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«Quell’Animale aveva qualcosa di strano» disse Valerie. «Quando le hai strappato via le mutande, ho visto che laggiù non aveva peli!»

Valerie mi diede un passaggio fino a casa di Morelli e poi mi salutò.

Joe venne ad aprire e mi accolse con un commento scontato. «Sei ricoperta di fango.»

«Le cose non sono andate esattamente come da programma.»

«Mi piace questo look senza camicia. Mi ci potrei abituare.»

Mi spogliai fuori dalla porta di casa e Morelli portò i vestiti direttamente nella lavatrice. Ero ancora lì quando tornò. Avevo i miei dieci centimetri di tacchi, fango e niente altro.

«Vorrei farmi una doccia» gli dissi «ma se non vuoi che ti sporchi le scale di fango mi puoi buttare una secchiata d’acqua nel cortile sul retro.»

«Penserai che sono malato» disse Morelli «ma mi sta venendo un’erezione.»

Morelli abita in una casetta a schiera sulla Slater, a breve distanza dal Burg. L’ha ereditata da sua zia Rose ed è andato a viverci. Va’ a capire. Il mondo è tutto un mistero. Quella casa mi ricordava molto quella dei miei, piccola e senza tanti lussi, ma piena di buoni profumi e bei ricordi. Nel caso di Morelli i profumi erano quelli di pizza riscaldata, cane, e vernice fresca. Un po’ alla volta Morelli stava risistemando le finestre.

Eravamo al tavolo della cucina… io, Morelli e Bob. Joe stava mangiando una fetta di pane tostato alla cannella e uvetta e beveva caffè.

Io e Bob mangiammo tutto quello che c’era nel frigorifero. Niente di meglio di una ricca colazione dopo una serata di lotta nel fango.

Avevo addosso una delle T-shirt di Morelli, mi aveva prestato un paio di pantaloni felpati ed ero scalza, dato che le scarpe erano tutte bagnate e sarebbero probabilmente finite nella spazzatura.

Joe era vestito per andare al lavoro: anonimo abbigliamento da piedipiatti.

«Non capisco» dissi. «Questo tipo se ne va in giro su una Cadillac bianca e la polizia non riesce a prenderlo. Come è possibile?»

«Probabilmente non va poi così tanto in giro. È stato avvistato un paio di volte, ma non da gente in grado di metterglisi alle calcagna. Una volta da Mickey Greene mentre effettuava servizio di pattuglia in bicicletta. Un’altra volta da una delle nostre auto che però era bloccata nel traffico. E poi non è una priorità. Nessuno è stato espressamente incaricato di trovarlo.»

«È un assassino. Non è forse una priorità?»

«Non è esattamente ricercato per omicidio. Loretta Ricci è morta di infarto. Al momento è ricercato esclusivamente per essere interrogato.»

«Credo che abbia rubato un arrosto dal freezer di Dougie.»

«Questo cambia tutto. Così sì che finirà nella lista delle priorità.»

«Non ti sembra strano che abbia rubato un arrosto?»

«Quando uno è poliziotto da tanto tempo come me, niente sembra più strano.»

Morelli finì di bere il caffè, risciacquò la tazza e la mise nella lavastoviglie. «Devo andare. Tu rimani qui?»

«No. Mi serve un passaggio a casa. Devo fare delle cose e vedere un po’ di gente.» E poi un paio di scarpe non guasterebbe.

Morelli mi accompagnò davanti al portone di casa. Entrai scalza, con addosso i vestiti di Joe e i miei in mano. Il signor Morganstern era nell’ingresso.

«Dev’essere stata una gran notte» disse. «Ti do dieci dollari se mi racconti i particolari.»

«Neanche per sogno. Lei è troppo giovane.»

«E se te ne dessi venti? Però devi aspettare il primo del mese prossimo quando mi arriva l’assegno della pensione.»

Dieci minuti dopo ero già vestita e fuori dalla porta. Volevo arrivare da Melvin Baylor prima che uscisse per andare al lavoro. In onore della Harley mi ero messa stivali, jeans, T-shirt e il giubbotto Schott di pelle. Rombai via dal parcheggio e sorpresi Melvin mentre cercava di aprire la macchina. La serratura si era arrugginita e Melvin non riusciva a far girare la chiave. Perché poi si prendesse la briga di chiuderla a chiave, proprio non lo capivo. Nessuno gliela avrebbe mai rubata. Era in giacca e cravatta e, tranne che per le borse scure sotto gli occhi, sembrava stesse molto meglio.

