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Webster prese un altro sdraio, lo spostò vicino a quello di Sara, e sedette, voltandosi a guardare la donna.

«È così bello questo posto,» disse Sara, «È stato Randall a farlo, non è vero?»

Webster annuì.

«Si è divertito più che al circo. Sono stato costretto a mandarlo via a bastonate. E quei suoi robot! Sono più pazzi di lui.»

«Ma fa delle cose meravigliose. Ha creato una stanza marziana per Quentin, ed è una cosa semplicemente stupenda… di un altro mondo!»

«Lo so,» disse Webster. «Voleva ricreare lo spazio profondo, qui. Diceva che sarebbe stato il luogo ideale per riflettere e pensare. Se l’è presa con me, quando non gli ho permesso di farlo.»

Si fregò il dorso della mano sinistra col pollice della destra, meccanicamente, come per una vecchia abitudine, mentre il suo sguardo si perdeva nella lontana nebbia azzurrina che confondeva l’orizzonte tra cielo e mare. Sara si mosse, gli prese la mano con dolcezza, per allontanargli il pollice.

«Hai ancora i porri,» gli dissi.

Lui sorrise.

«Sì. Avrei potuto farmeli togliere, ma non l’ho mai fatto. Sono stato troppo occupato. E adesso, ormai, fanno parte di me.»

Lei gli lasciò andare la mano, e lui ricominciò a sfregare i porri, con la mente perduta lontano.

«Sei stato occupato,» disse Sara. «Non ti si è visto molto in giro. Come va il libro?»

«Sono pronto a scriverlo,» disse Webster. «Ormai l’ho già diviso in capitoli. Oggi ho controllato l’ultimo dato che mi mancava. Dovevo essere sicuro, capisci? Si trattava di un posto nei sotterranei del vecchio Palazzo dell’Amministrazione Solare. Una specie di dispositivo di difesa. La sala di comando. Basta abbassare un interruttore, e…»

«E…?»

«Non lo so,» disse Webster. «Sarà una difesa efficace, immagino. Potrei cercare di scoprirne la natura, ma non ne ho il coraggio. Ho scavato troppo nella polvere del passato, in questi vent’anni, per affrontarne dell’altra.»

«Mi sembri scoraggiato, Jon. Stanco. E non dovresti stancarti, non ne hai alcun motivo. Dovresti muoverti un poco, riscuoterti… Desideri un altro bicchiere?»

Lui scosse il capo.

«No, Sara, grazie. Non sono dell’umore adatto. Ho paura, Sara… ho paura.»

«Paura?»

«Di questa stanza,» disse Webster. «È un’illusione. Specchi che ti danno l’illusone della distanza. Ventilatori che soffiano l’aria attraverso spruzzi di salsedine, pompe che muovono le onde. Un sole artificiale. E se non mi piace il sole, basta che io prema un bottone e avrò la luna.»

«Un’illusione,» disse Sara.

«È proprio così,» fece Webser. «È tutto quello che abbiamo. Non abbiamo nessun vero lavoro, non abbiamo nessun vero compito. Non c’è niente in vista per noi, non c’è nessuno scopo, e non c’è neppure una méta. Io ho lavorato per vent’anni e scriverò un libro che neppure un’anima si degnerà di leggere. Basterebbe che qualcuno passasse un po’ di tempo a leggerlo, ma nessuno troverà il tempo di farlo, nessuno se ne curerà. Basterebbe che qualcuno venisse a chiedermi una copia… e non dovrebbe prendersi neppure il disturbo, perché se sapessi che qualcuno vuole leggere il mio libro, sarei tanto felice da portarglielo io di persona. Ma nessuno si prenderà il disturbo. Il libro andrà a coprirsi di polvere negli scaffali, con tutti gli altri che sono stati scritti. E che cosa ne otterrò? Aspetta… te lo dico io. Venti anni di lavoro, venti anni passati a ingannare me stesso, venti anni di ragione, Sara, venti anni inutili.»

«Lo so,» disse Sara, dolcemente. «Lo so, Jon. Gli ultimi tre quadri…»

Lui sollevò lo sguardo, in fretta.

«Ma, Sara…»

Lei scosse il capo.

