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Dalle labbra di Joe parevano colare fiumi di melassa.

«E per tutto il tempo,» disse, «Noi pensavamo a voi con affetto. Immaginavamo che, un giorno o l’altro, avremmo voluto e potuto aiutarvi.»

«Perché non lo avete fatto, allora?» disse seccamente Webster. «Eravamo disposti a lavorare con voi, fin dall’inizio. E perfino dopo che tu hai rubato a Grant la filosofia juwainiana…»

«Rubato?» domandò Joe. «Certamente, Tyler, tu devi essere stato informato male. Noi l’abbiamo presa soltanto per studiarla meglio e completarla. C’erano tanti errori, lo sai bene. Era talmente aggrovigliata che era impossibile vederci chiaro subito.»

«Probabilmente, ci hai visto chiaro il giorno dopo averci messo le mani sopra,» disse Webster, freddamente. «Che cosa stavi aspettando? Cosa stavate aspettando, tutti? Bastava che in qualsiasi momento ci aveste offerto quella filosofia… e noi avremmo saputo che eravate con noi, e che avremmo potuto lavorare con voi. Avremmo richiamato tutti i cani, vi avremmo accettati tra noi e con noi, per lavorare insieme.»

«Davvero buffo,» disse Joe. «Che a noi non sia mai importato molto di essere accettati.»

Ed ecco che ritornava l’antica ironia, l’allegria beffarda di un uomo che era autosufficiente, perfettamente autosufficiente, che vedeva l’intero tessuto della comunità umana e dell’umana comunione d’intenti e di lavoro come un oggetto di scherno, e come una cosa buffa, una beffa grande, cosmica. Un uomo che bastava a se stesso, che era solo e che amava essere solo. Un uomo che considerava strana e buffa la razza umana, strana e buffa e, probabilmente, un po’ pericolosa… ma più buffa che mai, proprio per quel poco di pericolo che si aggiungeva al divertimento. Un uomo che non sentiva bisogno della fratellanza della razza degli altri uomini, che respingeva quella fratellanza come una cosa provinciale e patetica, ancor più provinciale e patetica dei circoli culturali del ventesimo secolo.

«Va bene,» disse Webster, in tono tagliente, «Se è questo che volete. Speravo che tu avessi da proporre qualcosa… qualcosa da offrire, per aprire uno spiraglio alla conciliazione. Non ci piacciono le cose come sono adesso… preferiremmo che fossero diverse, che la situazione fosse differente. Ma la mossa tocca a voi. Noi non possiamo farci niente.»

«Andiamo, Tyler,» protestò Joe, «È inutile prenderla su questo tono, e lo sai bene. Io credevo che magari ti avrebbe interessato sapere qualcosa sulla filosofia di Juwain. Lo so, adesso ve ne siete dimenticati un po’ tutti, ma c’è stato un tempo in cui in tutto il Sistema non si parlava d’altro, pareva una frenesia generale.»

«Bene,» disse Webster, «Avanti, dimmi quello che devi dirmi.» Il tono della sua voce lasciava capire che lui sapeva che Joe non avrebbe detto niente.

«Fondamentalmente,» disse Joe, «Voi umani siete molto soli. Non avete mai conosciuto davvero i vostri simili. Per voi è impossibile conoscere il vostro vicino, perché non possedete il denominatore comune della comprensione che, solo, potrebbe permettervi di conoscerlo. Certo, avete degli amici, ma queste amicizie sono basate su semplici emozioni, e mai su una comprensione autentica. Potete andare d’accordo tra voi, certo. Ma è la tolleranza a farvi andare d’accordo, non la comprensione. Risolvete i vostri problemi con una decisione comune, con un’intesa, ma questa intesa significa soltanto una cosa… che colui il quale possiede, tra voi, la personalità più forte e la mente più decisa, riesce a battere l’opposizione dei più deboli.»

«Cosa c’entra questo con la filosofia di Juwain?»

«Be’, c’entra, eccome,» gli disse Joe. «Perché, vedi, con la filosofia di Juwain tu riesci realmente a capire.»

«Si tratta di telepatia?» domandò Webster.

