Oppure c’era stato un errore fondamentale nella scelta dei Rimbalzanti come forma di vita più adatta a esistere sulla superficie del pianeta? L’evidente intelligenza dei Rimbalzanti era stata il fattore decisivo di quella scelta. Perché se la creatura nella quale l’Uomo si trasformava non aveva capacità d’intelligenza, l’Uomo non avrebbe potuto conservare a lungo la propria intelligenza nel suo nuovo involucro.
Forse i biologi avevano dato un peso troppo grande a quel fattore, usandolo per spostare i piatti della bilancia a favore della scelta dei Rimbalzanti, e trascurando così qualche altro elemento che avrebbe potuto rivelarsi insoddisfacente, o perfino disastroso? Non sembrava probabile. Erano boriosi e presuntuosi e testardi, i biologi, e guardavano i comuni mortali dall’alto in basso, ma conoscevano il loro mestiere, di questo poteva esserne sicuro.
E allora? Forse l’intera impresa era impossibile, condannata fin dalla nascita? La conversione degli uomini in altre forme di vita aveva funzionato su altri pianeti, ma questo non significava necessariamente che la stessa soluzione si applicasse anche a Giove. Forse l’intelligenza umana non poteva funzionare normalmmente, attraverso l’apparato sensorio fornito dalle creature gioviane. Forse i Rimbalzanti erano così alieni che non esisteva un terreno comune sul quale la conoscenza umana e la concezione dell’esistenza gioviana potessero incontrarsi e iniziare un comune lavoro.
O forse il difetto era da cercarsi nell’Uomo, forse era un difetto congenito della razza. Qualche aberrazione mentale che, unita a ciò che gli uomini trovavano là fuori, nel mondo tempestoso e mortale, impediva agli esploratori di tornare indietro. Anche se, forse, non si trattava affatto di un’aberrazione, almeno nel senso umano della parola. Forse si trattava soltanto di una comune caratteristica umana, che sulla Terra era considerata scontata e perfino banale, ma che si scontrava a tal punto con l’esistenza gioviana da produrre un trauma irreparabile alla psicologia umana.
Si udì uno scalpiccio nel corridoio, e ascoltando quel suono Fowler sorrise involontariamente, e con un poco di amarezza. Era Towser che era stato in cucina e adesso tornava da lui, dopo avere fatto visita al suo amico, il cuoco.
Towser entrò nella stanza, con un osso stretto tra i denti. Agitò festosamente la coda, salutando Fowler, e si acquattò a terra, davanti alla scrivania, cominciando a giocherellare con l’osso. Per un lungo minuto i suoi occhi acquosi guardarono il padrone, e Fowler si chinò ad accarezzare l’orecchio spelacchiato del vecchio cane.
«Tu mi vuoi ancora bene, Towser?» domandò Fowler, e Towser dimenò la coda.
«Sei rimasto il solo,» disse allora Fowler.
Si rialzò, e tornò al suo lavoro. Raccolse di nuovo l’elenco del personale.
Bennett? Bennett aveva una ragazza che lo aspettava lassù, sulla Terra.
Andrews? Andrews intendeva ritornare all’istituto di Tecnologia di Marte, non appena avesse guadagnato il necessario per pagarsi gli studi per l’ultimo anno.
Olson? Olson era ormai vicino all’età della pensione. Non faceva altro che raccontare ai ragazzi più giovani le bellezze del posto in cui sarebbe andato a vivere, e delle rose che avrebbe coltivato.
Lentamente, Fowler posò l’elenco sulla scrivania, con precauzione, come se fosse stato un oggetto molto fragile e molto prezioso.
Lui condannava a morte degli uomini. La signorina Stanley aveva detto questo, muovendo appena le labbra sottili nel suo viso simile a una maschera di morte. Deciso a farli marciare fino a incontrare Giove nel suo vero aspetto, fino a morire, mentre lui, Fowler, se ne stava seduto lì, al sicuro, comodamente.
