I miei genitori mi piacciono, davvero. È solo che mi fanno uscire di testa. Prima di tutto c’è la mia sorella perfetta, Valerie, con le sue due figlie perfette. Per fortuna vive a Los Angeles e quindi la loro perfezione è mitigata dalla distanza. Poi c’è il mio preoccupante stato civile, che mia madre si sente in obbligo di regolarizzare. Per non parlare poi del lavoro, di come mi vesto, di quello che mangio, della frequentazione della chiesa (o meglio della non frequentazione).
«Okay, Bob» dissi «è ora di tornare al lavoro. Mettiamoci in moto.»
Avrei passato il pomeriggio a cercare auto. Dovevo trovare una Cadillac bianca e una Batmobile. Decisi di iniziare dal Burg per poi allargare l’area di ricerca. Mi ero fatta mentalmente una lista dei ristoranti e dei posti dove servivano pasti a prezzi scontati per gli anziani. Quelli li avrei lasciati per ultimi, magari avrei trovato la Cadillac bianca prima.
Lasciai un pezzo di pane nella gabbietta di Rex e gli dissi che sarei tornata a casa per le cinque. Avevo in mano il guinzaglio di Bob e stavo per uscire quando qualcuno bussò alla porta. Era un fattorino della StateLine Florist.
«Buon compleanno» disse il ragazzo. Mi porse un vaso di fiori e se ne andò.
Era un po’ strano, considerato che il mio compleanno è in ottobre ed eravamo in aprile. Sistemai i fiori sul piano della cucina e lessi il biglietto.
Le rose sono rosse, blu sono le pansé, mi è venuto duro pensando a te.
Era firmato Ronald DeChooch. Non solo mi aveva fatto rivoltare lo stomaco alla Ace Pavers, adesso mi mandava anche dei fiori.
Capitolo 4
«Puah! Che schifo!» Afferrai i fiori e feci per buttarli via, ma non ci riuscii. Mi è già difficile buttare via i fiori quando sono secchi, figuriamoci se sono freschi e belli. Buttai il biglietto sul pavimento e lo calpestai più volte. Poi lo feci a pezzettini e lo gettai nella spazzatura. I fiori erano ancora sul piano della cucina, in tutta la loro gaiezza e allegria di colori, ma mi facevano rivoltare lo stomaco. Li presi e li sistemai con cura fuori dalla porta di casa. Poi rientrai nell’appartamento e chiusi la porta. Rimasi lì un istante a riflettere.
«Okay, posso conviverci» dissi a Bob.
A Bob non sembrava importare granché di quel che era successo.
Presi una giacca dall’attaccapanni nell’ingresso. Bob e io lasciammo l’appartamento, oltrepassammo svelti i fiori nel corridoio e poi, lentamente, scendemmo le scale e salimmo in macchina.
Dopo una mezz’ora passata a vagare per il Burg, decisi che cercare la Cadillac era un’idea cretina. Parcheggiai sulla Roebling e chiamai Connie dal cellulare.
«Novità?» chiesi. Connie era imparentata con metà dei criminali del New Jersey.
«Dodie Carmine si è rifatta le tette.»
Era una notizia bomba, ma non quello che serviva a me. «Nient’altro?»
«Non sei l’unica a cercare DeChooch. Ho ricevuto una telefonata da mio zio Bingo, che mi ha chiesto se stavamo seguendo qualche pista. Dopodiché ho parlato con mia zia Flo la quale mi ha detto che è successo qualcosa a Richmond quando DeChooch è andato là per quella storia delle sigarette. Ma non ha saputo dirmi altro.»
«Sul foglio di arresto c’è scritto che DeChooch era da solo quando l’hanno beccato. Mi sembra strano che non avesse un complice.»
«A quanto ne so era da solo. Aveva organizzato l’affare, affittato un camion ed era andato a Richmond.»
«Quel vecchio cieco ha guidato fino a Richmond per racimolare qualche sigaretta?»
«Così sembra.»
Avevo i Metallica in sottofondo. Bob era seduto accanto a me sul sedile anteriore, e sembrava apprezzare gli assolo di batteria di Lars. Dietro le porte chiuse del Burg si conducevano affari. E improvvisamente mi venne un’idea inquietante.
«DeChooch è stato arrestato tra qui e New York?»
«Sì, alla piazzola di sosta di Edison.»
«Pensi che potrebbe aver mollato un po’ del carico da qualche parte qui nel Burg?»