«Non proprio,» disse Joe. «Noi mutanti siamo telepatici, Ma quello di cui ti parlo adesso è qualcosa di diverso. La filosofia di Juwain fornisce la capacità di percepire il punto di vista degli altri. Non ti farà essere necessariamente d’accordo con quest’altro punto di vista, ma ti permetterà di riconoscerlo. Non solo tu saprai di che cosa sta parlando il tuo interlocutore, ma anche quali sono i suoi sentimenti sull’argomento. Con la filosofia di Juwain tu vieni costretto ad accettare la validità delle idee di un altro uomo, e a riconoscere non soltanto le parole che egli dice, ma anche i pensieri che muovono le parole.»

«Semantica,» disse Webster.

«Se proprio non hai una definizione migliore,» gli disse Joe. «In realtà la filosofia di Juwain significa che tu riesci a comprendere non solo il significato intrinseco, ma anche il significato implicito delle parole che uno pronuncia, riesci a percepire la natura dei pensieri e dei sentimenti che producono quelle parole. È quasi telepatia, ma non del tutto. Sotto certi aspetti, si tratta di una cosa perfino migliore.»

«E, Joe, che cosa hai intenzione di fare? Quali sono i tuoi…»

L’ironia riaffiorò sul viso di Joe.

«Pensaci sopra, Tyler. Rifletti per un poco… cerca di scoprire fino a qual punto desideri ciò che ti offriamo. Poi, forse, potremo discuterne.»

«Proponi un baratto?» chiese Webster.

Joe annuì.

«Immagino che ci siano anche delle trappole, nel contratto,» disse Webster.

«Un paio,» disse Joe. «Tu trovale, e poi discuteremo anche di quelle.»

«Che cosa avete intenzione di chiedere, voi mutanti?»

«Molto,» gli disse Joe. «Ma forse ne varrà la pena.»

Lo schermo si spense e Webster rimase a fissarlo con occhi che non vedevano. Delle trappole? Certo che ce n’erano. Non poteva essere altrimenti. E probabilmente il genere umano ci sarebbe cascato in pieno.

Webster chiuse gli occhi, e sentì il battito cupo del sangue che gli pulsava nel cervello.

Che cosa si era affermato della filosofia juwainiana, in quel giorno lontano nel quale essa era andata perduta? Che avrebbe fatto progredire la razza umana di centomila anni nello spazio di due brevi generazioni. Qualcosa del genere, era questo il concetto.

Forse era un po’ esagerato… ma non troppo. L’esagerazione era giustificata, giustificata dal valore dello strumento che era stato offerto al genere umano.

Gli uomini capaci di comprendersi vicendevolmente, di accettare i reciproci punti di vista per quello che essi valevano in realtà; ogni uomo capace di vedere dietro le parole, di vedere le cose con gli occhi di un altro e di accettare la concezione di un altro come se fosse stata propria. Arricchendo, anzi, la propria conoscenza con le idee degli altri: finite le incomprensioni, finiti i malintesi, finiti i pregiudizi di un’altra epoca… finite le pressioni psicologiche di coloro che deformavano ad arte la verità, passata per sempre l’epoca della falsità, dell’inganno, della mistificazione… e al posto di tutto questo una visione limpida e completa di tutti gli angoli di qualsiasi problema umano, di tutti i punti di conflitto, di tutte le diverse interpretazioni. E questo era applicabile a ogni cosa, a qualsiasi tipo di comportamento umano. A qualsiasi ramo dello scibile umano. Alla sociologia, alla psicologia, alla tecnica, a tutte le diverse sfaccettature del prisma di una civiltà complessa come quella degli uomini. Basta con le lotte nate dagli equivoci, basta con le liti fratricide, ma soltanto una valutazione onesta e sincera dei fatti e delle idee così com’erano, così come si presentavano.

Centomila anni nello spazio di due generazioni? Forse la valutazione non era stata troppo esagerata, dopotutto.

Ma… le trappole delle quali aveva parlato Joe? C’erano davvero? O si trattava, semplicemente, della beffa estrema, della trappola più grande? I mutanti intendevano veramente cedere la loro scoperta? A quale prezzo? Forse si trattava soltanto di una nuova esca, fatta ballonzolare davanti agli occhi dell’umanità, mentre dietro l’angolo i mutanti si rotolavano dal gran ridere.