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Ma non erano ancora pronti a fare quella domanda… c’era una tradizione da osservare… una tradizione molto piacevole.

Il corpulento Stephen Andrews, capo del servizio stampa dell’Agenzia Interplanetaria d’Informazione, si schiarì la voce come se fosse stato sul punto di fare un annuncio importante, e poi domandò in un tono grave ch’era ben simulato per produrre un effetto comico:

«E come sta l’erede?»

Un sorriso rischiarò il viso di Webster.

«Tornerò a casa per la fine settimana,» disse. «Ho comprato un nuovo giocattolo per mio figlio.»

Allungò una mano, e sollevò il corto cilindro dalla scrivania.

«Un giocattolo all’antica,» disse. «Antichità garantita… Una società ha cominciato da poco a immetterlo sul mercato. Lo appoggiate all’occhio, e lo girate, e vedete delle immagini bellissime. Pezzi di vetro colorato che cambiano posto continuamente, formando immagini sempre diverse. Il giocattolo ha un nome…»

«Caleidoscopio,» disse uno dei giornalisti, velocemente. «Ho letto qualcosa su questi giocattoli. In un vecchio libro di storia, sulle usanze e i costumi del ventesimo secolo.»

«L’ha già usato, signor presidente?» domandò Andrews.

«No,» disse Webster. «Per dirle la verità, non l’ho ancora provato. L’ho acquistato nel pomeriggio, e sono stato troppo occupato.»

«Dove l’ha trovato, signor presidente?» domandò una voce. «Voglio prenderne uno anch’io per mio figlio.»

«L’ho comprato al negozio che si trova proprio all’angolo. Il negozio dei giocattoli, l’avrete visto anche voi. Sono arrivati oggi.»

E adesso, secondo la tradizione, era il momento di chiudere la conferenza stampa. I giornalisti se ne sarebbero andati. Qualche altro minuto di conversazione amichevole, informale, e poi si sarebbero alzati dai loro posti e se ne sarebbero andati.

Ma non se ne andavano… e lui sapeva benissimo che non se ne sarebbero andati. Se ne rese conto dall’improvviso silenzio e dal fruscio dei fogli mossi per coprire l’improvviso silenzio.

E poi Stephen Andrews gli fece la domanda che Webster aveva temuto. Per un istante Webster fu lieto che fosse stato Andrews a parlare. Andrews era sempre stato un amico, in un certo senso, e l’Agenzia Interplanetaria trattava le notizie con grande obiettività, senza quelle parole tortuose che venivano usate per confondere e intricare le cose dai maggiori esponenti della cosiddetta ’stampa interpretativa’.

«Signor Presidente,» disse Andrews. «Ci è giunta notizia che un uomo, sottoposto a conversione su Giove, è ritornato sulla Terra. Vorremmo chiederle se l’informazione è vera.»

«È vera,» disse Webster, rigidamente.

I giornalisti aspettarono e Webster aspettò, immobile sulla sua poltrona.

«Desidera commentare la notizia?» chiese alla fine Andrews.

«No,» disse Webster.

Webster si guardò intorno, lasciò scorrere lo sguardo sui volti che riempivano la stanza. Volti tesi, che percepivano una parte della verità che si nascondeva dietro il suo reciso rifiuto di discutere l’argomento. Volti divertiti, che mascheravano dei cervelli che perfino in quel momento, così, a caldo, stavano pensando a come distorcere le poche parole che lui aveva pronunciato, a come usarle per dare un tono sinistro al suo discorso. Volti furibondi, che avrebbero scritto degli articoli ’interpretativi’ oltraggiati, sul diritto che il popolo aveva di conoscere sempre la verità.

«Mi dispiace, signori,» disse Webster.

Andrews si alzò pesantemente dal suo posto.

«Grazie, signor presidente,» disse.

Webster sedette sulla sua poltrona e li seguì con lo sguardo, mentre abbandonavano la stanza, e percepì il gelo e il vuoto di quella stanza, dopo la loro uscita.

Mi metteranno in croce, pensò. Mi inchioderanno alla porta del fienile e io non ho nulla con cui rispondere, con cui reagire. Non ho un solo argomento con cui ribattere.

