Rich inviò al tecnico uno sguardo di riconoscenza; se Aminadabarlee stava facendo la stessa cosa, nessuno fu in grado di rendersene conto. Per diversi minuti il silenzio venne rotto soltanto dalla voce dei bambini, che leggevano dei numeri e descrivevano le stelle.
Poi Easy riferì che l’astronave stava di nuovo ruotando.
«Molto bene,» disse Sakiiro, «questo significa che siete sopra la macchina. Da questo momento e fino a quando la velocità non sarà stata annullata, lei dovrà sopportare più di tre gravità e mezzo. Il sedile sul quale si trova si può distendere automaticamente, per farle assumere la migliore posizione, ma non sarà certo una sistemazione comoda. Il suo amico potrà senza dubbio sopportare la cosa, ma la prego di avvertirlo di non muoversi. L’astronave sta viaggiando velocemente nell’atmosfera, e il passaggio tra le diverse correnti d’aria potrà provocare alcune scosse violente.»
«Molto bene.»
«Le stelle si stanno offuscando.» Era la voce di Aminadorneldo.
«Grazie. Può leggermi di nuovo la pressione?»
La ragazza eseguì, e la sua voce denotò un’evidente tensione. Fino all’inizio dell’ultimo cambiamento di rotta, il batiscafo si trovava in una condizione di caduta pressoché libera; ma con le sue ali rudimentali che battevano quel poco di atmosfera che era reperibile a quell’altezza, nel tentativo di usarla come freno direzionale, la situazione era nettamente diversa. Nessuno dei tecnici riusciva a capire per quale motivo l’astronave non veniva sconvolta da una serie di scosse violentissime; il cambiamento di rotta era iniziato a una velocità molto più elevata di quella prevista dai progettisti dell’apparecchio. Così come andavano le cose, l’intera operazione parve incredibilmente semplice… per qualche tempo.
Sakiiro, che non aveva dei dati realmente oggettivi da elaborare, aveva cominciato a pensare che l’apparecchio avesse raggiunto la velocità desiderata, ed era sul punto di spiegare a Easy la posizione dei comandi che azionavano il processo di elettrolisi, quando il movimento cambiò. Una serie di scosse terrificanti sconvolse l’astronave. Il corpo della ragazza era assicurato al suo posto dalle cinghie di sicurezza, ma la testa e gli arti si muovevano come quelli di uno spaventapasseri al centro di un tornado; il giovane drommiano per la prima volta non riuscì a stare fermo. Le scosse continuarono, e i colpi erano sottolineati dai singhiozzi della ragazza e da un lamento quasi inaudibile di Aminadorneldo. Il drommiano padre si sollevò di nuovo e guardò lo schermo ansiosamente.
I tecnici erano sconcertati; i diplomatici erano troppo preoccupati per la sorte dei loro rampolli per essere in grado di fornire delle idee costruttive, anche se fossero stati qualificati a darne; ma Raeker credette di avere trovato la risposta.
«Vengono colpiti dalle gocce d’acqua!» gridò.
Doveva avere visto giusto, venne deciso in seguito; ma l’informazione, sul momento, non fu di grande aiuto. Il batiscafo si impennava e sussultava. Il pilota automatico faceva del suo meglio per mantenerlo in linea di volo, ma i comandi aerodinamici erano miseramente inadeguati per questo compito. Almeno due volte l’apparecchio si ribaltò completamente, per quanto poteva giudicare Raeker dalle capriole compiute dal drommiano all’interno della cabina. Fu soltanto la fortuna a impedire al piccolo extraterrestre di toccare qualcuno dei comandi. Per un certo tempo i comandi furono inutili, perché i loro sforzi erano sopraffatti… anche se l’acqua non era molto più densa dell’aria, le enormi gocce bastavano a impedire ogni ragionevole tentativo di regolare il volo. Poi furono inutili perché l’atmosfera non forniva più un punto d’appoggio utilizzabile; l’astronave era stata privata di una buona dose di energia cinetica da parte delle gocce di pioggia, e la sua velocità era nettamente inferiore a quella di volo… bassa com’era, in un’atmosfera sette od ottocento volte più densa di quella della Terra al livello del mare. A questo punto, ovviamente, l’astronave stava cadendo, nel senso più semplice e più antico della parola. Il movimento era ancora irregolare, perché lo scafo veniva ancora colpito dalle gocce; ma la violenza era scomparsa.
