«Ma questa è ancora una città,» dichiarò il sindaco.
«Non sono venuto qui per discutere di questo,» disse Webster. «Sono venuto, invece, per cercare di dimostrarti che incendiando quelle case stai facendo una cosa sbagliata. Anche se non te ne rendi conto, le case rappresentano un tetto per quei poveretti che non possiedono altro. E si tratta di gente che è venuta in questa città per cercare rifugio, e che ha trovato rifugio da noi. Sotto un certo punto di vista, noi ne siamo responsabili.»
«Non ne siamo responsabili,» disse freddamente il sindaco, «Qualunque cosa possa accadere a quella gente, non sarà colpa nostra, ma della loro sfortuna. Non abbiamo chiesto loro di venire qui. Non li vogliamo qui. Non danno nessun contributo alla comunità. Adesso tu mi dirai che sono dei disgraziati, senza lavoro e senza casa. Be’, che cosa ci posso fare io? Mi puoi dire che non possono trovare lavoro. E io ti rispondo che il lavoro potrebbero trovarlo, se solo si prendessero il disturbo di cercarlo. Il lavoro da fare c’è adesso e ci sarà sempre. Si sono lasciati riempire la testa di tutti quei bei discorsi sul nuovo mondo, sulla società più giusta e più buona, e adesso credono che tocchi agli altri trovare il posto adatto per loro e il lavoro che vada loro bene.»
«Parli come un individualista sfrenato,» osservò Webster.
«Lo dici come se ti sembrasse comico,» esclamò il sindaco.
«E infatti mi sembra comico,» disse Webster. «Comico e tragico a un tempo… che ci sia qualcuno, oggi, che ancora possa pensarla così.»
«Il mondo sarebbe molto migliore, con un poco di sano individualismo di vecchio stampo,» disse il sindaco, con rabbia. «Guarda, per esempio, gli uomini che hanno fatto carriera…»
«Alludi a te stesso?» chiese Webster.
«Puoi prendermi come esempio,» ammise Carter. «Ho lavorato sodo. Ho saputo approfittare delle occasioni. Ho saputo essere lungimirante. Ho saputo…»
«Vuoi dire che hai saputo leccare i piedi adatti e pestare le facce adatte,» disse Webster. «Tu sei l’esempio più chiaro del tipo di uomo che il mondo non vuole più, oggi. Tu puzzi veramente di muffa, tanto le tue idee sono vecchie. Tu sei l’ultimo dei politicanti, Carter, proprio come io sono stato l’ultimo dei segretari della Camera di Commercio. Solo che tu ancora non lo sai. E io sì. E ne sono uscito. Anche se mi è costato molto. Ne sono uscito, perché dovevo salvare il rispetto di me stesso. Il tipo di uomo politico che tu rappresenti è morto. È morto perché prima qualsiasi imbecille con la lingua lunga e la faccia di bronzo poteva ottenere il potere, appellandosi alla psicologia della massa. E adesso è impossibile sfruttare la psicologia della massa, perché non esiste una psicologia della massa quando alla gente non importa più un accidente di quello che succede a una cosa già morta… a un sistema politico che è stato schiacciato dal suo stesso peso.»
«Esci fuori di qui,» gridò Carter. «Esci fuori di qui, prima che chiami la polizia.»
«Tu dimentichi,» disse Webster, «Che sono venuto a parlare delle case.»
«Non ti servirà a niente,» sbuffò Carter. «Puoi stare lì a parlare fino al giorno del giudizio, per quello che ti servirà. Quelle case saranno incendiate. È stabilito.»
«Ti piacerebbe vedere il centro delle città trasformato in un mucchio di macerie?» chiese Webster.
«Il tuo paragone è grottesco,» disse Carter.
«Non stavo facendo nessun paragone,» dichiarò Webster.
«Non stavi…» Il sindaco spalancò gli occhi. «Di che cosa stavi parlando, allora?»
«Solo di questo,» spiegò Webster. «Nel preciso momento in cui la prima torcia toccherà le case, il primo proiettile cadrà sul municipio. E il secondo colpirà la banca. Saranno sparati in ordine, dando la precedenza ai bersagli più grossi.»
