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Il ragazzo si strinse nel suo wereliano — No -, sempre arrossendo; la droga infine lo spinse a parlare e disse: — Non toccano i comuni mortali, prech Ramarren; sono come dei freddi, gentili, saggi. Si tengono in disparte.

Parlava sciolto, incoerente, fanciullesco. Sapeva di essere solo, orfano e alieno, di avere terminato la fanciullezza ed essere entrato nell'adolescenza in mezzo a questa gente che si teneva in disparte, che non lo toccava, che lo riempiva di parole, ma lo lasciava così vuoto di realtà da costringerlo a ricorrere alla droga, a soli quindici anni, per avere un po' di gioia? Certamente non aveva idee chiare sul suo isolamento; né sembrava avere idee molto chiare su nulla. Ma dallo sguardo pareva a volte nutrire un desiderio ardente, di cui Falk era parte. Desiderio e debole speranza: lo sguardo di uno che muore di sete in un deserto di sale senza una goccia d'acqua, e vede un miraggio. Era più di quel che Falk voleva chiedergli, ma era del tutto inutile fargli domande. Preso da pietà per lui, Falk mise la mano sull'esile spalla di Orry. Il ragazzo fece un balzo, sorrise timido e confuso, e riprese a succhiare il suo tranquillante.

Tornato nella stanza, dove ogni cosa era disposta lussuosamente per sua comodità — o per impressionare Orry? — Falk andò per un po' avanti e indietro come un leone in gabbia; infine si stese a dormire. Sognava di essere in una casa, simile alla Casa della Foresta, ma la gente della sua casa di sogno aveva occhi color agata e ambra. Cercò di dire che era uno dei loro, loro affine, ma essi non capivano le sue parole e lo guardavano stupiti, mentr'egli farfugliava in cerca delle parole giuste, le parole vere, il nome vero.

Quando si svegliò degli uomini programmati furono pronti a servirlo. Egli li lasciò liberi ed essi si allontanarono. Si recò nel salone. Nessuno a sbarrargli il passo; non incontrò nessuno sul suo cammino. Sembrava tutto deserto, nessuno che si muovesse nel lungo corridoio nebbioso, né sulle rampe o dentro le stanze che si potevano intravedere attraverso pareti opache, di cui non si trovavano le porte. Eppure si sentì osservato per tutto quel tempo, sentì che ogni suo movimento veniva osservato.

Quando tornò nella sua stanza c'era Orry ad aspettarlo, perché voleva fargli vedere la città. Esplorarono per tutto il pomeriggio, ora a piedi, ora sulla slitta di paristolis: per le vie, i giardini pensili, i ponti, i palazzi, le dimore di Es Toch. Orry era generosamente fornito di dischetti di iridio che servivano da moneta e quando Falk osservò che non gli piaceva il fantasioso vestito che gli ospiti gli avevano procurato, Orry insistette per accompagnarlo in un negozio di abiti a sceglierne uno. Si trovò in mezzo a scaffalature e tavoli pieni di abiti sfarzosi, di tessuto o di plastica, sgargianti e con disegni a splendidi colori; pensò a Parth che tesseva al suo piccolo telaio seduta al sole un disegno di gru bianche su fondo grigio. «Voglio tessermi tessuti neri da indossare» gli aveva detto; e ricordando le sue parole scelse tra tutti i begli abiti multicolori, cappe e vestiti, dei calzoni neri, una camicia scura e una mantellina nera corta, invernale.

— Sono abbastanza simili ai vestiti che portiamo noi a casa… su Werel — disse Orry, guardando perplesso la sua tunica rosso fiamma. — Solo che lì non abbiamo abiti invernali. Oh, ci sarebbero tante cose che potremmo riportare dalla Terra su Werel, per raccontarlo e insegnarlo, se potessimo andarci!

Si recarono poi in un ristorante costruito a cavallo della gola. Via via che l'avanzare della sera fredda e splendente di alta montagna rendeva più scuro l'abisso sottostante, gli edifici ai suoi bordi si facevano iridescenti e le strade e i ponti pensili splendidi di luci. La musica vagava nell'aria mentre mangiavano cibi contraffatti dalle spezie osservando l'andirivieni della folla cittadina.

Alcuni di quelli che camminavano per Es Toch erano vestiti poveramente, altri riccamente, molti nella foggia sfarzosa e ostentata che Falk ricordava vagamente di aver visto indosso a Estrel. C'erano vari tipi fisicamente diversi, alcuni dei quali Falk non aveva mai visto. Un gruppo aveva la pelle bianca, occhi blu e capelli color paglierino. Falk pensò che se li fossero schiariti, ma Orry gli spiegò che erano membri di una tribù di una zona del Continente Due, la cui cultura veniva incoraggiata dagli Shing, e che portavano capi e giovanetti nell'aeromobile a vedere Es Toch e a imparare i modi. — Vedi, prech Ramarren, non è vero che i Signori rifiutino di insegnare agli indigeni… sono questi che rifiutano di imparare. Questi bianchi sono stati messi a parte della conoscenza dei Signori.