La velocità di caduta era sorprendentemente bassa, per un campo a tre G. La ragione era abbastanza semplice… anche con l’atmosfera esterna che riempiva gran parte del suo volume, l’astronave aveva una densità minima. Era uno scafo a forma di sigaro, lungo duecento piedi, e l’unica parte realmente pesante era la sfera di quaranta piedi, al centro, che conteneva il settore abitabile. Probabilmente sarebbero stati evitati dei guasti irreparabili anche se il batiscafo fosse atterrato su un terreno solido; ma in questo caso, la caduta terminò sul liquido.
Liquido reale; non la sostanza instabile che componeva l’atmosfera di Tenebra.
Il batiscafo atterrò ribaltato, ma il suo centro di gravità era abbastanza basso da riportarlo in una posizione più comoda. Il pavimento finalmente smise di ondeggiare, o, per lo meno, fu il drommiano a ritrovare l’equilibrio… dato che la telecamera era incorporata nel quadro di comando, il pavimento era sempre sembrato immobile a coloro che osservavano dallo spazio. Videro il gigante rimettersi cautamente in piedi, e poi avvicinarsi lentamente al sedile della ragazza, e toccarla leggermente sulla spalla. La ragazza si mosse, e cercò di mettersi a sedere.
«Ti senti bene?» I due genitori formularono all’unisono la domanda. Aminadorneldo, che ricordava gli ordini di suo padre, aspettò che fosse Easy a rispondere.
«Credo di sì,» disse lei, dopo un momento, «mi dispiace di avere pianto, babbo; avevo paura. Però non volevo spaventare ‘Mina.»
«Tutto bene, bambina. Sono certo che nessuno può biasimarti, e non credo che la tua reazione abbia avuto molto a che fare con quella del tuo amico. Adesso è importante che siate tutti interi, e che l’astronave sia intatta… penso che, in caso contrario, a quest’ora sareste già morti.»
«Direi che è proprio così,» ammise Sakiiro.
«Il viaggio è stato duro, certo, ma adesso è finito. Dato che siete laggiù, potreste anche dare un’occhiata dagli oblò… siete i primi stranieri che lo fanno. Quando avrete visto tutto quello che c’è da vedere, ditelo al signor Sakiiro, e lui vi farà tornare su. Siamo d’accordo?»
«Certo, babbo.» Easy si passò la mano sul viso segnato dalle lacrime, staccò le cinghie, e finalmente riuscì ad alzarsi in piedi.
«Diavolo, quando toglieranno l’energia? Non mi piacciono tutte queste gravità,» fece notare lei.
«Sei costretta a sopportarle, finché non ti tireremo su,» rispose suo padre.
«Lo so. Stavo solo scherzando. Uhm! Sembra che fuori sia notte; non vedo niente.»
«È notte, se vi trovate nelle vicinanze della macchina,» rispose Raeker. «Ma per i tuoi occhi, anche se fosse giorno le cose non cambierebbero. Neppure Altair può far penetrare in quell’atmosfera abbastanza luce per gli occhi umani. Dovrai usare le luci.»
«Va bene.» La ragazza guardò il quadro di comando, sul quale aveva già individuato i commutatori delle luci; poi, tra la meravigliata approvazione dei tecnici, volle sapere con sicurezza da Sakiiro se quelli erano veramente i commutatori desiderati. Sakiiro ammise più tardi che le sue speranze di salvare la coppia aumentarono notevolmente, in quel momento.
Una volta accese le luci, i due bambini si avvicinarono agli oblò.
«Non c’è molto da vedere,» dichiarò Easy. «Sembra che siamo caduti in un lago, o in un oceano. È liscio come il vetro; niente onde. Direi che si tratta di roba solida, se lo scafo non fosse parzialmente immerso. Dal cielo stanno scendendo dei grossi globi nebulosi, a perdita d’occhio, ma sembra che svaniscano prima di toccare la superficie. È tutto quello che posso vedere.»
«Sta piovendo,» disse semplicemente Raeker. «Il lago è probabilmente di acido solforico. Direi che a questa ora di notte sarà alquanto diluito, ed è più caldo dell’atmosfera, in modo da far svanire le gocce. Non possono esserci delle onde; non c’è vento. Tre nodi orari significano un uragano, su Tenebra.»