Orry era veramente irresistibile. Falk si provò a fare lo stesso, e gli parve di trovarvi una certa giustezza, una certa proprietà, che lo portava a convincersi che si trattasse davvero di una vecchia abitudine. Sorrise, e Orry immediatamente se ne rallegrò. — Sei così uguale a te stesso, prech Ramarren, e così diverso allo stesso tempo! Perdonami. Ma cosa ti hanno fatto, cosa ti hanno fatto mai per farti dimenticare tutto questo?

— Mi hanno distrutto. È certo che sono me stesso. Sì sono me stesso, sono Falk… — Si prese la testa tra le mani. Orry, sconcertato, stava zitto. L'aria fresca e tranquilla della stanza splendeva attorno a loro come un gioiello verde-azzurro; la parete occidentale era scintillante perché vi moriva il sole.

— Sei sotto stretta sorveglianza, qui?

— I Signori desiderano che porti con me un comunicatore, se me ne vado con l'aeromobile. — Orry si toccò il braccialetto del polso sinistro, all'apparenza un'innocua catena di anellini d'oro. — Del resto non è pericoloso muoversi tra gli indigeni.

— Ma sei libero di recarti dove ti pare?

— Ma certo, è naturale. Questa tua stanza è identica alla mia, a cavallo della gola. — Orry di nuovo sembrava perplesso. — Non abbiamo nemici qui, sai, prech Ramarren — azzardò.

— No? E dove sono allora i nostri nemici?

— Bé, fuori, lì da dove sei venuto…

Si fissarono in mutua incomprensione.

— Pensi che siano gli uomini i nostri nemici… i Terraniani, gli esseri umani? Pensi che siano stati loro a distruggermi la mente?

— E chi altri? — chiese Orry terrorizzato, ansimante.

— Gli alieni… il Nemico… gli Shing!

— Ma — disse il ragazzo con una timida gentilezza, quasi si rendesse conto solo allora di quanto profondamente ignorante e fuori strada fosse il suo ex-signore e maestro — ma non c'è mai stato un Nemico. Non c'è mai stata una Guerra.

La stanza tremò leggermente, come un gong percosso da una vibrazione quasi sub-auricolare; un attimo dopo una voce, impersonale, diceva «Si riunisce il Consiglio». La porta scorrevole si aprì ed entrò un'alta figura, cha avanzava maestosa in bianchi vestimenti e portava una parrucca nera riccamente adorna. Le sopracciglia erano completamente rasate e ridisegnate più in alto; il viso, che il trucco levigava fin quasi ad appiattirlo, era quello di un uomo robusto di mezza età. Orry si levò prestamente dal tavolo e si inchinò con un sussurro. — Il Signore Abundibot.

— Har Orry — replicò l'uomo, con una voce altrettanto smorzata, fino a diventare un sussurro stridulo, poi, rivolto a Falk: — Agad Ramarren, sii il benvenuto. Il Consiglio della Terra si incontra per rispondere ai tuoi quesiti e prendere in considerazione le tue richieste. Ora guarda… — Aveva indugiato con lo sguardo su Falk per non più di un secondo, e non si avvicinava molto a nessuno dei due Wereliani. In lui c'era una strana aria di potenza e insieme di riserbo e di raccoglimento. Era lontano, irraggiungibile. Rimasero tutti e tre immobili per un momento, poi Falk, seguendo lo sguardo degli altri vide che la parete interna della stanza si era oscurata e aveva mutato aspetto: ora sembrava una spessa gelatina grigio pallido, dove si agitavano tremolanti linee, e forme. Poi l'immagine divenne più chiara, e Falk trattenne il respiro. Era il viso di Estrel, dieci volte più grande che al naturale. Gli occhi guardavano verso di lui con la remota compostezza di un dipinto.

— Io sono Strella Siobelbel. — Le labbra dell'immagine si mossero, ma la voce non aveva nessuna localizzazione, un freddo, astratto bisbiglio che tremolava nell'aria della stanza. — Fui inviata per riportare sano e salvo in Città quel membro della Spedizione Wereliana che si diceva vivesse nella parte Orientale del Continente Uno. Credo che costui sia quell'uomo.

E il suo volto scomparve, lasciando il posto a quello di Falk.

Una voce impersonale e sibilante domandò: — Har Orry, riconosci costui?

Quando Orry rispose, sullo schermo comparve il suo viso.

— Quest'uomo è Agad Ramarren, Signori, l'Ufficiale di rotta di Alterra.

Il volto del ragazzo si dileguò e lo schermo rimase vuoto, tremolante, mentre innumerevoli voci mormoravano con sussurri di aria, come una breve discussione affollata di spiriti, che parlavano una lingua sconosciuta. Ecco come tenevano il Consiglio gli Shing: ciascuno nella propria stanza separato dagli altri, con la sola presenza di voci bisbiglianti. Mentre l'incomprensibile botta e risposta continuava, Falk mormorò a Orry: — Conosci questa lingua?

— No, prech Ramarren. Mi parlano sempre in Galaktika.

— Perché si parlano in questo modo, anziché viso a viso?

— Sono un'infinità… migliaia e migliaia che s'incontrano nel Consiglio della Terra; a me l'ha detto il Signore Abundibot. E sono sparsi su tutto il pianeta, in molti luoghi, benché l'unica citta sia Es Toch. Quello di adesso è Ken Kenyek.

Era cessato il ronzio delle voci impersonali e sullo schermo era comparso un nuovo viso, un viso d'uomo, con una pelle mortalmente bianca, capelli neri, occhi slavati. — Agad Ramarren, siamo riuniti in Consiglio, e anche tu vi partecipi, perché ti sia possibile portare a termine la tua missione sulla Terra e, se lo desideri, tornare alla tua casa. Il Signore Pelleu Abundibot parlerà con te.

La parete si liberò improvvisamente, tornò del suo normale verde traslucido. L'uomo alto che stava dall'altra parte della stanza lo guardava fisso. Le labbra non si mossero, ma Falk lo udì parlare, e non con un sussurro, ma chiaramente, anzi con singolare chiarezza. Non poteva credere che fosse telepatia, eppure non poteva essere altro. Completamente priva di carattere e timbro, che sono la personificazione di una voce, questa era comprensibilità pura e semplice, ragione che si rivolge alla ragione.

— Parliamo con la mente perché tu senta solo verità. Non é vero, infatti, che noi che ci chiamiamo Shing, o alcun altro uomo, possa cambiare o dissimulare la verità nel discorso paraverbale. La Menzogna che gli uomini attribuiscono a noi è essa stessa una menzogna. Ma se preferisci comunicare verbalmente, allora fallo e noi ci adegueremo.