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«Devo sistemare la moto» dissi a Ranger. «Non voglio lasciarla qui.»

«Non ti preoccupare. Dirò a Tank di prendersene cura finché non torniamo.»

«Gli serve la chiave.»

Ranger mi guardò come se fossi tonta.

«Ma certo» dissi. «Dove avevo la testa?» Tank non aveva bisogno della chiave. Tank era membro dell’Allegra Brigata di Ranger, gente che aveva dita migliori di quelle di Ziggy.

Lasciammo il Burg e ci dirigemmo verso sud, prendendo l’autostrada a Bordentown. Dopo pochi minuti cominciò a piovere, una nebbiolina fitta che si fece sempre più insistente con lo scorrere dei chilometri.

La Mercedes ronzava lungo il nastro di strada. Eravamo avvolti dalla notte, il buio che ci circondava era interrotto solo dalle luci sul cruscotto.

C’erano tutti i comfort di un luogo chiuso, più la tecnologia della cabina di comando di un jet. Ranger schiacciò il pulsante del lettore CD e della musica classica si diffuse nell’auto. Una sinfonia. Non il massimo, ma comunque piacevole.

Secondo i miei calcoli il viaggio sarebbe durato circa cinque ore. Ranger non era il tipo che parlava del più e del meno. Non parlava con nessuno della sua vita o di ciò che pensava. Così reclinai il sedile e chiusi gli occhi. «Se ti stanchi e vuoi che guidi io, basta che tu me lo dica» dissi.

Mi misi comoda e cominciai a pensare a Ranger. Quando ci eravamo incontrati la prima volta, lui era una specie di bullo di strada tutto muscoli. Era uno che sapeva il fatto suo, una specie di boss della zona ispanoamericana del ghetto, sempre vestito in tuta mimetica e divisa nera da squadra speciale. Ora improvvisamente indossava giacche di cachemire, ascoltava musica classica e parlava più come un laureato di Harvard che come un rapper di colore.

«Non è che per caso hai un fratello gemello?» gli chiesi.

«No» disse con voce morbida. «Sono un esemplare unico.»

Capitolo 13

Mi svegliai quando la macchina smise di muoversi. Non pioveva più, ma era molto buio. Guardai l’orologio digitale sul cruscotto. Erano quasi le tre. Ranger stava studiando il massiccio edificio coloniale sul lato opposto della strada.

«La casa di Louie D?» chiesi.

Ranger annuì.

Era una grande casa costruita su un fazzoletto di terra. Le case vicine erano simili. Si trattava di costruzioni tutte relativamente nuove. Non c’erano alberi o cespugli ben cresciuti. Di lì a vent’anni sarebbe diventato un grazioso quartiere. Al momento sembrava un po’ troppo nuovo, troppo spoglio. Non c’erano luci accese in casa di Louie. Non c’erano auto parcheggiate lungo la strada. In quel quartiere le auto venivano tenute nei garage o nei vialetti di casa.

«Rimani qui» disse Ranger. «Devo dare un’occhiata in giro.»

Lo guardai mentre attraversava la strada per poi sparire nelle ombre proiettate dalla casa. Socchiusi il finestrino e mi concentrai per ascoltare i suoni, ma non sentii nulla. In un’altra vita Ranger ha fatto parte delle Forze Speciali e non ha perso nessuna delle sue abilità. Si muove come un felino che abbia puntato la sua preda. Io, invece, mi muovo come un bisonte acquatico. Il che presumibilmente spiega perché lo stessi aspettando in macchina.

Sbucò dal lato più lontano dell’edificio e tornò lentamente in macchina. Si mise al volante e girò la chiave dell’accensione.

«È tutto chiuso» disse. «L’allarme è inserito e la maggior parte delle finestre ha le tende tirate. Non c’è molto da vedere. Se avessi più informazioni sulla casa e sulle sue abitudini entrerei a dare un’occhiata. Ma non mi va di farlo senza sapere quante persone ci vivono.» Si allontanò dal marciapiede e percorse lentamente la strada. «Siamo a quindici minuti da un quartiere di uffici. Il computer mi dice che ci sono un centro commerciale, alcuni fast food e un motel. Ho fatto prenotare le stanze da Tank. Puoi prenderti qualche ora per dormire e darti una rinfrescata. La mia idea è di bussare alla porta della signora D alle nove e intrufolarci in casa con qualche stratagemma.»

