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«Che ne pensi della casa?» chiesi a Ranger.

«Che è come se nascondesse un segreto.»

Scendemmo entrambi dall’auto e ci incamminammo verso la porta principale. Ranger suonò il campanello. Dopo un po’ venne ad aprire una donna sui sessant’anni. Aveva capelli castani corti che incorniciavano un viso lungo e stretto su cui spiccavano un paio di folte sopracciglia nere. Era vestita di nero. Un abito nero abbottonato sul davanti che rivelava una corporatura minuta e asciutta, un cardigan nero, mocassini neri e calze scure. Non portava trucco né gioielli, a eccezione di una collanina con un semplice crocifisso d’argento. Aveva gli occhi spenti e cerchiati di scuro, come chi non dorme da molto tempo.

«Sì?» disse quasi senza forze. Sulle sue labbra sottili ed esangui non passò nemmeno l’ombra di un sorriso.

«Sto cercando Estelle Colucci» dissi.

«Estelle non c’è.»

«Suo marito ha detto che sarebbe venuta qui.»

«Suo marito si è sbagliato.»

Ranger si mosse in avanti ma la donna lo trattenne subito.

«Lei è la signora DeStefano?» chiese Ranger.

«Sono Christina Gallone. Sophia DeStefano è mia sorella.»

«Abbiamo bisogno di parlare con la signora DeStefano» disse Ranger.

«Non riceve visite.»

Ranger la spinse indietro nell’ingresso. «Io penso di sì.»

«No!» disse Christina, tirando Ranger da una parte. «Non sta bene. Dovete andarvene!»

Dalla cucina sbucò un’altra donna. Era più vecchia di Christina ma si assomigliavano. Indossava lo stesso vestito nero, scarpe nere e lo stesso crocifisso d’argento. Era più alta della sorella e i capelli corti e castani erano spruzzati qua e là di grigio. Il viso aveva un’espressione più viva di quello della sorella, ma i suoi occhi erano vuoti, assorbivano la luce senza riflettere nulla. Il mio primo pensiero fu che fosse sotto l’effetto di qualche medicinale. Il secondo pensiero fu che fosse pazza. Ed ero quasi certa che la donna che avevo davanti era quella con gli occhi spaventosi che aveva sparato al Luna.

«Che succede?» chiese.

«La signora DeStefano?» domandò Ranger.

«Sì.»

«Vorremmo parlarle riguardo alla scomparsa di due persone.»

Le sorelle si guardarono e io avvertii un formicolio alla nuca. Alla mia sinistra c’era il soggiorno. Era buio e minaccioso, ammobiliato in maniera formale con tavoli di mogano lucido e tappezzeria in broccato pesante. Le tende erano ben chiuse e non lasciavano filtrare la minima luce all’interno. Sulla destra si apriva un piccolo studio. La porta era socchiusa e lasciava intravedere una scrivania piena zeppa di carte e oggetti. Anche nello studio le tende erano chiuse.

«Che cosa vorreste sapere?» disse Sophia.

«Si chiamano Walter Dunphy e Douglas Kruper e vorremmo sapere se li avete visti.»

«Non conosco nessuno dei due.»

«Douglas Kruper è latitante e sta venendo meno alla garanzia che è stata pagata per lui» disse Ranger. «Abbiamo motivo di credere che si trovi in questa casa e in qualità di agenti alle dipendenze di Vincent Plum siamo autorizzati a effettuare una perquisizione.»

«Non farete niente di tutto ciò. O ve ne andate immediatamente oppure chiamo la polizia.»

«Se preferisce che la polizia sia presente mentre effettuiamo la perquisizione, la chiami pure.»

Di nuovo un silenzioso scambio di occhiate tra le sorelle, ma ora Christina stringeva nervosamente tra le dita un lembo della gonna.

«Non mi piace questa intrusione» disse Sophia. «È una mancanza di rispetto.»

Oh-oh, pensai. Tutta colpa della mia linguaccia… avevo fatto proprio come la povera vicina defunta di Sophia.

Ranger si spostò di lato e aprì la porta del guardaroba. Teneva la pistola in mano, lungo il fianco.

«Basta» disse Sophia. «Non avete alcun diritto di perquisire la casa. Sapete chi sono? Vi rendete conto che sono la vedova di Louis DeStefano?»

Ranger aprì un’altra porta. La toilette.

«Vi ordino di fermarvi o ne pagherete le conseguenze» minacciò Sophia.

