No, il vecchio Baxter era stato forse il più grande bugiardo del mondo, o soltanto il più grande bugiardo di sette contee, o soltanto il più grande bugiardo della sua casa; ma quella storia pazza non usciva da quelle leggende, da quelle storie e da quelle favole che in ogni tempo e in ogni luogo formavano il folklore, i costumi e la vita di un popolo, qualunque esso fosse… come questo popolo orgoglioso e ospitale che abitava i boschi e le montagne.
Ogni cosa, nel folklore, aveva un’aura familiare, un’atmosfera riconoscibile; una favola assomigliava all’altra, c’era sempre uno schema definito, riconoscibile, nelle leggende, che le faceva riconoscere come tali e permetteva anche di intuire, sotto l’apparenza fantastica e magica e irreale, la comune realtà dalla quale tutte erano nate. Ma in questo caso, non c’era nulla di tutto questo. Non c’era nulla di divertente, nulla di concreto, anche nella mente dei ’vagabondi delle colline’, nel coprire e riscaldare un formicaio. Per essere una favola, o anche soltanto una storia buffa, ci sarebbe voluto qualcosa d’altro… una morale, per la favola, una battuta comica, per la storia buffa. E invece non c’era alcuna morale, e non c’era alcuna battuta comica, nella storia dell’uomo che riscaldava il formicaio.
Grant si agitò, nervosamente, sul materasso imbottito di foglie di granoturco, e tirò su, fino al mento, la pesante coperta imbottita.
Come sono strani, pensò, i luoghi dove dormo. Come cambiano. Com’è buffo il contrasto. Questa notte sopra un materasso di foglie di granturco, e ieri notte all’aperto, sotto la luce delle stelle, in un accampamento fatto di un uomo, di uno zaino e di un fuoco; e la notte prima, invece, sopra un soffice materasso, tra lenzuola fresche e profumate di bucato, nella casa dei Webster.
Il vento riempì con il suo ululato l’avallamento nascosto dagli alberi, e si fermò nella sua fredda avanzata per fare sbattere un abbaino rotto, sul tetto della casa, e poi tornò indietro per farlo sbattere di nuovo. Un topo fece udire il suo scalpiccio ansioso, in qualche angolo oscuro. Dal letto che si trovava nell’angolo a sinistra veniva il rumore placido di un respiro regolare… erano i due bambini più piccoli dei Baxter, che stavano dormendo il sonno felice della loro età.
Un uomo che appariva quando c’erano da riparare degli oggetti, e non aspettava neanche un grazie. Come era accaduto a lui, quando gli si era guastata la pistola. Come era accaduto per anni e anni ai Baxter, con le loro vecchie macchine agricole che il tempo e l’usura e le stagioni avrebbero dovuto fermare già da molto tempo. Un tipo pazzo che si chiamava Joe, che non invecchiava e che aveva un vero genio per le macchine.
Un pensiero entrò nella mente di Grant; e Grant lo respinse, riuscì a reprimerlo. Non c’era bisogno di farsi delle speranze. Devi curiosare a destra e a manca, Grant, devi ficcare il naso qua e là, senza parere, devi fare delle domande caute, devi tenere gli occhi aperti, Grant. Non mostrarti troppo curioso, non fare delle domande troppo precise, altrimenti staranno zitti, chiuderanno la bocca come una saracinesca, e non saprai più niente.
Strana gente, quei vagabondi delle colline. Gente che non aveva parte alcuna nel progresso, che rifiutava il progresso, gente che non voleva immischiarsene e aveva preferito una vita primitiva alle comodità di una nuova utopia. Gente che aveva voltanto la schiena alla civiltà, che era ritornata alla vita libera della terra e della foresta, del sole e della pioggia.
C’era tanto posto per loro lassù, sulla Terra, c’era tanto, tanto posto per tutti, perché la popolazione della Terra si era paurosamente assottigliata negli ultimi duecento anni, prosciugata dai pionieri che erano partiti per colonizzare nuovi pianeti, un volo di spore umane, un gregge di umanità partito per modellare gli altri mondi del sistema solare secondo le esigenze dell’Uomo e della sua economia.
C’era posto a volontà… e terra, e selvaggina.