Lo dicevano tutti, nella cupola, senza dubbio, soprattutto da quando Allen non era ritornato. Non avrebbero avuto il coraggio di dirglielo in faccia, naturamente. Nemmeno l’uomo che lui avrebbe convocato nell’ufficio, l’uomo che si sarebbe fermato sull’attenti davanti alla sua scrivania e avrebbe ascoltato dalla voce di Fowler le parole che lo condannavano a morte, neppure colui che avrebbe seguito Allen nelle ostili distese di Giove, avrebbe avuto il coraggio di dirglielo in faccia. E forse non si trattava di coraggio, ma di qualche altra cosa… obbedienza, disciplina, rassegnazione. Chi avrebbe seguito Allen, e quelli che sarebbero venuti dopo di lui, non avrebbe parlato.
Ma lui avrebbe letto le parole nei suoi occhi.
Riprese in mano l’elenco. Bennett, Andrews, Olson. C’erano degli altri, ma non aveva senso continuare.
Kent Fowler capì che non avrebbe potuto farlo, che non avrebbe potuto guardarli negli occhi, che non avrebbe potuto mandare degli altri uomini a morire là fuori.
Si piegò sulla scrivania, allungò una mano e premette il pulsante dell’intercom.
«Sì, signor Fowler?»
«Mi passi la signorina Stanley, per favore.»
Aspettò di entrare in comunicazione con la signorina Stanley, e mentre aspettava sentì il rumore che producevaa Towser, intento a masticare il suo osso. I denti di Towser non erano più buoni come ai vecchi tempi; il cane faceva fatica.
«Parla Stanley,» disse la voce della signorina Stanley.
«Volevo soltanto avvertirla, signorina Stanley, di prepararsi a convertire altri due.»
«Non ha paura,» domandò la signorina Stanley, «Di esaurire troppo in fretta tutta la sua riserva? Mandando fuori un uomo per volta, le durerebbero di più, e lei avrebbe il doppio di soddisfazione.»
«Uno sarà un cane,» disse Fowler.
«Un cane!»
«Sì, Towser.»
Sentì la collera improvvisa e fredda che le raggelò la voce.
«Il suo cane, perfino! Dopo che le è stato fedele per tutti questi lunghi anni…»
«È questo il punto,» disse Fowler. «Towser soffrirebbe se non lo portassi con me.»
Non era il pianeta Giove che lui aveva conosciuto attraverso i teleschermi. Se l’era aspettato diverso, certo, aveva saputo fin dall’inizio che gli occhi elettronici della cupola non potevano dare una visione completa del grande, tempestoso pianeta, ma non se l’era aspettato così. Aveva creduto di sprofondare in un inferno di nubifragi di ammoniaca e di vapori fetidi e asfissianti, aveva creduto di venire assordato dal tuono tumultuoso dell’eterna bufera. Aveva immaginato di trovarsi tra vortici di enormi nubi gravide di tempesta e in un mare di nebbia ostile solcato incessantemente dal balenio accecante di fulmini mostruosi.
Ma non si era aspettato che la pioggia flagellante si trasformasse in quella nebbia umida e purpurea e lenta che si muoveva come una processione compatta d’ombre fuggevoli sopra una prateria che pareva un arcobaleno di tonalità rosse e cangianti. Non aveva neppure lontanamente sognato che le crudeli serpentine dei fulmini si trasformassero in guizzi e bagliori di pura estasi che sbocciavano senza pause in un cielo dipinto.
Fermandosi ad aspettare Towser, Fowler mosse i muscoli del suo corpo, sorpreso dalla forza sicura e agile che vi trovava. Non era un corpo cattivo, decise, e ripensò con uno strano senso di compatimento a quando aveva provato un senso di commiserazione per i Rimbalzanti, vedendoli per la prima volta attraverso il teleschermo.
Perché era stato difficile immaginare un organismo vivente basato sull’ammoniaca e sull’idrogeno invece che sull’acqua e sull’ossigeno, era stato ancora più difficile credere che una simile forma di vita potesse provare lo stesso brivido della vita che l’umanità conosceva. Era stato difficile concepire l’esistenza della vita là fuori, nel maelstrom sciropposo che era Giove, non sapendo allora, naturalmente, che attraverso degli occhi gioviani quel maelstrom sciropposo non era affatto ciò che sembrava.
Il vento accarezzò il suo corpo con dolcezza, e lui ricordò, stupito, che quel vento, secondo i canoni terrestri, era un ciclone ruggente, un uragano tempestoso, una furia scatenata di venti inarrestabili carichi di vapori venefici.