«Una ricompensa,» disse, seccamente. «Il vecchio cavallo mandato al pascolo, dopo aver tirato il carro per tanti anni. Il paradiso ottenuto per dispensa speciale.»
«In questo modo,» gli spiegò Webster, «Potremmo salvare la razza umana e, nello stesso tempo, non perderemmo quello che Giove ha da offrirci.»
Fowler si alzò in piedi, bruscamente.
«Sono nauseato,» disse. «Sono ritornato a portarvi una cosa che volevate sapere. Per saperla avete speso miliardi di dollari e, per quello che ne sapevate, centinaia di vite umane… perché non sapevate dei Rimbalzanti, perché non sapevate della vita che si può vivere su Giove. Ma voi, tutti voi, volevate sapere, e non vi siete fermati. Avete piazzato delle stazioni di conversione dappertutto, su Giove, e avete mandato uomini a dozzine sulla faccia del pianeta, e questi uomini non sono mai tornati indietro e voi li avete creduti morti, ma avete continuato a mandarne degli altri. E nessuno è tornato indietro… perché quegli uomini non volevano tornare indietro, perché non potevano tornare indietro, perché non potevano sopportare l’idea nauseante di tornare a essere uomini. E poi sono tornato io, e a che cosa è servito? Che cosa ho concluso? Che cosa ho ottenuto? Chiacchiere, parole vuote, bei discorsi inutili che riempiono la bocca… un sacco di idiozie… e poi lunghi interrogatori, e poi il dubbio e poi l’incredulità per le mie dichiarazioni. E infine lei mi viene a dire che ho ragione, ma che ho commesso un errore a tornare. È questo che mi vuole dire, vero? Che ho sbagliato a tornare?»
Le braccia gli ricaddero sui fianchi, e le spalle gli si curvarono.
«Sono libero, suppongo,» disse. «Non vedo per quale motivo dovrei restare qui.»
Webster annuì, lentamente.
«Certo, lei è libero. È stato sempre libero, fin dall’inizio. Le avevo chiesto soltanto di restare, fino a quando non avessimo potuto compiere i nostri controlli.»
«Potrei ritornare su Giove?»
«Alla luce attuale delle cose,» disse Webster, «Questa potrebbe essere una buona idea.»
«Sono stupito che non sia stato lei a suggerirla,» disse Fowler, amaramente. «Sarebbe una via d’uscita, per lei. Potrebbe archiviare il rapporto e dimenticarsene, e continuare a governare il suo Sistema Solare come se si trattasse del gioco di un bambino, grande governatore del salotto buono di casa. La sua famiglia ha incespicato per secoli attraverso errori enormi, è andata avanti pesantemente sulla strada della storia, e adesso il popolo ha chiamato lei, per commettere nuovi errori, per completare l’opera già iniziata. Uno dei suoi antenati ha fatto perdere al mondo la filosofia di Juwain, e un altro ha bloccato il tentativo di collaborare con i mutanti…»
Webster parlò con voce dura:
«Lasci fuori me e la mia famiglia da questa situazione, Fowler! È una cosa più grande…»
Ma Fowler stava gridando, adesso, in un’esplosione di collera impotente, e le sue grida sommergevano la protesta di Webster.
«Ma io non le permetterò di rovinare anche questa occasione. Il mondo ha già perso troppe cose, ha già sofferto troppo, per colpa di voi Webster. Adesso il mondo avrà l’occasione di liberarsi. Dirò tutto quello che so al popolo, parlerò di Giove e della vita che si vive lassù. Lo dirò alla stampa e alle agenzie d’informazione. Lo griderò dai tetti delle case. Lo griderò…»
La sua voce si spezzò e le spalle furono scosse da un silenzioso singhiozzo.
La voce di Webster era gelida, piena d’un’ira improvvisa.
«Io la combatterò, Fowler. Farò di tutto per combatterla, ricorrerò a qualsiasi mezzo. Non posso permetterle di fare una cosa simile.»
Fowler si voltò di scatto, e camminò a lunghi passi verso il cancello.
«Devo prenderlo, capo?» domandò Elmer. «Devo andare a prenderlo?»
Webster scosse il capo.
«Lascialo andare,» disse. «Ha il mio stesso diritto di fare le cose che ritiene più opportune.»
