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«Anni or sono, con l’avvento dell’energia atomica industriale, la Commissione Mondiale ha dovuto affrontare una decisione grave e difficile. I cambiamenti che il mondo doveva affrontare per progredire dovevano essere accuratamente graduati, misurati in modo che la popolazione si adattasse naturalmente, oppure dovevano essere operati con la maggiore rapidità possibile, facendo intervenire la Commissione per aiutare gli individui a raggiungere il necessario adattamento? È stato deciso, giusta o sbagliata che fosse questa decisione, di fare venire per primo il progresso, senza preoccuparsi dell’effetto che esso avrebbe prodotto sulla popolazione. La decisione, nelle sue grandi linee, si è rivelata saggia.

«Noi sappiamo bene, naturalmente, che in molti casi quest’opera di riadattamento non avrebbe potuto svolgersi apertamente. In alcuni casi, per esempio presso le grandi masse di lavoratori che si erano trovate senza lavoro, un riadattamento generale e aperto si è rivelato possibile, ma nella maggior parte dei casi individuali, come quello del nostro amico Ole, la cosa cambiava completamente. Questi individui dovevano essere aiutati a ritrovarsi nel mondo nuovo, ma non dovevano sapere dell’esistenza di questo aiuto. Sapendolo, avrebbero perduto la fiducia in se stessi e la dignità, e la dignità è la base di qualsiasi civiltà.»

«Ero naturalmente al corrente dell’opera di riadattamento compiuta all’interno del mondo industriale,» disse Webster. «Ma il fatto dei casi individuali mi giunge completamente nuovo.»

«Certo, non potevamo renderlo di pubblico dominio,» disse Taylor. «Praticamente questo lavoro si svolge clandestinamente.»

«Ma perché mi sta dicendo tutto questo?»

«Perché saremmo lieti di averla con noi. Tanto per cominciare, che ci aiutasse a risolvere il problema di Ole. E poi, magari, che vedesse cosa si può fare per gli Abusivi.»

«Non saprei…» disse Webster.

«La stavamo aspettando,» disse Taylor. «Sapevamo che alla fine sarebbe venuto qui. Ogni possibilità di trovare lavoro le sarebbe stata preclusa da King. Lui ha passato parola nei circoli influenti. Lei è sulla lista nera di ogni Camera di Commercio e di ogni gruppo civico del mondo, ormai.»

«Probabilmente non ho scelta,» disse Webster.

«Non vogliamo che lei pensi questo,» disse Taylor. «Prenda tempo per riflettere, poi torni da noi. Anche se non accetterà la nostra proposta, le troveremo un altro lavoro… a dispetto di King.»

Fuori, Webster vide uno spaventapasseri che lo stava aspettando. Era Levi Lewis, senza il suo sorriso dai denti neri e rotti, ma con il fucile sotto il braccio.

«Degli amici hanno detto di averla vista entrare qui,» spiegò. «Così sono venuto ad aspettarla.»

«Ci sono dei guai?» chiese Webster, perché l’espressione di Levi indicava eloquentemente che c’erano dei guai.

«È quella dannata polizia,» disse Levi, e sputò, disgustato.

«La Polizia,» ripeté Webster, e a quelle parole il cuore gli mancò… perché adesso conosceva la natura dei guai.

«Già,» disse Levi. «Si preparano a scacciarci col fuoco.»

«Così il consiglio comunale ha ceduto, alla fine,» fece Webster.

«Sono andato adesso al comando di polizia,» disse Levi. «Li ho avvertiti di andarci piano, se non vogliono avere sorprese. Li ho avvertiti che ci sarebbero state le budella di un sacco di gente per le strade, se ci proveranno. Ho piazzato i ragazzi tutt’intorno alla zona, nei punti strategici, con l’ordine di non sparare fino a quando non saranno più che certi di colpire il bersaglio.»

«Non puoi fare questo, Levi,» disse Webster, seccamente.

«Non posso?» esclamò Levi. «Ma l’ho già fatto. Ci hanno scacciati dalle fattorie, ci hanno costretti a vendere perché altrimenti saremmo tutti morti di fame. Ma adesso non ci scacceranno più da nessun posto. O resteremo qui, o moriremo qui. E se vogliono cacciarci via col fuoco, potranno farlo solo quando non ci sarà più nessuno di noi a fermarli.»

Si tirò su con la mano i pantaloni troppo larghi, e sputò di nuovo.

«E non siamo gli unici che la pensano così,» dichiarò. «Pa’ è con noi. È già al suo posto.»

