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Lula rimise la sicura alla pistola. «Credo di essermela fatta addosso» disse.

Quando tornammo in ufficio, Ranger era lì ad aspettarci.

«Questa sera alle sette» dissi a Ranger. «Al Silver Dollar. Morelli lo sa, ma mi ha promesso di non far intervenire la polizia.»

Ranger mi guardò. «Hai bisogno che ci sia anch’io?»

«Non guasterebbe.»

Si alzò. «Porta con te il microfono e accendilo alle sei e trenta.»

«E io?» chiese Lula. «Sono invitata?»

«Tu mi accompagni» dissi. «Mi serve qualcuno che porti il frigo.»

Il Silver Dollar è un ristorantino a Hamilton Township, a poca distanza dal Burg e vicinissimo a casa mia. È aperto ventiquattr’ore su ventiquattro e ha un menù che per leggerlo servirebbero dodici ore. Si può fare colazione a qualsiasi ora e anche alle due di mattina servono un ottimo formaggio bello grasso alla griglia. È circondato da tutte le cose più brutte che rendono il New Jersey così speciale. Minimarket, filiali di banche, magazzini ortofrutticoli, negozi di videocassette, centri commerciali e lavanderie a secco. E insegne al neon e semafori a perdita d’occhio.

Io e Lula arrivammo alle sei e trenta con il cuore surgelato che sbatteva di qua e di là dentro il frigo e il microfono che mi prudeva fastidiosamente sotto la camicia di flanella a quadri. Ci sedemmo in un angolo e ordinammo cheeseburger e patatine fritte e rimanemmo a guardare fuori dalla finestra lo scorrere del traffico.

Verificai che il microfono funzionasse correttamente e ricevetti la telefonata di conferma di Ranger. C’era anche lui… da qualche parte. Stava tenendo d’occhio il ristorante. Ed era invisibile. C’era anche Joe. Probabilmente si erano messi in comunicazione. Li avevo già visti lavorare insieme in passato. Gli uomini come Joe e Ranger usavano delle regole per imporre i loro ruoli. Regole che non riuscivo a capire. Regole che consentivano, per il bene comune, la contemporanea esistenza di due maschi dominanti.

Nel ristorante c’erano ancora molti clienti del secondo turno. Quelli del primo turno erano gli anziani che approfittavano degli sconti di inizio serata. Per le sette la clientela si sarebbe ridotta. Qui non eravamo a Manhattan, dove andava di moda cenare tardi, alle otto o alle nove. A Trenton si lavorava sodo e per le dieci la gente era perlopiù già a letto.

Alle sette il cellulare squillò e il cuore mi cominciò a battere a ritmo di tip tap quando sentii la voce di DeChooch.

«Hai portato il cuore?» chiese.

«Sì. Ce l’ho qui accanto, nel frigo. Come sta la nonna? Voglio parlarle.»

Sentii dei rumori di sottofondo e dei borbottìi, poi la nonna venne al telefono.

«Salve» salutò.

«Stai bene?»

«Sto benone.»

Aveva un tono troppo allegro. «Hai bevuto?»

«Io ed Eddie ci siamo fatti un paio di aperitivi prima di cena, ma non ti preoccupare… sono lucidissima.»

Lula era seduta di fronte a me e sorrideva scuotendo la testa. Sapevo che Ranger stava facendo lo stesso.

Eddie tornò al telefono. «Sei pronta per le istruzioni?»

«Sì.»

«Sai come arrivare a Nottingham Way?»

«Sì.»

«Okay. Prendi la Nottingham fino a Mulberry Street e gira a destra sulla Cherry.»

«Aspetta un minuto. Ronald, tuo nipote, abita sulla Cherry.»

«Già. Devi portare il cuore a Ronald. Ci penserà lui a farlo arrivare a Richmond.»

Maledizione. Avrei riavuto la nonna, ma non Eddie DeChooch. Speravo che Ranger o Joe potessero prenderlo al momento dello scambio.

«E la nonna?»

«Appena ricevo la telefonata di Ronald lascio libera tua nonna.»

Infilai di nuovo il cellulare nella tasca della giacca e riferii il piano a Lula e a Ranger.

«È piuttosto prudente per essere un vecchio» disse Lula. «Non è un piano malvagio.»

