I mutanti non avevano usato quello strumento. Era naturale che non l’avessero usato, perché non ne avevano realmente bisogno. Possedevano già la telepatia e, per quello che riguardava i mutanti, essa serviva perfettamente allo scopo. Quegli individualisti non avrebbero trovato molti usi per uno strumento che permetteva loro di comprendersi reciprocamente, perché a loro non importava niente di capirsi. I mutanti erano uniti, apparentemente, solo per quei contatti necessari a salvaguardare gli interessi comuni, ma questo era tutto. Lavoravano insieme per salvare la pelle, ma non trovavano niente di piacevole in questo.
Un’offerta onesta? Un’esca, una lusinga per attirare l’attenzione degli uomini da una parte, mentre un affare sporco e pericoloso veniva concluso dalla parte opposta? Semplicemente uno scherzo, una beffa crudele? O si trattava di una offerta a doppio taglio, che conteneva qualcosa di terribilmente pericoloso?
Webster scosse il capo. Era impossibile stabilirlo. Era inutile cercare di sondare i motivi che spingevano un mutante, o il suo modo di pensare.
Una luce morbida e gentile si era insinuata nelle pareti e nel soffitto dell’ufficio, era cresciuta d’intensità mano a mano che le ombre del crepuscolo s’infittivano, fuori; con il calare del giorno, il sistema d’illuminazione automatico entrava in funzione, e dalle fonti di luce nascoste irradiava una luminosità sempre più vivida. Il giorno tramontava, fuori, e la luce degli uomini appariva, nelle case degli uomini. Webster diede un’occhiata alla finestra, e vide che era già un rettangolo nero, palpitante di alcuni punticini luminosi che erano grandi lettere di insegne pubblicitarie palpitanti come stelle cadenti sull’orizzonte nero della città immersa nell’ora che seguiva il tramonto.
Allungò la mano, formò la combinazione dell’ufficio esterno, e parlò alla segretaria.
«Mi dispiace di averla trattenuta fino a quest’ora. Non mi ero accorto che fosse così tardi.»
«Non ha importanza, signore,» rispose la segretaria. «C’è una visita per lei. Il signor Fowler.»
«Fowler?»
«Sì, il signore venuto da Giove.»
«Lo so,» disse Webster, stancamente. «Gli dica di entrare.»
Aveva quasi dimenticato Fowler e la minaccia che quell’uomo rappresentava, e le minacce che aveva fatto a lui, nel pomeriggio.
Guardò, con aria assente, la sua scrivania, e vide il caleidoscopio, là dove lo aveva lasciato. Strano giocattolo, pensò. Che idea bizzarra. Una cosa semplice per le menti semplici di una volta. Ma il ragazzo ne sarebbe andato pazzo.
Allungò la mano e prese il giocattolo, lo accostò al viso, appoggiò l’occhio a un’estremità e guardò. La luce trasmessa creava un disegno di colori pazzeschi, un incubo geometrico. Diede una leggera scossa al tubo cilindrico, e il disegno cambiò. E poi, un’altra scossa…
Il suo cervello fu sconvolto da un senso improvviso di terrore, la sua mente tremò per un malessere subitaneo, e tutti i colori del caleidoscopio esplosero nella sua mente in una singola fiammata di sofferenza, un olocausto che sembrò squassare tutto il suo spirito.
Il cilindro gli sfuggì di mano e cadde e rotolò rumorosamente sulla scrivania. Webster allungò le braccia e si aggrappò al bordo della scrivania, anche se era seduto, anche se sapeva di non cadere.
E la sua mente fu attraversata da un sentimento di orrore: che giocattolo terribile per un bambino!
Il malessere diminuì e lui rimase immobile, sconvolto, con la mente nuovamente lucida, con il respiro che si faceva più regolare.
Strano, pensò. Strano che provochi un effetto simile. O si è trattato di qualcosa d’altro, e il caleidoscopio non c’entra affatto? Un malessere, forse. Il cuore che comincia a logorarsi. Sono un po’ troppo giovane per queste cose, e mi sono sottoposto agli esami periodici da pochissimo tempo. E mi hanno trovato in buone condizioni.
La porta si aprì e Webster sollevò lo sguardo.
Fowler si fece avanti, lentamente, misurando i passi, e si fermò davanti alla scrivania.