— E cosa hanno dovuto scordare per ottenere questo premio? — chiese Falk, ma la domanda non ebbe significato per Orry. Non sapeva quasi nulla di nessuno dei "nativi", né come vivessero, né cosa sapessero. I negozianti, i camerieri li trattava con condiscendenza, col garbo che si usa con gli inferiori. Questa arroganza doveva derivargli da Wereclass="underline" infatti la società Kelshiana nei suoi racconti appariva gerarchica, fortemente consapevole del livello di ognuno nell'ambito dell'ordine generale, ma quali criteri determinassero l'ordine, su quali basi fosse fondato, Falk non arrivava a capire. Non si trattava semplicemente di privilegio di nascita, ma i ricordi infantili di Orry non bastavano a dare un quadro chiaro. Comunque fosse, a Falk non piaceva il tono con cui Orry pronunciava la parola "nativi", tanto che alla fine gli chiese con una sfumatura ironica: — Come fai a sapere a chi devi inchinarti e chi deve inchinarsi a te? Io non riesco a distinguere i Signori dai Nativi. I Signori sono nativi, non è vero?

— Oh sì. I nativi si autodefiniscono così perché insistono a dire che i Signori sono conquistatori alieni. Neanch'io riesco sempre a differenziarli — disse il ragazzo con il suo sorriso vago, seducente e ingenuo.

— La maggior parte delle persone per strada sono degli Shing?

— Immagino di sì. Naturalmente ne conosco solo pochi di vista.

— Non capisco cosa separi i Signori, gli Shing, dai nativi, se sono tutti Terraniani, indistintamente.

— Come!… Conoscenza, potenza… I Signori hanno retto la Terra più a lungo che gli achinowao Kelshy.

— E con tutto ciò si tengono separati, come una casta? Hai detto che i Signori credono nella democrazia. — Era un termine antiquato che l'aveva colpito quando l'aveva sentito usare da Orry; non era sicuro del significato, ma sapeva che aveva a che fare con la partecipazione comune al governo.

— Si, c'erto, prech Ramarren. Il Consiglio governa democraticamente per il bene di tutti, e non c'è né re né dittatore. Andiamo in una sala da pariitha? Hanno stimolanti, se non ti va il pariitha, e danzatrici, e suonatori di tèanb…

— Ti piace la musica?

— No — disse il ragazzo con candore apologetico. — Mi fa venir voglia di piangere o urlare. Naturalmente su Werel cantano solo gli animali e i bambini piccoli. È… sembra paradossale sentirlo fare dagli adulti. I Signori invece cercano di incoraggiare le arti tra i nativi. Anche la danza, che a volte è molto bella…

— No — In Falk andava sorgendo una tenace irrequietezza, il desiderio di vedere, di andare fino in fondo alla questione. — Ho una domanda da fare a quello lì chiamato Abundibot, se accetta di vederci.

— Certamente. È stato mio insegnante a lungo; lo chiamerò con questo. — Orry si portò alla bocca il braccialetto ad anelli d'oro che teneva al polso. E mentre vi parlava dentro Falk stava seduto a ricordare le preghiere che Estrel mormorava al suo amuleto, e a chiedersi quanto miope potesse mai essere stato. Qualsiasi imbecille avrebbe potuto indovinare che quell'affare era una trasmittente; qualsiasi imbecille, tranne lui… — Il Signore Abundibot dice di andare quando vogliamo. È nel Palazzo Orientale — annunciò Orry e si avviarono, mentre Orry lanciava una moneta al cameriere che li faceva uscire con un inchino.

Temporalesche nubi primaverili avevano nascosto stelle e luna, ma le strade ciononostante splendevano di luci. Falk le attraversò col cuore greve. Malgrado i timori, aveva bramato di vedere la città elonaae, il Luogo degli Uomini; ma ora lo preoccupava e lo annoiava. Non era la folla che lo infastidiva, benché a sua memoria non avesse mai visto più di dieci case o un centinaio di persone raccolte insieme. Non era la realtà della città che lo sopraffaceva, ma la sua irrealtà. Non era, questo, il Luogo degli Uomini. Es Toch non serbava nessun senso della storia, di estensione nel tempo e nello spazio, benché governasse il mondo da un millennio. Non v'era traccia delle biblioteche, delle scuole, dei musei che gli antichi libri visivi della Casa di Zove lo avevano indotto a cercare; non v'erano monumenti, né vestigia della Grande Era dell'Uomo; non c'era scambio di sapere né di merci. Il denaro usato era nient'altro che una liberalità degli Shing, dato che mancava assolutamente l'economia a conferirgli una vita sua propria. Benché si dicesse che i Signori fossero moltissimi, tuttavia sulla Terra avevano solo questa città, e la tenevano appartata, come se la Terra stessa fosse tenuta da parte rispetto agli altri mondi che un tempo avevano fatto parte della Lega. Es Toch era autoregolata, autoalimentata, senza radici; tutto il suo splendore e sfavillio di luci, veicoli, volti, la sua molteplicità di stranieri, la complessa sontuosità eran costruiti su un baratro della terra, su un luogo vuoto. Era il Luogo della Menzogna. Eppure era meraviglioso, come un gioiello inciso nell'ampia desolazione della Terra: splendida, fuori del tempo, aliena.