«Scriverò tutto,» si disse. «Avrò tempo, e potrò scrivere tutto.»
Ma la scrittura, capì con un brivido, era uno strumento misero e inadeguato.
L’occhio di una telecamera sporgeva dall’involucro cristallino della cupola, e con un balzo lui si avvicinò a esso. Rivoletti di nebbia condensata vi scorrevano sopra, e lui si alzò, ritto sulle zampe posteriori per guardare direttamente nell’occhio elettronico.
Lui non poteva vedere niente, ma gli uomini che si trovavano all’interno avrebbero potuto vederlo. Gli uomini che stavano sempre di guardia, che fissavano senza pause la brutale distesa di Giove, con i suoi uragani ruggenti e le piogge di ammoniaca, e la lunga, eterna processione gravida di morte delle nubi di metano mortale, la processione che sfilava a ogni istante portata dalle ali del ciclone. Perché gli uomini riuscivano a vedere Giove solo in questo modo.
Alzò una zampa anteriore e scrisse rapidamente sul pannello della telecamera offuscato dal vapore… scrisse a rovescio.
Dovevano sapere chi era lui, perché non ci fosse alcun errore. Dovevano sapere quali coordinate dovevano usare. Altrimenti avrebbero potuto riconvertirlo nel corpo sbagliato, usare la matrice sbagliata, e lui sarebbe ritornato a essere uomo nel corpo di un altro… del giovane Allen, forse, o di Smith, o di Pelletier. E questo avrebbe potuto essere fatale.
La pioggia d’ammoniaca continuò a cadere, battente e implacabile, e portò via le parole scritte sul vapore, e lui tornò a scriverle.
Loro avrebbero capito quel nome. Avrebbero capito che uno degli uomini che erano stati convertiti in Rimbalzanti era tornato indietro per fare il suo rapporto.
Si calò al suolo e si girò con un guizzo, fissando la porta che conduceva all’unità di conversione. La porta si mosse lentamente, aprendosi.
«Addio, Towser,» disse Fowler, con dolcezza.
Un grido di avvertimento si levò nel suo cervello: Non è ancora troppo tardi. Non sei ancora entrato. Puoi ancora cambiare idea. Puoi ancora voltarti e correre e fuggire, fuggire…
Andò avanti, ormai deciso, stringendo mentalmente i denti. Sentì il pavimento metallico sotto le sue zampe soffici, sentì che la porta si chiudeva dietro di lui. Raccolse un ultimo pensiero, un frammento di pensiero, e capì che veniva da Towser, e poi ci fu soltanto l’oscurità.
La camera di conversione si trovava proprio davanti a lui, e lui cominciò a salire per il piano inclinato, per raggiungerla.
Un uomo e un cane uscirono, un giorno, pensò, e adesso l’uomo ritorna.
La conferenza stampa era andata molto bene. C’erano state molte cose soddisfacenti da riferire ai rappresentanti della pubblica opinione.
Sì, aveva detto Tyler Webster ai giornalisti, i disordini su Venere erano stati sedati. Si era soltanto trattato di mettere le parti in causa intorno al tavolo delle trattative e di farle discutere, e tutto era stato sistemato. Gli esperimenti biologici che si svolgevano ai confini del Sistema, nei gelidi laboratori di Plutone, stavano progredendo in maniera del tutto soddisfacente. La spedizione per Alfa del Centauro sarebbe partita entro la data prevista, malgrado le voci diffuse in giro sugli inconvenienti occorsi, che esistevano soltanto nella fantasia. La commissione economica avrebbe presto emanato dei decreti sui prezzi di certi prodotti interplanetari, ponendo fine così alle disparità che ancora esistevano.
Niente di sensazionale. Niente di roboante, per le prime pagine e per i titoli di scatola. Niente che potesse cambiare l’ordine dei programmi dei mezzi d’informazione.
«E Jon Culver mi ricorda,» disse Webster, «Di fare presente ai signori rappresentanti della stampa che oggi ricorre il centoventicinquesimo anniversario dell’ultimo omicidio commesso nell’intero Sistema Solare. Centoventicinque anni senza una sola morte causata da un atto di violenza premeditato.»