Un vento gelido entrò nel giardino e agitò la cappa sulle spalle di Webster.
Le parole pulsavano tremende nel suo cervello… parole che erano state pronunciate là, in quel giardino, pochi secondi prima, ma che venivano da secoli lontani, e che bruciavano come la prima volta. Uno dei suoi antenati ha fatto perdere all’umanità la filosofia di Juwain. Uno dei suoi antenati…
Webster strinse i pugni con rabbia, finché le unghie non penetrarono nella carne.
Una maledizione, pensò Webster. Ecco quello che siamo. Una maledizione per il genere umano. La filosofia di Juwain. E i mutanti. Ma ormai erano secoli che i mutanti possedevano la filosofia di Juwain, e non l’avevano mai usata. Joe l’aveva rubata a Grant, e Grant aveva trascorso la vita intera cercando di averla indietro. Ma la sua vita era trascorsa inutilmente, perché non l’aveva mai ritrovata.
Forse, pensò Webster, cercando di consolarsi, Forse quella filosofia non era ciò che abbiamo sempre creduto. Forse, in fondo, non era la panacea universale, il rimedio di tutti i mali. Forse, addirittura, non valeva molto. Perché se avesse avuto un valore, i mutanti l’avrebbero sfruttata. O forse… era sempre un’ipotesi possibile… forse i mutanti avevano soltanto voluto far credere di possederne il segreto.
Una voce metallica si annunciò, educatamente, con un lieve colpo di tosse, e Webster sollevò lo sguardo. Un piccolo robot grigio era in piedi sulla porta.
«La chiamata, signore,» disse il robot. «La chiamata che lei stava aspettando.»
Il viso di Jenkins apparve sullo schermo… un viso vecchio, antiquato e grottesco. Non il viso liscio e umano ostentato dai robot di ultimo modello.
«Sono spiacente di disturbare il signore,» disse Jenkins. «Ma c’è qualcosa di molto insolito. Joe è venuto qui e mi ha chiesto di servirsi del nostro visifono per chiamarla. Non mi ha voluto dire che cosa desidera, signore. Dice che si tratta solo di un saluto amichevole a un vecchio vicino.»
«Fammi parlare con lui,» disse Webster.
«Si è comportato in maniera molto insolita, signore,» insisté Jenkins. «È entrato in casa e non ha fatto altro che sedersi e alzarsi e girellare qua e là, chiacchierando di cose futili, prima di chiedere di usare il visifono. Oserei dire, se il signore me lo concede, che si tratta di un comportamento assai peculiare.»
«Lo so,» disse Webster. «Joe è peculiare, sotto moltissimi aspetti.»
Il viso di Jenkins scomparve dallo schermo e fu sostituito da un altro viso… quello di Joe, il mutante. Era un viso forte con una carnagione grinzosa come cuoio, e degli occhi grigio-azzurri che scintillavano di nascosta allegria, e dei capelli che cominciavano a ingrigire sulle tempie.
«Jenkins non si fida di me, Tyler,» disse Joe, e Webster provò subito un fremito d’irritazione per l’ironia che si nascondeva dietro le parole del mutante.
«Se è per questo,» disse bruscamente, «Nemmeno io mi fido.»
Joe fece schioccare la lingua.
«Be’, Tyler, dopotutto non ti abbiamo dato nessun fastidio, neppure il minimo inconveniente. Nessuno di noi ti ha dato un solo istante di fastidio. Tu ci hai osservati e studiati e ti sei preoccupato per la nostra esistenza, tu e i tuoi amici uomini, ma noi non abbiamo fatto del male a nessuno. Hai messo tanti cani alle nostre calcagna che ormai non possiamo più voltarci senza inciampare in uno di loro, e i vostri archivi devono essere pieni di notizie che ci riguardano, e tutti voi dovete avere tanto parlato, discusso, dovete avere fatto tanti studi e tante ipotesi su di noi, che ormai dovreste averne la nausea solo a pensarci.»
«Noi vi conosciamo,» disse Webster, accigliato. «Noi sappiamo più cose sul vostro conto di quante voi stessi ne sappiate. Sappiamo quanti siete e vi conosciamo personalmente, uno per uno. Vuoi sapere quello che uno di voi stava facendo in un determinato momento, negli ultimi cento anni o giù di lì? Chiedilo a noi, e te lo diremo.»