Carter spalancò la bocca. Poi un rossore di collera gli salì dalla gola alle guance.
«Non funziona, Webster,» disse, seccamente. «Il tuo bluff non attacca, con me. Spacconate del genere non hanno…»
«Non si tratta di una spacconata,» dichiarò Webster. «Quegli uomini, là fuori, hanno dei cannoni. Pezzi presi dai sacrari della Legione e dai musei. E uomini in grado di fare funzionare i cannoni. Ma non c’è bisogno di veri artiglieri, in realtà. Si tratta di un giochetto da bambini. Il bersaglio è troppo grosso per mancare il colpo.»
Carter allungò la mano verso la radio, ma Webster lo fermò, sollevando un braccio.
«Farai meglio a riflettere un momento, Carter, prima di togliere il coperchio dalla pentola. Non sai cosa ci bolle dentro. Sei in un vicolo cieco. Se decidi di portare avanti il tuo piano, ti ritroverai con una battaglia tra le mani. Le case bruceranno, magari, ma il centro della città diventerà un cumulo di macerie. I commercianti te la faranno pagare col sangue, non credi?»
Carter tornò a posare la mano sulla scrivania, allontanandola dalla radio.
In lontananza si udì il crepitio secco di un fucile.
«Sarà meglio fermarli,» lo avvertì Webster.
Il viso di Carter tradiva l’indecisione.
Si udì un’altra fucilata, e poi un’altra ancora.
«Tra un momento,» disse Webster, «Sarà troppo tardi. Non potrai più fermare l’inevitabile.»
Un tuono profondo fece tremare i vetri della finestra. Carter balzò in piedi, pallidissimo.
Webster d’un tratto si sentì sommerso da un’ondata di freddo e di stanchezza. Ma riuscì a mantenere l’espressione del volto e il tono della voce calmi e decisi.
Carter guardava fuori dalla finestra, e pareva una statua di pietra.
«Ho paura,» disse Webster, «Che sia già troppo tardi.»
La radio, sulla scrivania, si mise a ronzare, e la luce rossa si accese.
Carter allungò una mano tremante e abbassò l’interruttore.
«Carter,» stava dicendo una voce, «Carter. Carter.»
Webster riconobbe la voce… la voce volgare e ringhiosa del capo della polizia, Jim Maxwell.
«Che c’è?» chiese Carter.
«Avevano un grosso cannone,» disse Maxwell. «È esploso quando hanno tentato di sparare. Le munizioni erano difettose, immagino.»
«Un cannone?» chiese Carter. «Un cannone solo?»
«Non ne vedo altri.»
«Ho sentito degli spari di fucile,» disse Carter.
«Già, ci hanno sparato contro qualche colpo. Hanno ferito un paio dei ragazzi. Ma adesso si sono ritirati. Sono spariti nel folto della vegetazione. Il fuoco è cessato.»
«Benissimo,» disse Carter, «Allora si può cominciare ad appiccare gli incendi.»
Webster fece un passo avanti.
«Chiedigli… chiedigli…»
Ma Carter sollevò l’interruttore, e la radio si spense.
«Che cosa volevi chiedere?»
«Niente,» disse Webster. «Niente d’importante. Niente.»
Non poteva dire a Carter che era stato Pa’ a conoscere tutto dei cannoni. Non poteva dire a Carter che, quando il cannone era esploso, Pa’ era stato là accanto.
Adesso doveva uscire dal municipio, presto, e andare dove quel cannone era esploso… senza perdere tempo.
«È stato un buon bluff, Webster,» stava dicendo Carter. «Un buon bluff, ma c’è stato chi è venuto a vedere le carte.»
Il sindaco si voltò verso la finestra dalla quale si potevano vedere le case.
«Hanno cessato il fuoco,» disse. «È gente che si arrende in fretta.»
«Potrai ritenerti fortunato,» disse Webster, con rabbia, «Se ne torneranno vivi sei, dei tuoi poliziotti. Quegli uomini che si nascondono nella vegetazione sono armati di fucile, e sono capaci di colpire uno scoiattolo in un occhio a cento metri di distanza.»