«Mi sembra che possa funzionare.»

Tank aveva prenotato due camere in una classica costruzione a due piani che faceva parte di una catena di motel. Non era un ambiente di lusso, ma neanche troppo brutto. Entrambe le stanze erano al secondo piano. Ranger aprì la porta della mia e accese la luce, passando rapidamente in rassegna il locale con lo sguardo. Sembrava tutto in ordine. Non c’erano pazzi in agguato nell’ombra.

«Vengo da te alle otto e trenta» disse. «Possiamo fare colazione e poi andare a salutare le signore.»

«Sarò pronta.»

Mi tirò a sé, abbassò la bocca sulla mia e mi baciò. Fu un bacio lento e profondo. Le sue mani erano ben ferme sulla mia schiena. Gli presi la T-shirt e mi strinsi a lui. Sentii il suo corpo rispondere a quel gesto.

L’immagine di me stessa in abito da sposa mi balenò in mente. «Merda!» esclamai.

«Non è la reazione che ottengo di solito quando bacio una donna» disse Ranger.

«Okay, ecco la verità. Mi piacerebbe molto venire a letto con te, ma c’è questo stupido abito da sposa…»

Ranger seguì la mia mascella con le labbra, fino all’orecchio. «Potrei farti dimenticare l’abito da sposa.»

«Certo. Ma questo creerebbe un sacco di brutti problemi.»

«Hai un dilemma morale.»

«Sì.»

Mi baciò nuovamente. Questa volta con leggerezza. Fece un passo indietro e gli angoli della bocca gli si incresparono in un mezzo sorriso. «Non voglio fare pressione su di te e sul tuo dilemma morale, ma prega di riuscire a catturare Eddie DeChooch da sola perché se ti aiuto dovrò riscuotere il mio onorario.»

E se ne andò. Si chiuse la porta alle spalle e rimasi ad ascoltarlo mentre percorreva il corridoio per poi entrare nella sua camera.

Diamine.

Mi distesi sul letto tutta vestita, con le luci accese e gli occhi spalancati. Quando il cuore smise di martellarmi e i capezzoli cominciarono a rilassarsi mi alzai e mi passai dell’acqua sul viso. Programmai la sveglia per le otto. Evviva, quattro ore di sonno. Spensi la luce e mi infilai a letto. Non riuscivo a dormire. Troppi vestiti addosso. Mi alzai, mi tolsi tutto tranne le mutandine e ritornai a letto. Niente da fare, non riuscivo a dormire neanche così. Troppo pochi vestiti addosso. Indossai di nuovo la camicia, mi infilai ancora una volta sotto le coperte e sprofondai istantaneamente nel mondo dei sogni.

Quando alle otto e trenta Ranger bussò alla porta della mia stanza ero pronta più che mai. Mi ero fatta la doccia e sistemata i capelli come meglio potevo pur non avendo il gel. Ho sempre un sacco di roba nella borsa. Chi poteva prevedere che mi sarebbe servito il gel?

Per colazione Ranger prese caffè, frutta e una ciambella integrale. Io presi un uovo McMuffin, un frappè al cioccolato e patatine fritte. E visto che pagava Ranger, presi anche un pupazzetto dei personaggi Disney.

A Richmond faceva più caldo che in New Jersey. Alcuni alberi e le azalee precoci erano già in fiore. Il cielo era sereno e stava diventando azzurro. Una giornata ideale per fare i cattivi con due vecchie signore.

Sulle strade principali c’era molto traffico, ma scomparve non appena entrammo nel quartiere di Louie D. I pulmini della scuola erano già arrivati e ripartiti e gli abitanti adulti del quartiere stavano già facendo la loro lezione di yoga, oppure erano nei negozi di raffinata gastronomia, al circolo del tennis, alla boutique per bambini o al lavoro. Quella mattina nel quartiere c’era un’atmosfera vitale e piena d’energia. A eccezione della casa di Louie D. Sembrava esattamente come l’avevamo vista alle tre di mattina. Buia e silenziosa.

Ranger chiamò Tank, il quale gli disse che Ronald era uscito di casa alle otto con il frigo. Tank lo aveva seguito verso sud fino a Whitehorse e poi era tornato indietro una volta appurato che Ronald si stava dirigendo verso Richmond.