Grant imprecò, sottovoce, pensando al freddo della notte che si sarebbe insinuato nelle sue ossa, durante il sonno, pensando alle razioni fredde e sgradevoli che avrebbe dovuto mangiare.
Picchiò di nuovo la pistola sulla roccia, questa volta con maggiore forza. E, ancora, senza risultato.
Si udì scricchiolare qualcosa, un ramoscello che si spezzava nelle tenebre che andavano colmando sempre più rapidamente ogni anfratto, e Grant si rialzò di scatto, sorpreso. Accanto al tronco oscuro di uno dei giganti del bosco che torreggiavano nell’ombra sempre più fitta della sera era in piedi una figura umana, alta e dinoccolata.
«Salve,» disse Grant.
«Qualcosa che non va, straniero?»
«La mia pistola…» rispose Grant, ma si interruppe subito. Non aveva senso far conoscere a quella figura indistinta, confusa tra gli alti tronchi del bosco, che lui era disarmato.
L’uomo si fece avanti, tendendo la mano.
«Non funziona, eh?»
Grant si sentì togliere di mano la pistola.
L’ospite inatteso si acquattò per terra, incrociando le gambe, facendo degli strani suoni con la bocca, uno strano chiocciare sommesso che non aveva senso alcuno. Grant cercò di vedere cosa stesse facendo lo sconosciuto, ma l’oscurità che scendeva silenziosa e sempre più fitta trasformava la mano dell’uomo in una macchia nera come l’inchiostro, confusa, che si muoveva veloce sul lucido metallo della pistola.
Si udì uno scatto, e uno stridere metallico sommesso. L’uomo aspirò profondamente l’aria e rise forte. Si udì di nuovo lo stridere metallico, e poi di nuovo lo scatto, e infine l’uomo si alzò, porgendogli la pistola.
«Tutto sistemato,» disse. «Forse funziona meglio di quanto non abbia mai funzionato prima.»
Un ramoscello scricchiolò di nuovo, si spezzò nel silenzio carico di oscurità della sera.
«Ehi, aspetti un momento!» gridò Grant, ma l’uomo se ne era già andato, un fantasma nero che si muoveva tra i fantasmi dei tronchi.
Un brivido che non era il brivido della notte salì sinuosamente dal terreno e risalì lentamente, come un serpente oscuro, il corpo di Grant, gelandogli il sangue, fermandogli per un istante il cuore. Un brivido gli fece battere i denti, come se fosse stato nudo su quelle alte colline nel cuore dell’inverno, un brivido che gli fece rizzare i capelli sulla nuca, un brivido che gli diede la pelle d’oca, un brivido di disagio che la sua volontà non poteva sopprimere.
Non c’era alcun suono, a eccezione dell’allegro chiacchierio dell’acqua che saltellava come un cucciolo felice nell’oscurità, muovendosi nel torrentello che scorreva appena più in basso del punto in cui aveva sistemato il suo accampamento.
Tremando, Grant si inginocchiò accanto alla catasta di ramoscelli, e premette il pulsante della pistola. Una sottile fiamma azzurrina sgorgò dall’arma e i ramoscelli presero fuoco, crepitando e unendo il loro richiamo alla risatella oscura del torrente e al mormorio cupo del vento che spirava tra gli alti tronchi del bosco.
Grant trovò il vecchio Dave Baxter appollaiato in cima alla staccionata, intento a lanciare grandi sbuffi di fumo dalla pipa corta che quasi scompariva tra i baffi folti e cespugliosi dell’uomo.
«Salve, straniero,» disse Dave. «Salta su e riposati un poco.»
Grant si arrampicò sulla staccionata, e lasciò vagare lo sguardo sul campo biancheggiante di granoturco, punteggiato qua e là dalle gaie macchie dorate dei meloni che maturavano al sole.
«Vai in giro tanto per passeggiare,» chiese il vecchio Dave, «O cerchi qualcosa?»
«Cerco qualcosa,» ammise Grant.
Dave si tolse di bocca la pipa, sputò, e se la infilò di nuovo in bocca. I baffi rinchiusero la pipa in un abbraccio affettuoso, e pericoloso, bruciacchiati com’erano dal calore del fornello.
«Scavi?» domandò il vecchio Dave.
«No,» rispose Grant.