Ranger aprì la porta dello studio e accese la luce, tenendo d’occhio le due donne mentre perlustrava la casa.

Seguii il suo esempio e dopo aver acceso le luci feci un giro nel soggiorno e nella sala da pranzo. Poi passai in cucina. In un corridoio attiguo c’era una porta chiusa a chiave. Probabilmente la dispensa o la cantina. Non mi andava di entrare. Non avevo la pistola. E anche se l’avessi avuta, non sarei stata granché capace di usarla.

Improvvisamente Sophia mi seguì in cucina. «Fuori di qui!» gridò prendendomi per il polso e tirandomi con forza in avanti. «Esci immediatamente dalla mia cucina.»

Mi allontanai da lei con uno strattone. E con lo scatto di un rettile, Sophia aprì un cassetto della cucina e tirò fuori una pistola. Si girò, puntò l’arma e sparò a Ranger. Poi si girò verso di me.

Senza pensare, mossa unicamente dalla paura cieca, mi scagliai contro di lei e la buttai a terra. La pistola scivolò via sul pavimento e io cercai in fretta di recuperarla. Ranger arrivò prima di me. La raccolse lentamente e se la infilò in tasca.

Ero in piedi, incerta sul da farsi. La manica della giacca di cachemire di Ranger era intrisa di sangue. «Vuoi che chiami aiuto?» gli chiesi.

Si scrollò di dosso la giacca e si guardò il braccio. «Non è grave» disse. «Per ora prendimi un asciugamano.» Allungò indietro il braccio per prendere le manette. «Ammanettale insieme.»

«Non mi toccare» disse Sophia. «Se mi tocchi ti ammazzo. Ti cavo gli occhi con le unghie.»

Feci scattare la manetta attorno al polso di Christina e la tirai verso Sophia. «Mi dia la mano» dissi a Sophia.

«Mai» rispose. E mi sputò addosso.

Ranger si avvicinò. «Tiri fuori immediatamente la mano o sparo a sua sorella.»

«Louie, mi senti Louie?» gridò Sophia guardando in alto, presumibilmente oltre il soffitto. «Vedi cosa sta succedendo? Vedi che disgrazia? Gesù santo» gemeva. «Gesù santo.»

«Dove sono?» chiese Ranger. «Dove sono i due uomini?»

«Sono miei» disse Sophia. «Non li cedo. Non finché non ho ottenuto quello che voglio. Quell’idiota di DeChooch ha assoldato il suo ricettatore per riportare il cuore a Richmond. Troppo pigro per riportarlo lui stesso. Si vergognava troppo. E sapete che cosa mi ha riportato quel rompiscatole? Un frigo vuoto. Credevano di cavarsela, lui e il suo amico.»

«Dove sono?» le chiese di nuovo Ranger.

«Sono dove dovrebbero essere. All’inferno. E ci rimarranno finché non mi dicono che ne è stato del cuore. Voglio sapere chi ce l’ha.»

«Ronald DeChooch ha il cuore» la informai. «Sta venendo qui.»

Sophia strizzò gli occhi. «Ronald DeChooch.» Sputò per terra. «Ecco cosa penso di Ronald DeChooch. Voglio vederlo con i miei occhi, altrimenti non ci credo.»

Ovviamente non era stata messa al corrente di tutta la storia, e quindi del mio coinvolgimento.

«Dovete lasciar andare mia sorella» supplicò Christina. «Vedete che non sta bene.»

«Hai le manette?» mi chiese Ranger.

Frugai nella borsa e tirai fuori un paio di manette.

«Bloccale al frigorifero» disse Ranger «e poi vedi se riesci a trovare un kit di pronto soccorso.»

Avevamo avuto tutti e due esperienza diretta con ferite d’arma da fuoco, quindi sapevamo bene come bisognava procedere. Trovai del materiale di pronto soccorso nel bagno al piano di sopra, applicai una compressa sterile sul braccio di Ranger e la fissai con della garza e del nastro.

Ranger provò ad aprire la porta sul corridoio vicino alla cucina.

«Dov’è la chiave?» chiese.

«Vai all’inferno» disse Sophia, socchiudendo quei suoi occhi da serpente.

Colpendola con un piede, Ranger spaccò la porta e riuscì ad aprirla. C’erano un piccolo pianerottolo e dei gradini che scendevano nella cantina. Era buio come la pece. Ranger accese l’interruttore della luce e scese con la pistola pronta a sparare.