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«E quando ci si sveglia?»

«Si è armonizzati. Si è armonizzati con qualsiasi vita si viva nell’epoca del tuo risveglio. Come se fosse la tua epoca, come se vi avessi vissuto sin dall’inizio. E potrebbe essere un’epoca migliore di questa. Chi può dirlo? Potrebbe essere un’epoca migliore di questa.»

«Non sarà migliore,» le disse Jon, scuro in volto. «A meno che qualcuno non decida di fare qualcosa per cambiare. Fino a quel giorno non cambierà niente. E una persona che si rifugia nel Sonno per nascondersi non potrà sperare di cambiare niente.»

Sara sobbalzò, e improvvisamente Webster provò un po’ di vergogna.

«Mi dispiace, Sara. Non parlavo di te. Né di nessun altro in particolare. Parlavo di tutti noi, nel complesso.»

Le palme stormivano raucamente, mosse da un vento che non era vento. Piccole pozze d’acqua, lasciate dalle ondate che si ritiravano dalla spiaggia, scintillavano debolmente sotto il sole.

«Non cercherò di dissuaderti,» disse Webster. «Tu hai avuto modo di riflettere, tu sai quello che vuoi.»

Ma il genere umano non è sempre stato così, pensò. Un giorno, mille anni or sono, un uomo si sarebbe opposto a una decisione del genere. Avrebbe trovato la forza di discutere, di obiettare, di convincere. Oggi non più. Il juwainismo ha posto fine a tutti i litigi meschini. Il juwainismo ha posto fine a tante, tante cose!

«Ho sempre pensato,» gli disse Sara, dolcemente. «Che se avessimo potuto restare insieme…»

Lui fece un gesto d’impazienza.

«Si tratta di un’altra cosa che abbiamo perduto, un’altra cosa che la razza umana si è lasciata sfuggire. A pensarci bene, abbiamo perduto tante e tante cose… i legami familiari e il lavoro, il commercio e gli scopi di vita…»

Si voltò a guardarla con fermezza.

«Se vuoi tornare da me, Sara…»

Lei scosse il capo

«Non servirebbe a niente, Jon. Sono passati troppi anni.»

Lui annuì. Non aveva senso negare la verità.

Lei si alzò e gli tese la mano.

«Se decidessi mai di prendere il Sonno, controlla la durata del mio. Farò riservare un posto accanto al mio…»

«Non credo che lo farò mai,» le disse.

«Bene, allora. Addio, Jon.»

«Aspetta un momento, Sara. Non hai detto una sola parola su nostro figlio. Una volta lo vedevo spesso, ma…» lei rise, e questa volta fu una risata serena.

«Tom è quasi un uomo, adesso. E la cosa più strana è che lui…»

«Non lo vedo da tanto tempo,» ripeté Webster.

«Non me ne meraviglio. È difficile che venga in città. È il suo passatempo, la sua mania. Una cosa che deve avere ereditato da te. In un certo senso, potrei definirlo un pioniere; è l’unico modo per descrivere la natura del suo passatempo.»

«Intendi parlare di una nuova ricerca, di qualcosa d’insolito?»

«Bene, si tratta di qualcosa d’insolito, sì, ma non è una ricerca. Vedi, lui prende la via dei boschi, va nella foresta e vive con i propri mezzi. Lui, con pochi amici, una borsa di sale, un arco, e una freccia… e niente altro. Lo so, è strano,» ammise Sara. «Ma si diverte moltissimo. Afferma che, così facendo, impara sempre qualcosa. Dice che si tratta di una grande lezione, e tante altre cose del genere. E poi ha un aspetto così sano, così vigoroso. Sembra un lupo. Forte e asciutto e con una luce strana nello sguardo.»

Si voltò, e fece per andarsene.

«Ti accompagno alla porta,» disse Webster.

Lei scosse il capo.

«No. Preferirei che non lo facessi.»

«Dimentichi l’anfora.»

«Tienila tu, Jon. Non ne avrò bisogno, dove vado adesso.»

Webster si infilò la ’cuffia pensante’ di materia plastica, e premette il bottone che la collegava alla macchina per scrivere che si trovava sulla scrivania.

