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«Capisco. E lei è sempre deciso a rivolgersi al popolo?»

Fowler annuì.

«Devo farlo, Webster. Lei se ne renderà conto senz’altro. È… è… bene, per me è quasi una religione. È una fede, una cosa nella quale io credo. Devo dire agli altri che esiste un mondo migliore, che esiste una vita migliore. Devo guidarli in questo mondo, devo condurli a questa vita.»

«Un messia,» disse Webster.

Fowler si irrigidì.

«È la cosa che temevo. Con l’ironia lei non…»

«Io non stavo facendo dell’ironia,» gli disse Webster, quasi con dolcezza.

Raccolse il caleidoscopio, pulì l’estremità con il palmo della mano, meditando. Non ancora, pensò, non ancora. Devo riflettere. Devo pensarci sopra. Non è ancora il momento. Io voglio che mi comprenda, come io comprendo lui?

«Mi ascolti, Fowler,» disse. «Aspetti per un giorno o due. Mi dia un poco di tempo. Solo un giorno o due. Poi ci rivedremo, e potremo riparlarne.»

«Ho già aspettato anche troppo.»

«Ma voglio che lei rifletta bene su questo: un milione di anni fa l’uomo apparve sulla Terra… e allora era soltanto un animale. Da quel tempo, si è inerpicato lentamente e faticosamente sulla scala della civiltà. Con infinita pazienza, con fatica inenarrabile, è riuscito a creare un sistema di vita, una filosofia, un modo di fare delle cose molto più grandi di lui. Il suo progresso è stato geometrico. Oggi l’uomo fa molto di più di quanto non facesse ieri. Domani farà ancora di più di quanto non abbia fatto oggi. Per la prima volta nella storia umana, l’Uomo sta davvero cominciando a camminare sulla via del progresso. Ha appena fatto una buona partenza, diciamo il primo passo. Adesso potrà procedere molto più rapidamente di quanto non abbia fatto fino a oggi.

«Forse non è piacevole come quello che ci aspetta su Giove, forse non è la stessa cosa, e non lo sarà mai. Forse lo stato di esseri umani è misero e squallido, in confronto alla bellezza della vita su Giove e delle creature che vivono lassù. Ma è la nostra vita. Noi siamo esseri umani, ed è la condizione di uomini quella che conta. Si tratta delle cose per le quali abbiamo combattuto, degli ideali per i quali abbiamo lottato. Si tratta di ciò che l’Uomo ha raggiunto. Si tratta del destino che l’Uomo si è modellato.

«È terribile pensare, Fowler, che proprio quando stiamo per prendere la strada giusta dobbiamo scartare il nostro destino, come una cosa vecchia e detestabile, per un nuovo destino del quale non sappiamo niente, perché è impossibile esserne sicuri.»

«Aspetterò un giorno o due,» disse Fowler. «Come mi ha chiesto. Ma l’avverto, Webster. Non riuscirà a fermarmi. Non riuscirà a farmi cambiare idea.»

«Le chiedo solo di aspettare questi due giorni,» disse Webster. Si alzò e tese la mano al suo ospite. «D’accordo, allora?»

Eppure, mentre stringeva la mano a Fowler, Webster capì che non sarebbe servito a niente. Ci fosse stata o non ci fosse stata la filosofia di Juwain, l’umanità stava per giungere a una prova fatale. Una prova fatale che sarebbe stata ancora peggiore, proprio a causa della filosofia di Juwain. Perché i mutanti non perdevano. Se il loro scopo era quello di sbarazzarsi della razza umana, di giocarle l’ultima, tragica beffa, non avrebbero trascurato niente, non avrebbero commesso passi falsi. Ancora un giorno, e ogni uomo, donna e bambino della Terra avrebbe, in un modo o nell’altro, guardato nel mondo colorato di un caleidoscopio. O in qualcosa di equivalente al caleidoscopio. Dio solo sapeva quanti altri metodi di diffondere la «cosa» potevano esistere, e quanti erano stati già usati dai mutanti.

Aspettò che Fowler si fosse chiuso la porta alle spalle, poi si alzò, camminò fino alla finestra, e guardò fuori. Nel cielo della città stava lampeggiando una nuova insegna pubblicitaria… un’insegna che non aveva mai visto prima. Una folle insegna che tracciava folli disegni colorati nella notte. Disegni cangianti, mutevoli, come i disegni di un caleidoscopio che girasse.