«Pa’!»

«Sicuro, Pa’. Il vecchio che vive con lei. È venuto da noi, e ce lo siamo preso come una specie di generale in capo. Dice che si ricorda di certi trucchi che ha imparato durante la guerra e che la polizia neppure si sogna. Ha mandato alcuni dei ragazzi in quei sacrari della Legione a prendere un cannone. E dice di sapere dove possiamo procurarci qualche proiettile, in uno dei musei. Dice che dovremo organizzarci bene, e che quando tutto sarà pronto potremo avvertire la polizia che, non appena farà una mossa, noi cominceremo i fuochi d’artificio.»

«Senti, Levi, me lo faresti un favore?»

«Certo, signor Webster.»

«Vorresti entrare nell’edificio a chiedere di un certo signor Taylor? Insisti per vederlo personalmente. E digli che sono già al lavoro.»

«Certo, signor Webster, ma dove sta andando?»

«Vado in municipio.»

«È sicuro di non volermi con lei?»

«No,» dichiarò Webster. «Farò molto meglio da solo, grazie. E, Levi…»

«Sì?»

«Di’ a Pa’ di tenere a bada la sua artiglierìa. Che non spari se proprio non vi è costretto… ma se lo sarà, che cerchi di non sbagliare mira!»

«Il sindaco è occupato,» disse Raymond Brown, il suo segretario.

«Lo credi tu,» disse Webster, dirigendosi verso la porta.

«Non puoi entrare, Webster,» gridò Brown.

Balzò in piedi, girò intorno alla scrivania a passo di carica, cercando di afferrare Webster. Webster si girò, violentemente, colpì con una robusta spallata Brown, che barcollando andò a colpire la scrivania. La scrivania si spostò e Brown agitò le braccia, perse l’equilibrio e cadde pesantemente a terra.

Webster spalancò la porta dell’ufficio del sindaco.

I piedi del sindaco sparirono come per magia dal piano della scrivania:

«Avevo detto a Brown…» cominciò.

Webster annuì.

«E Brown me l’ha riferito. Che succede, Carter? Hai paura che King scopra che sono stato qui? Hai paura di venire contaminato da qualche buona idea?»

«Che cosa vuoi?» disse seccamente Carter.

«Ho saputo che la polizia sta per incendiare le case.»

«È vero,» dichiarò il sindaco, in tono pontificale, «Sono una minaccia per la comunità.»

«Quale comunità?»

«Adesso ascolta, Webster…»

«Sai benissimo che non esiste nessuna comunità. C’è solo un manipolo di sporchi politicanti come te, un gruppo che resta qui come se avesse messo le radici, per conservare il diritto di residenza ed essere sicuro di venire eletto ogni anno, incassando così lo stipendio. Stiamo arrivando al punto in cui vi basterà votare l’uno per l’altro, per essere sicuri di essere eletti. La gente che lavora nei negozi e nelle fabbriche, perfino quelli che svolgono le mansioni più umili nelle fabbriche, non abitano entro i confini del comune. Gli industriali e i commercianti se ne sono andati da molto tempo. Continuano a fare qui i loro affari, ma non sono più residenti del comune.»

«Ma questa è ancora una città,» dichiarò il sindaco.

«Non sono venuto qui per discutere di questo,» disse Webster. «Sono venuto, invece, per cercare di dimostrarti che incendiando quelle case stai facendo una cosa sbagliata. Anche se non te ne rendi conto, le case rappresentano un tetto per quei poveretti che non possiedono altro. E si tratta di gente che è venuta in questa città per cercare rifugio, e che ha trovato rifugio da noi. Sotto un certo punto di vista, noi ne siamo responsabili.»

«Non ne siamo responsabili,» disse freddamente il sindaco, «Qualunque cosa possa accadere a quella gente, non sarà colpa nostra, ma della loro sfortuna. Non abbiamo chiesto loro di venire qui. Non li vogliamo qui. Non danno nessun contributo alla comunità. Adesso tu mi dirai che sono dei disgraziati, senza lavoro e senza casa. Be’, che cosa ci posso fare io? Mi puoi dire che non possono trovare lavoro. E io ti rispondo che il lavoro potrebbero trovarlo, se solo si prendessero il disturbo di cercarlo. Il lavoro da fare c’è adesso e ci sarà sempre. Si sono lasciati riempire la testa di tutti quei bei discorsi sul nuovo mondo, sulla società più giusta e più buona, e adesso credono che tocchi agli altri trovare il posto adatto per loro e il lavoro che vada loro bene.»