Forse era la vita migliore, dopotutto. Grant ricordava di averci pensato a lungo, e spesso, nei lunghi mesi che aveva trascorso vagabondando tra quelle colline. Ci aveva pensato in momenti simili a quello, avvolto nel gradevole calore della coperta fatta a mano, appoggiato sulla rozza utilità del materasso di foglie di granoturco, con il mormorio del vento che si udiva attraverso l’abbaino rotto, nel tetto di legno di una casa nascosta dagli alberi. Ci aveva pensato in momenti simili a quello che aveva vissuto nel pomeriggio, accovacciato in cima a una staccionata, mentre lo sguardo spaziava su un campo colmo di gruppi dorati di zucche che maturavano pigramente al sole dell’autunno.
Nel buio udì un fruscio, il fruscio del materasso di foglie di granoturco sul quale dormivano i due bambini. Poi udì lo scalpiccio di piedi scalzi che camminavano quietamente sulle assi del pavimento.
«Dormi, signore?» mormorò una voce.
«No. Vuoi venire qui al caldo, con me?»
Il bambino si infilò sotto la coperta, e Grant sentì sullo stomaco il contatto dei piedi freddi del piccolo, freddi come la pietra.
«Il nonno ti ha detto di Joe?»
Grant annuì, nel buio.
«Ha detto che non lo si vedeva da un po’ di tempo.»
«Ti ha detto delle formiche?»
«Certo che l’ha detto. Che ne sai, tu, delle formiche?»
«Io e Bill le abbiamo scoperte da poco, e abbiamo tenuto la bocca chiusa. È un segreto. Lo diciamo a te per la prima volta. Non l’abbiamo detto a nessuno, ma a te dobbiamo dirlo, penso. Tu sei stato mandato dal governo.»
«C’era davvero una serra sul formicaio?»
«Sì, e… e…» il bambino rimase muto per un istante, tanto eccitato da non riuscire più a trovare le parole. «E questo non è tutto. Quelle formiche avevano dei carrettini e dal formicaio sporgevano dei comignoli e dai comignoli veniva fuori del fumo. E… e…»
«Sì, che altro c’era?»
«Non ci siamo fermati. Non abbiamo aspettato di vedere altro. Bill e io ci siamo spaventati. Siamo scappati via, di corsa.»
Il bambino si rannicchiò più comodamente sotto la coperta.
«Accidenti, hai mai sentito cose simili? Delle formiche che tirano dei carretti!»
Le formiche tiravano davvero dei carrettini. E c’erano realmente dei comignoli che sporgevano dal formicaio, comignoli dai quali uscivano sbuffi acri e sottili di un fumo che sapeva di metallo in fusione.
Con la testa che gli pulsava per l’emozione, Grant s’inginocchiò accanto al formicaio, fissando i carri in miniatura che avanzavano tra i sentieri tracciati tra i fili d’erba. Carretti vuoti che uscivano, carretti pieni che ritornavano… carichi di semi e, con una certa frequenza, anche di corpi smembrati d’insetti. Carrettini minuscoli, ma non patetici, che si muovevano veloci, sobbalzando e traballando dietro le formiche che li tiravano, aggiogate come buoi nel tempo in cui i buoi avevano camminato sui campi.
La copertura di sostanza plastica che aveva protetto un tempo il formicaio dai rigori dell’inverno, l’assurda serra costruita dall’uomo chiamato Joe, c’era ancora; ma era rotta in più parti, abbandonata da tempo, dimenticata, quasi che ormai essa fosse stata inutile, avesse già servito a uno scopo che non esisteva più.
Quella piccola valle era una plaga inospitale e selvaggia, che scendeva ripida verso la scoscesa banchina del fiume, ricoperta di vegetazione e di spine, disseminata di pietre e macigni, intervallata qua e là da esigue chiazze di prati erbosi, ricca di querce secolari che si levavano a gruppi, alte e solenni. Un luogo fatto di silenzio nel quale non si poteva credere che avesse mai echeggiato una voce, al di fuori della voce sommessa del vento tra le cime degli alberi e delle voci sottili delle creature silvestri che seguivano sentieri segreti.
Un luogo silenzioso e solenne, dove le formiche potevano vivere indisturbate, senza che la loro pace venisse violata dall’aratro o dal piede di un viaggiatore, continuando i milioni di anni di un destino insensato che risaliva a giorni lontani, ai giorni nei quali l’uomo non era esistito, nei quali anche i più remoti progenitori della razza umana dovevano ancora nascere… ai giorni nei quali il primo pensiero astratto ancora non era nato sulla Terra. Un destino chiuso e ristagnante che non aveva avuto alcuno scopo, a eccezione di quello più elementare… la sopravvivenza delle formiche.