«È passato un tizio di qui, quattro, cinque anni fa,» disse Dave, «Che era peggio di un cane da tartufi, per scavare. Ha trovato il posto dove c’era stata una vecchia città e allora si è messo a scavare come un dannato, ha buttato per aria tutto, pareva un ossesso. Mi ha rotto le scatole a furia di chiedermi notizie della città, com’era e cos’era e chi c’era, ma io non ricordavo molto. Una volta mio nonno fece il nome della città, ma che m’impicchino se non l’ho dimenticato. Il tizio che ti ho detto aveva un fascio di vecchie mappe che agitava sempre e mostrava in giro e studiava tutto il santo giorno, lui, cercando di capirci qualcosa, chissà che cosa, ma scommetto che non ha mai trovato nulla di quello che cercava, il diavolo sa cos’era.»
«Forse era un cercatore di antichità,» disse Grant.
«Può darsi,» gli disse il vecchio Dave, «Ma io cercavo di girargli al largo, per quel che potevo. Però non era peggio del tale che cercava di rintracciare chissà quale vecchia strada, e che è passato una volta da queste parti. Anche lui aveva delle mappe. Se ne è andato convinto di averla trova ta, la sua vecchia strada, e io non ho avuto il coraggio di dirgli che quella che aveva trovato era una pista tracciata dalle vacche.»
Piegò il capo, come un passero, e lanciò un’occhiata sospettosa a Grant.
«Tu non cerchi nessuna vecchia strada, vero?»
«No,» disse Grant. «Io sono un addetto al censimento.»
«Un che cosa?»
«Un addetto al censimento,» spiegò Grant. «Trascrivo il tuo nome e la tua età e il nome del posto in cui vivi.»
«E a che ti serve?»
«Il governo lo vuole sapere,» disse Grant.
«Noi non rompiamo le scatole al governo,» dichiarò il vecchio Dave. «E chi gliel’ha detto, al governo, di venire a rompere le scatole a noi?»
«Il governo non vuole rompere le scatole a nessuno,» gli disse Grant. «Magari un giorno o l’altro potrà perfino venirgli l’idea di pagarti qualcosa. Non si sa mai, quando c’entra il governo.»
«In questo caso,» disse il vecchio Dave, «La cosa cambia faccia.»
Rimasero appollaiati lassù, sulla staccionata, fianco a fianco, e guardarono i campi che si stendevano intorno a loro, a perdita d’occhio. Del fumo saliva pigramente da un comignolo nascosto in un avallamento bagnato dal sole, giallo dello splendore ardente delle betulle. Un torrente scorreva sinuoso, placidamente, attraverso un grande prato dipinto dei colori dell’autunno, e oltre il prato la collina cominciava a inerpicarsi verso il cielo, una grande collina che si univa alle altre colline formando una scala di roccia e di colori porpora e oro, una scala i cui gradini erano fatti di cuscini dorati di foglie d’acero.
Lassù, sulla staccionata di legno, nei campi d’autunno cir condati dalle colline gialle, brune e violette là, dove le vette sfumavano nei vapori leggeri del cielo, Grant si lasciò pervadere dalla carezza calda e gradevole del sole d’autunno, e respirò felice il profumo dei campi e della natura.
Una buona vita, pensò. Un raccolto abbondante, una terra fertile, molta legna da bruciare, selvaggina da cacciare, a volontà. Una vita felice.
Lanciò un’occhiata al vecchio che gli stava accanto, vide le rughe serene di una vecchiaia amica, rughe che erano state scavate sul suo viso dal tempo e dal sole e dalla pioggia e dalle ore passate tra quei campi, e non dall’angoscia e dal dolore e dalle preoccupazioni di ogni momento, e cercò per un momento di immaginare compiutamente l’essenza di quella vita… una vita semplice, pastorale, uguale a quella vissuta nei giorni storici dell’antica frontiera americana, con tutte le ricompense e le gioie autentiche offerte dalla frontiera, e senza nessuno dei suoi pericoli.
Il vecchio Dave si tolse la pipa di bocca, e la impugnò per indicare il campo, muovendola lentamente per abbracciare l’intera sinfonia di colori e di autunno e di piccole cose felici che scorrevano, crescevano, guizzavano, stormivano intorno.