«Mi spiace scocciarti» dissi «ma devi andare in tribunale a fissare un’altra data per l’udienza.»

«E il lavoro? Devo andare al lavoro.»

Melvin Baylor era solo un povero sempliciotto. Dove avesse preso il coraggio di pisciare sulla torta rimaneva un mistero.

«Dovrai entrare in ritardo. Chiamo Vinnie e gli dico di aspettarci in Comune. Non dovrebbe volerci molto.»

«Non riesco ad aprire la macchina.»

«Allora è la tua giornata fortunata, perché hai vinto un giro sulla mia moto.»

«Odio questa macchina» disse Melvin. Fece un passo indietro e diede un calcio allo sportello facendo cadere un grosso pezzo di metallo arrugginito. Prese lo specchietto laterale e lo strappò via gettandolo poi a terra. «Fottutissima macchina» disse, allontanando con un calcio lo specchietto che finì in mezzo alla strada.

«Ben fatto» dissi. «Ma ora dobbiamo andare.»

«Non ho finito» disse Melvin, provando la chiave nella serratura del portabagagli, ma senza riuscire ad aprirlo. «Cazzo!» urlò. Appoggiandosi sul paraurti salì sul portabagagli e ci saltò sopra più volte. Poi salì sul tettuccio e continuò a saltare.

«Melvin» dissi «stai un tantino esagerando.»

«Odio la mia vita. Odio la mia macchina. Odio questo vestito.» Per poco non cadde, saltò goffamente giù dall’auto e provò di nuovo ad aprire il portabagagli. Questa volta ci riuscì. Frugò dentro e tirò fuori una mazza da baseball. «Ah-ah!» fece.

Oh cavolo.

Melvin brandì la mazza e cominciò a menare colpi sulla macchina. La colpì con forza, fino a sudare. Diede un colpo al finestrino laterale che andò in frantumi, facendo volare i pezzi di vetro. Fece un passo indietro e si guardò la mano. Si era fatto un bel taglio. Sangue dappertutto.

Merda. Smontai dalla moto e feci sedere Melvin sul marciapiede. Tutte le casalinghe dell’isolato erano uscite in strada per assistere allo spettacolo. «Mi serve un asciugamano» dissi. Poi chiamai Valerie e le chiesi di portare la Buick a casa di Melvin.

Valerie arrivò dopo un paio di minuti. Melvin aveva la mano avvolta in un asciugamano, ma sia il vestito sia le scarpe erano macchiati di sangue. Valerie scese dall’auto, diede un’occhiata a Melvin e stramazzò. Bang. Sul prato dei Selig. Lasciai Valerie distesa sul prato e accompagnai Melvin al pronto soccorso. Lo affidai a un’infermiera e tornai a casa di Melvm. Non avevo tempo di aspettare che gli mettessero i punti. A meno che non gli fosse venuto un collasso per emorragia, avrebbe probabilmente dovuto attendere per delle ore prima di vedere un medico.

Valerie era in piedi, sul marciapiede, e aveva un’aria confusa.

«Non sapevo cosa fare» disse. «Non so guidare la motocicletta.»

«Nessun problema. Puoi riprenderti la Buick.»

«Cosa è successo a Melvin?»

«Una crisi di nervi. Si riprenderà.»

La mia tappa successiva fu l’ufficio. Pensavo di essermi vestita in modo impeccabile, ma Lula mi fece sentire una vera dilettante. Portava degli stivali comprati al negozio della Harley, pantaloni in pelle, giubbotto senza maniche in pelle e teneva le chiavi legate a una catena agganciata alla cintura. Sullo schienale della sedia aveva appoggiato una giacca di pelle che aveva una fila di frange lungo tutto il braccio e lo stemma della Harley cucito sulla schiena.

«Nel caso dovessimo uscire in moto» disse.

Terrificante biker donna in completo di pelle nera semina il caos per le strade. Traffico bloccato per chilometri a causa dei curiosi che si fermano a guardare.