«No, Jon. Nessuno li ha voluti. Sono passati di moda. Il naturalismo è superato. Adesso va l’impressionismo. Tutte croste inutili…»

«Siamo troppo ricchi.» disse Webster. «Abbiamo troppo. Ci è rimasto tutto… tutto e niente. Quando l’Umanità è andata su Giove, i pochi che sono rimasti hanno ereditato la Terra, e la Terra era troppo grande per loro. Non sono riusciti a tenerla in pugno. Non l’hanno saputa usare, non hanno saputo che farsene, della Terra. Certo, pensavano di possederla, ma erano loro posseduti. Posseduti e dominati e intimoriti dalle cose che erano venute prima di loro.»

Lei allungò la mano, e gli toccò il braccio.

«Povero Jon,» disse.

«Non possiamo continuare a chiudere gli occhi,» disse. «Un giorno qualcuno di noi dovrà affrontare la verità, dovrà ricominciare da capo… dovrà ricominciare senza niente in mano.»

«Io…»

«Sì? Che c’è, Sara?»

«Sono venuta qui a dirti addio.»

«Addio?»

«Ho deciso di prendere il Sonno.»

Webster balzò in piedi subito, inorridito.

«No, Sara!»

Lei scoppiò a ridere e fu una risata tesa e forzata.

«Perché non vieni con me, Jon? Poche centinaia d’anni. Forse sarà tutto diverso, quando ci sveglieremo.»

«Solo perché nessuno vuole più i tuoi quadri. Solo perché…»

«Solo per quello che hai detto tu poco fa. Jon. Illusioni. Illusioni, Jon. Lo sapevo, lo sentivo, ma non riuscivo ad esprimerlo.»

«Ma anche il Sonno è illusione.»

«Lo so. Ma non mi rendo conto che è illusione. Quando lo provi, ti sembra reale. Non hai più inibizioni e non hai più paure, se non le paure che vengono programmate deliberatamente. È naturale, Jon… più naturale della vita. Sono andata al Tempio e là mi hanno spiegato ogni cosa.»

«E quando ci si sveglia?»

«Si è armonizzati. Si è armonizzati con qualsiasi vita si viva nell’epoca del tuo risveglio. Come se fosse la tua epoca, come se vi avessi vissuto sin dall’inizio. E potrebbe essere un’epoca migliore di questa. Chi può dirlo? Potrebbe essere un’epoca migliore di questa.»

«Non sarà migliore,» le disse Jon, scuro in volto. «A meno che qualcuno non decida di fare qualcosa per cambiare. Fino a quel giorno non cambierà niente. E una persona che si rifugia nel Sonno per nascondersi non potrà sperare di cambiare niente.»

Sara sobbalzò, e improvvisamente Webster provò un po’ di vergogna.

«Mi dispiace, Sara. Non parlavo di te. Né di nessun altro in particolare. Parlavo di tutti noi, nel complesso.»

Le palme stormivano raucamente, mosse da un vento che non era vento. Piccole pozze d’acqua, lasciate dalle ondate che si ritiravano dalla spiaggia, scintillavano debolmente sotto il sole.

«Non cercherò di dissuaderti,» disse Webster. «Tu hai avuto modo di riflettere, tu sai quello che vuoi.»

Ma il genere umano non è sempre stato così, pensò. Un giorno, mille anni or sono, un uomo si sarebbe opposto a una decisione del genere. Avrebbe trovato la forza di discutere, di obiettare, di convincere. Oggi non più. Il juwainismo ha posto fine a tutti i litigi meschini. Il juwainismo ha posto fine a tante, tante cose!

«Ho sempre pensato,» gli disse Sara, dolcemente. «Che se avessimo potuto restare insieme…»

Lui fece un gesto d’impazienza.

«Si tratta di un’altra cosa che abbiamo perduto, un’altra cosa che la razza umana si è lasciata sfuggire. A pensarci bene, abbiamo perduto tante e tante cose… i legami familiari e il lavoro, il commercio e gli scopi di vita…»

Si voltò a guardarla con fermezza.

«Se vuoi tornare da me, Sara…»

Lei scosse il capo

«Non servirebbe a niente, Jon. Sono passati troppi anni.»

Lui annuì. Non aveva senso negare la verità.

Lei si alzò e gli tese la mano.

«Se decidessi mai di prendere il Sonno, controlla la durata del mio. Farò riservare un posto accanto al mio…»

«Non credo che lo farò mai,» le disse.

«Bene, allora. Addio, Jon.»