Ci fu un momento di silenzio. «Stai pensando a Dougie Kruper» disse Connie.
Chiusi il cellulare, inserii la marcia e mi diressi a casa di Dougie. Una volta arrivata non persi neanche tempo a bussare. Io e Bob facemmo semplicemente irruzione.
«Ehi» fece il Luna, uscendo lentamente dalla cucina con un cucchiaio in una mano e una scatoletta aperta nell’altra «stavo pranzando. Vuoi un po’ di succo d’arancia e di questa roba scura in scatola? Ne ho in abbondanza. Allo Shop Bag c’era una promozione prendi tre paghi due per le scatolette senza etichetta.»
Avevo già fatto metà delle scale. «No, grazie. Voglio solo dare un’altra occhiata al magazzino di Dougie. C’è dell’altro oltre a quell’ultimo carico?»
«Sì, un vecchio ha lasciato qui qualche scatolone un paio di giorni fa. Niente di che, però. Solo un paio di scatoloni.»
«Sai per caso che c’è in quegli scatoloni?»
«Sigarette di prima qualità. Ne vuoi qualcuna?»
Mi feci largo tra le merci varie della terza camera da letto e trovai le sigarette. Maledizione.
«Non è una bella cosa» dissi al Luna.
«Lo so. Ti uccidono, piccola. Molto meglio l’erba.»
«I supereroi non si fanno le canne» gli dissi.
«Neanche per sogno!»
«È vero. Non puoi essere un supereroe se ti droghi.»
«Tra un po’ mi dirai che non bevono neanche la birra.»
Difficile saperlo. «Sulla birra non ho informazioni.»
«Accidenti.»
Provai a pensare a come poteva essere il Luna quando non era fatto, ma non riuscivo a immaginarmelo. Avrebbe iniziato a vestirsi con abiti eleganti? Avrebbe votato per il partito repubblicano?
«Devi sbarazzarti di questa roba» gli dissi.
«Vuoi dire che devo venderla?»
«No. Devi sbarazzartene. Se viene la polizia ti accuseranno di appropriazione indebita di merce rubata.»
«La polizia è di casa qui, piccola. Sono fra i migliori clienti di Dougie.»
«Voglio dire se viene in veste ufficiale. Per esempio se stanno investigando sulla scomparsa di Dougie.»
«Ahhh» fece il Luna.
Bob adocchiò la scatoletta che il Luna aveva in mano. Il contenuto assomigliava molto a cibo per cani. Ovviamente, quando hai un cane come Bob, tutto diventa cibo per cani. Spinsi Bob fuori dalla porta e scendemmo tutti di sotto.
«Devo fare qualche telefonata» dissi al Luna. «Se viene fuori qualcosa ti faccio sapere.»
«Sì, ma io?» chiese il Luna. «Cosa dovrei fare? Dovrei… collaborare.»
«Liberati della roba che sta nella terza camera da letto!»
I fiori erano ancora davanti alla porta di casa quando io e Bob uscimmo dall’ascensore. Bob li annusò e mangiò una rosa. Lo trascinai nell’appartamento e, come prima cosa, controllai se ci fossero messaggi nella segreteria telefonica. Ne aveva lasciati due Ronald. «Spero che i fiori ti piacciano» diceva il primo «mi sono costati un bel paio di verdoni.» Nel secondo messaggio proponeva che ci incontrassimo perché, a suo parere, tra noi c’era qualcosa.
Blah!
Mi preparai un altro panino al burro di arachidi per togliermi Ronald dalla testa. Poi ne preparai uno anche a Bob. Portai il telefono sul tavolo della sala da pranzo e chiamai tutti i Kruper che avevo trovato sul pezzo di carta gialla. Dissi che ero un’amica di Dougie e che lo stavo cercando. Quando qualcuno mi diede l’indirizzo di Dougie nel Burg finsi di essere sorpresa del suo ritorno nel New Jersey. Non c’era bisogno di mettere in allarme i parenti di Dougie.
«Abbiamo totalizzato un bello zero spaccato con le telefonate» dissi a Bob. «E adesso?»
Avrei potuto prendere una fotografia di Dougie e farla vedere in giro, ma le possibilità che qualcuno si ricordasse di lui erano minime, per non dire nulle. Avevo io stessa delle difficoltà a ricordarmelo, persino quando ce l’avevo davanti. Feci una telefonata per controllare la sua situazione bancaria e scoprii che Dougie aveva una MasterCard. Oltre a questo, non c’erano altre informazioni.