Si alzò dalla poltrona e camminò lentamente attraverso la stanza, si fermò davanti alla finestra, guardò fuori, guardò il giardino che dormiva pigramente sotto il sole del pomeriggio.

Eppure, semplicemente, lui non poteva dire la verità.

Il paradiso! Bastava chiedere e si otteneva il regno dei cieli! E la fine dell’umanità con esso. La fine di tutti gli ideali e di tutti i sogni del genere umano, la fine della stessa razza.

La luce verde si accese sulla sua scrivania e si udì un sommesso ronzio, e Webster si voltò e ritornò al suo posto.

«Cosa succede?» domandò.

Il piccolo schermo si accese e apparve un viso.

«I cani hanno comunicato in questo momento, signore, che Joe, il mutante, si è recato nella sua residenza, e Jenkins l’ha fatto entrare.»

«Joe! Ne è sicuro?»

«È quello che dicono i cani. E i cani non sbagliano mai.»

«No,» disse Webster, lentamente, «No, i cani non sbagliano mai.»

Il viso svanì dallo schermo, e Webster sedette stancamente, pesantemente.

Con dita intorpidite raggiunse il piccolo quadro di comando che si trovava sul piano della scrivania, e formò la combinazione, senza neppure guardare.

La casa apparve, enorme e massiccia, sullo schermo, la casa che si trovava nell’America del Nord e stava appollaiata sulla cima della collina battuta dal vento. Una costruzione che sorgeva lassù da quasi mille anni. Un luogo nel quale una lunga teoria di Webster aveva vissuto e sognato ed era morta.

In alto, nell’azzurro sopra la casa, un corvo stava volando e Webster udì, o gli parve di udire, il richiamo portato dal vento dell’uccello nero che tracciava ampie spirali nel cielo.

Tutto era normale… apparentemente. La casa sonnecchiava sotto il sole del mattino, e la statua sorgeva ancora sul prato… la statua di un antenato morto da tanto tempo, che era scomparso sulla strada scintillante delle stelle. Allen Webster, che era stato il primo a lasciare il Sistema Solare, diretto ad Alfa del Centauro… la stessa destinazione della spedizione che tra un giorno o due sarebbe partita da Marte.

La casa era immota, l’aria era immota intorno alla casa, non c’era alcun segno di vita intorno; l’erba era come raggelata nell’aria senza vento, e la scena pareva fissata per sempre, eterna e immutabile.

Webster mosse la mano e cancellò la combinazione. Lo schermo si spense.

Jenkins può affrontare la situazione, pensò. Probabilmente meglio di quanto possa farlo un uomo. Dopotutto, in quel suo corpo di metallo è racchiusa la saggezza di quasi mille anni, è racchiusa l’esperienza di dieci lunghi secoli. Jenkins mi chiamerà tra poco, per farmi sapere quel che sta succedendo.

La sua mano si mosse di nuovo, e formò una nuova combinazione.

Aspettò per diversi secondi, lunghissimi secondi, prima che il volto apparisse sullo schermo.

«Che c’è, Tyler?» domandò il volto.

«Ho appena ricevuto la notizia che Joe…»

Jon Culver annuì.

«Anch’io l’ho ricevuta adesso. Sto controllando.»

«Che cosa ne deduci?»

Il viso del capo della Sicurezza Mondiale si raggrinzì in un’espressione perplessa.

«Forse comincia a cedere, ad addolcirsi. Abbiamo dato ben poca tregua a Joe e agli altri mutanti. I cani hanno svolto un lavoro davvero di prim’ordine.»

«Ma non ci sono stati segni di cedimento,» protestò Webster. «Da tutti i dati in nostro possesso non emerge un solo elemento che possa far pensare a una svolta della situazione.»

«Ascolta,» disse Culver. «Non hanno potuto tirare il fiato una sola volta, in più di cento anni, senza che noi lo sapessimo. Abbiamo trascritto, nero su bianco, tutto quello che loro hanno fatto. Abbiamo bloccato sul nascere tutte le loro mosse. All’inizio avranno dato la colpa alla sfortuna, ma adesso sanno che non si tratta soltanto di sfortuna. Forse hanno deciso che è inutile continuare, che sono stati sconfitti.»