«Sì, Fowler? Che cosa voleva dirmi?»
«Me ne sono andato in collera,» disse Fowler. «E non volevo lasciare così le cose. Poteva darsi che lei mi avesse capito, ma poteva darsi anche di no. Forse mi aveva giudicato male, forse aveva pensato che mi fossi comportato nel peggiore dei modi. Vede, il fatto è che io ero sconvolto, e mi sono lasciato trasportare dall’ira. Sono tornato da Giove, pensando che, finalmente, c’era una giustificazione per tutti gli anni che io avevo trascorso nelle cupole; pensando che, finalmente, tutto il dolore e la vergogna che avevo patito quando avevo visto uscire i miei uomini, quando li avevo creduti morti, avevano ottenuto una ricompensa, la più grande di tutte le ricompense. Lei non può sapere quello che io provavo quando quei ragazzi stavano davanti a me, sull’attenti, e io dicevo loro che dovevano uscire, e tutti mi guardavano come si guarda un carnefice. Sono tornato da Giove, portando delle notizie, mi capisce?, le notizie che il mondo aspettava. Per me era la cosa più bella che mai avrebbe potuto accadere, e credevo che anche lei l’avrebbe capito. Credevo che tutto il popolo l’avrebbe capito. Era come se io fossi tornato per annunciare al genere umano che il Paradiso era dietro l’angolo… e bastava fare qualche passo per raggiungerlo. Perché è così, Webster… è proprio così.»
Posò le mani sul bordo della scrivania e si protese avanti, abbassando la voce, fino a un mormorio che risuonò rauco nel silenzio della sera.
«Lei capisce di che si tratta, vero, Webster? Lei capisce, almeno un poco.»
Le mani di Webster stavano tremando e lui le posò sulle ginocchia, le strinse forte, finché i pugni non gli fecero male.
«Sì,» mormorò, raucamente. «Sì, credo di capire.»
Perché lui capiva.
Capiva molto di più di quanto le parole non gli avessero detto. Capiva il dolore e la supplica e la delusione amara che guidavano quelle parole. Le capiva come se fosse stato lui a pronunciarle… come se lui fosse stato Fowler.
Fowler esclamò, in tono allarmato:
«Che le succede, Webster? Non si sente bene?»
Webster cercò di parlare e le parole erano polvere. La sua gola si strinse finché non fu un solo nodo di dolore sopra il suo pomo d’Adamo.
Cercò di nuovo di parlare, e le parole uscirono lente e forzate.
«Mi dica, Fowler. Lei ha appreso molte cose, lassù. Cose che gli uomini non conoscono, o conoscono in maniera imperfetta. Come una forma di telepatia quale non possiamo neppure sognare, forse… oppure… oppure…»
«Sì,» disse Fowler. «Molte, moltissime cose. Ma non le ho portate con me, quando sono tornato. Quando sono ridiventato un uomo, sono stato soltanto un uomo. Un semplice uomo, niente di più. Nulla di quanto ho ottenuto su Giove è tornato con me, nel mio vecchio corpo. Si tratta, per la maggior parte, di ricordi nebulosi e confusi, e… be’, e di nostalgia, di desiderio struggente di tornare.»
«Lei vuole dire che non possiede nessuna delle doti che aveva ottenuto, diventando un Rimbalzante?»
«Nemmeno una.»
«Lei non potrebbe, per caso, riuscire a farmi comprendere una cosa che lei desiderasse farmi sapere? Farmi sentire i suoi sentimenti, diciamo.»
«Impossibile,» rispose Fowler.
Webster allungò una mano, prese il caleidoscopio tra le dita, con infinita prudenza, e lo spinse. Il cilindro rotolò per qualche centimetro sui piano levigato della scrivania, e poi si fermò di nuovo.
«Perché è tornato da me?» chiese Webster.
«Per chiederle scusa,» disse Fowler. «Per farle sapere che non ero realmente in collera. Per farle capire che anch’io avevo una mia opinione, una mia posizione da sostenere. Si tratta soltanto di una divergenza di opinioni, ma non c’è nulla di personale, non c’è dell’astio da parte mia. Pensavo che, forse, avremmo potuto stringerci la mano e dimenticare il diverbio.»