Webster guardò i disegni colorati dell’insegna nel cielo, e strinse le labbra, e sentì freddo, un gran freddo dentro di lui.

Avrebbe dovuto aspettarselo.

Pensò a Joe, e dentro di lui nacque un impeto di collera omicida. Perché quella chiamata era stata l’estremo scherno, l’estrema irrisione del grand’uomo superiore allo stupido cucciolo che era lui, Webster. I mutanti avevano voluto ridere fino in fondo, Avevano voluto avvertire gli uomini di quello che stava per accadere, avevano voluto essere certi, certissimi che gli uomini avessero capito chi c’era dietro a tutto quanto, e il destino che li aspettava.

Avremmo dovuto sterminarli finché eravamo in tempo, pensò Webster, e si sorprese per la cristallina freddezza dei suoi pensieri. Avremmo dovuto ucciderli tutti, spazzarli via, come si fa con una malattia pericolosa.

Ma l’uomo aveva rinnegato la violenza come politica del singolo e della società intera. Da centoventicinque anni nessuno più ricorreva all’uso della forza, da centoventicinque anni nessuna fazione si era scontrata con un’altra fazione usando la violenza; non c’erano più state guerre di religione, di razza, di semplice fanatismo.

Quando Joe mi ha chiamato, la filosofia di Juwain si trovava sulla mia scrivania. Avrei dovuto soltanto allungare la mano per toccarla, pensò Webster.

Si irrigidì a quel pensiero. Lui avrebbe dovuto semplicemente allungare la mano per toccarla. E lo aveva fatto!

Qualcosa di più della telepatia, qualcosa di più di una semplice previsione. Joe sapeva che lui avrebbe preso il caleidoscopio… doveva averlo saputo fin dall’inizio. Preveggenza… la capacità di vedere il futuro. Un anticipo minimo sul tempo, forse, un’ora o due al massimo, ma questo sarebbe stato sufficiente.

Joe… e gli altri mutanti, naturalmente… avevano saputo di Fowler. Le loro menti telepatiche, capaci di frugare nella mente degli uomini, dovevano aver detto loro tutto quello che c’era da sapere sull’uomo che era ritornato da Giove. Ma il caso di Fowler era diverso; era un’altra faccenda, completamente diversa. Eppure aveva attinenza con quello che i mutanti stavano facendo.

Ma certo.

Rimase in piedi, davanti alla finestra, guardando l’insegna nel cielo. Migliaia di persone, lo sapeva, la stavano vedendo come lui, in quel momento. La stavano vedendo e sentivano nella loro mente quel malessere improvviso, quello choc inesplicabile e violento.

Webster corrugò la fronte, chiedendosi quale fosse l’effetto preciso di quei disegni di luce dai mille colori, che cambiavano a ogni istante, assumendo forme sempre nuove e diverse. Probabilmente, esercitavano un certo influsso fisiologico su qualche centro del cervello umano. Una porzione del cervello che non era mai stata usata prima… una porzione del cervello che, seguendo la normale evoluzione della specie umana, avrebbe naturalmente cominciato a funzionare a tempo debito. Una porzione del cervello che ora veniva stimolata artificialmente, che veniva costretta a eseguire la sua funzione.

La filosofia di Juwain, finalmente! Una cosa che gli uomini avevano bramato per secoli e secoli, e che ora, finalmente, veniva concessa. E l’Uomo la riceveva in un momento in cui meglio sarebbe stato che ne fosse stato privo.

Fowler aveva scritto nel suo rapporto: Non posso fornire un resoconto preciso dei fatti, perché non esistono parole per descrivere i fatti che io desidero esporre. Le parole non c’erano neppure adesso, naturalmente, ma c’era di meglio… c’era una cosa sicuramente migliore delle parole… un pubblico che avrebbe potuto comprendere la sincerità e la grandezza che si celavano dietro le parole umane, dietro le parole che Fowler avrebbe usato per parlare al popolo. Un pubblico in possesso di un senso nuovo, di un senso appena acquisito, grazie al quale era possibile afferrare in parte la immensa prospettiva della cosa che Fowler aveva da dire.