Capitolo Ventiseiesimo, pensò, e la macchina da scrivere ticchettò e gorgogliò e scrisse «Capitolo XXVI.»

Per un istante Webster fece una pausa, per chiarire le idee, per raccogliere mentalmente tutti i dati e ricordare con esattezza il prospetto dell’opera, per avere le idee precise su quanto avrebbe dovuto scrivere. Poi riprese a pensare. La macchina per scrivere ticchettò e gorgogliò, e poi ronzando uniformemente, continuò a scrivere:

Le macchine continuavano a funzionare, accudite dai robot, come già era stato prima, producendo tutte le cose che avevano prodotto in passato.

E i robot lavoravano come sapevano ch’era loro diritto lavorare, loro diritto e loro dovere, facendo tutte le cose per cui erano stati creati.

Le macchine continuavano a funzionare e i robot continuavano a funzionare, producendo ricchezza come se ci fossero stati degli uomini a goderne i frutti, come se ci fossero stati milioni di uomini e non quegli scarsi cinquemila ch’erano rimasti in realtà.

E i cinquemila ch’erano rimasti sul pianeta, volontariamente o perché erano stati abbandonati, si ritrovarono d’un tratto padroni di un mondo che aveva sostenuto milioni di individui, si ritrovarono in possesso della ricchezza e dei servizi che solo pochi mesi prima erano stati indispensabili per garantire ricchezza e servizi a milioni di cittadini umani.

Non c’era governo, ma non ve n’era necessità alcuna, perché tutti i crimini e gli abusi che il governo aveva impedito o punito venivano ora impediti con uguale, se non maggiore, efficacia dall’improvvisa ricchezza che i cinquemila rimasti avevano ereditato. Nessun uomo ruba quando può prendere ciò di cui ha bisogno senza ricorrere al furto. Nessun uomo entra in lite col suo vicino per i diritti di proprietà, quando tutto il mondo è una proprietà a disposizione di chi voglia prenderla. ’Diritto di proprietà’ divenne, dalla sera alla mattina, una frase priva di significato di un mondo che era più che sufficiente per tutti.

La violenza e il delitto erano già stati virtualmente eliminati dalla società umana da molto tempo, e quando la pressione economica venne diminuita al punto in cui il diritto di proprietà cessò di essere un elemento di frizione, la necessità di un governo scomparve completamente. Non ci fu più bisogno, anzi, di gran parte degli ingombri formalistici e tradizionalistici che l’Uomo aveva portato con sé fin dagli inizi del commercio. Non c’era più alcun bisogno di denaro, perché lo scambio non aveva più alcun significato in un mondo dove per ottenere una cosa era sufficiente chiederla o prenderla.

Le pressioni sociali si allentarono insieme alle pressioni economiche. Un individuo non trovava più necessario conformarsi al metro di giudizio e ai canoni di comportamento e alle tradizioni che avevano influito così notevolmente sul mondo pre-gioviano, nel quale il commercio aveva giocato una parte preponderante, condizionando stabilmente il comportamento dei singoli.

La religione, che aveva continuato a perdere terreno per secoli e secoli, scomparve del tutto. Il nucleo familiare, tenuto in vita dalla tradizione e dalla necessità economica del sostentamento e della protezione, si disintegrò del tutto. Uomini e donne vivevano insieme quando e come desideravano. Perché non esistevano motivi né sociali né economici che lo impedissero.

Webster, con l’abilità nata dalla lunga pratica svuotò la mente di ogni pensiero, e la macchina ronzò dolcemente, quasi con aria interrogativa. Lui sollevò le braccia, si tolse la cuffia, e rilesse l’ultimo paragrafo.

Ecco, pensò Ecco la radice di tutto. Se le famiglie fossero rimaste unite. Se Sara e io fossimo rimasti insieme.

Si fregò i porri sul dorso della mano, meditabondo. Chissà se Tom usa il mio cognome o quello di Sara. Di solito i figli prendono il cognome della madre. Anch’io seguii l’usanza, all’inizio, finché mia madre non mi chiese di cambiarlo, di usare il cognome di mio padre. Diceva che questo l’avrebbe reso felice, e a lei non importava. Affermava che mio padre era orgoglioso del nome della famiglia, e che io ero il suo unico figlio. Mentre lei ne aveva degli altri.