Avevo già pagato il cibo, così lasciai la mancia sul tavolo e me ne andai insieme a Lula. Il nero-verde che avevo intorno agli occhi era diventato giallo, nascosto dietro gli occhiali scuri. Lula non si era messa il completo in pelle. Aveva un paio di stivali, jeans e una T-shirt con su un sacco di mucche che pubblicizzava la marca di gelato Ben Jerry. Eravamo due normalissime donne uscite per mangiare un paio di hamburger al ristorante. Persino il frigo sembrava innocuo. Non c’era motivo di sospettare che contenesse un cuore da usare come riscatto per il rilascio di mia nonna.

E queste altre persone, che si sbafavano patatine fritte e insalata russa e che ordinavano budino di riso per dolce: che segreti avevano? Chi mi garantiva che non fossero spie, criminali o ladri di gioielli? Mi guardai in giro. In quanto a questo, chi mi garantiva che fossero degli esseri umani?

Andai a Cherry Street in tutta calma. Ero preoccupata per la nonna e nervosa per il fatto di dover consegnare il cuore a Ronald. Così guidai con molta attenzione. Andare a sbattere con la moto avrebbe ostacolato seriamente il mio tentativo di salvataggio. A ogni modo, era una serata ideale per un giro su una Harley. Né insetti, né pioggia. Sentivo dietro di me Lula che si teneva stretta al frigo.

Nella veranda a casa di Ronald la luce era accesa. Probabilmente mi stava aspettando. Mi augurai che avesse posto per un organo nel freezer. Lasciai Lula sulla moto con la Glock in mano mentre io portai il frigo davanti alla porta di casa e suonai il campanello.

Ronald venne ad aprire, guardò me e poi Lula. «Andate anche a letto insieme, voi due?»

«No» dissi. «Io vado a letto con Joe Morelli.»

Al che Ronald divenne serio in viso dato che Morelli lotta contro il crimine, mentre Ronald lo produce.

«Prima che te lo consegni, voglio che tu telefoni e faccia liberare mia nonna» dissi.

«Certo. Entra pure.»

«Rimango qui. E voglio sentire mia nonna che mi dice che sta bene.»

Ronald alzò le spalle. «Come vuoi. Fammi vedere il cuore.»

Feci scorrere il coperchio e Ronald guardò dentro.

«Gesù» disse «è congelato.»

Guardai anch’io nel frigo. Quello che vidi fu uno schifoso pezzo di ghiaccio marrone scuro avvolto nella plastica.

«Già» dissi «cominciava ad avere un aspetto un po’ strano. Un cuore non si mantiene tanto, capisci? Così l’ho congelato.»

«Comunque l’hai visto bene prima di congelarlo, giusto? Era a posto, vero?»

«Non sono quel che si dice un’esperta in queste cose.»

Ronald scomparve e tornò con un telefono portatile. «Ecco» disse, porgendomi il telefono. «Ecco tua nonna.»

«Sono al centro commerciale di Quaker Bridge con Eddie» disse la nonna. «Ho visto una giacca che mi piace da Macy’s, ma devo aspettare l’assegno della pensione.»

DeChooch venne al telefono. «La lascio al chiosco della pizza. Puoi venire a prenderla quando vuoi.»

Ripetei l’informazione per Ranger. «Okay, fammi capire. Lascerai la nonna al chiosco della pizza al centro commerciale di Quaker Bridge.»

«Esatto» disse Eddie «per caso hai addosso un microfono?»

«Chi, io?»

Restituii il telefono a Ronald e gli consegnai il frigo. «Se fossi in te metterei il cuore nel freezer per il momento e poi magari potresti metterlo nel ghiaccio secco per il viaggio a Richmond.»

Annuì. «Lo farò. Non è il caso di dare a Louie D un cuore pieno di vermi.»

«Toglimi una curiosità.» dissi. «È stata tua l’idea di portare il cuore qui?»

«Avevi detto che non volevi che qualcosa andasse storto.»

Quando tornai alla moto, tirai fuori il cellulare e chiamai Ranger.

«Sto arrivando» disse Ranger. «Sono a dieci minuti da Quaker Bridge. Ti chiamo quando l’ho prelevata.»

Feci sì con la testa e chiusi la comunicazione, incapace di parlare. Ci sono volte in cui la vita ti travolge.

Lula abita in un piccolo appartamento in una zona del quartiere nero che, per essere un ghetto, non è affatto male. Presi la Brunswick Avenue e la percorsi per un po’, poi attraversai i binari ferroviari e trovai il quartiere di Lula. Strade strette e case piccole. Probabilmente costruite anni addietro per gli immigrati importati a lavorare nelle fabbriche di porcellana e nelle acciaierie. Lula abitava al centro del quartiere, al secondo piano di una di queste case.