Si appoggiò allo schienale della poltrona e sorrise ai giornalisti, mascherando con quel sorriso la cosa che temeva più di tutte, la domanda che sarebbe venuta, lo sapeva, che sarebbe venuta e alla quale avrebbe dovuto rispondere.
Ma non erano ancora pronti a fare quella domanda… c’era una tradizione da osservare… una tradizione molto piacevole.
Il corpulento Stephen Andrews, capo del servizio stampa dell’Agenzia Interplanetaria d’Informazione, si schiarì la voce come se fosse stato sul punto di fare un annuncio importante, e poi domandò in un tono grave ch’era ben simulato per produrre un effetto comico:
«E come sta l’erede?»
Un sorriso rischiarò il viso di Webster.
«Tornerò a casa per la fine settimana,» disse. «Ho comprato un nuovo giocattolo per mio figlio.»
Allungò una mano, e sollevò il corto cilindro dalla scrivania.
«Un giocattolo all’antica,» disse. «Antichità garantita… Una società ha cominciato da poco a immetterlo sul mercato. Lo appoggiate all’occhio, e lo girate, e vedete delle immagini bellissime. Pezzi di vetro colorato che cambiano posto continuamente, formando immagini sempre diverse. Il giocattolo ha un nome…»
«Caleidoscopio,» disse uno dei giornalisti, velocemente. «Ho letto qualcosa su questi giocattoli. In un vecchio libro di storia, sulle usanze e i costumi del ventesimo secolo.»
«L’ha già usato, signor presidente?» domandò Andrews.
«No,» disse Webster. «Per dirle la verità, non l’ho ancora provato. L’ho acquistato nel pomeriggio, e sono stato troppo occupato.»
«Dove l’ha trovato, signor presidente?» domandò una voce. «Voglio prenderne uno anch’io per mio figlio.»
«L’ho comprato al negozio che si trova proprio all’angolo. Il negozio dei giocattoli, l’avrete visto anche voi. Sono arrivati oggi.»
E adesso, secondo la tradizione, era il momento di chiudere la conferenza stampa. I giornalisti se ne sarebbero andati. Qualche altro minuto di conversazione amichevole, informale, e poi si sarebbero alzati dai loro posti e se ne sarebbero andati.
Ma non se ne andavano… e lui sapeva benissimo che non se ne sarebbero andati. Se ne rese conto dall’improvviso silenzio e dal fruscio dei fogli mossi per coprire l’improvviso silenzio.
E poi Stephen Andrews gli fece la domanda che Webster aveva temuto. Per un istante Webster fu lieto che fosse stato Andrews a parlare. Andrews era sempre stato un amico, in un certo senso, e l’Agenzia Interplanetaria trattava le notizie con grande obiettività, senza quelle parole tortuose che venivano usate per confondere e intricare le cose dai maggiori esponenti della cosiddetta ’stampa interpretativa’.
«Signor Presidente,» disse Andrews. «Ci è giunta notizia che un uomo, sottoposto a conversione su Giove, è ritornato sulla Terra. Vorremmo chiederle se l’informazione è vera.»
«È vera,» disse Webster, rigidamente.
I giornalisti aspettarono e Webster aspettò, immobile sulla sua poltrona.
«Desidera commentare la notizia?» chiese alla fine Andrews.
«No,» disse Webster.
Webster si guardò intorno, lasciò scorrere lo sguardo sui volti che riempivano la stanza. Volti tesi, che percepivano una parte della verità che si nascondeva dietro il suo reciso rifiuto di discutere l’argomento. Volti divertiti, che mascheravano dei cervelli che perfino in quel momento, così, a caldo, stavano pensando a come distorcere le poche parole che lui aveva pronunciato, a come usarle per dare un tono sinistro al suo discorso. Volti furibondi, che avrebbero scritto degli articoli ’interpretativi’ oltraggiati, sul diritto che il popolo aveva di conoscere sempre la verità.