Spider Robinson
Con qualunque altro nome
I
Dal Diario di Isham Stone
Non avevo avuto intenzione di sparare al gatto.
Non avevo avuto intenzione di sparare a niente, per la precisione… la pistola al mio fianco era, al momento, un’arma strettamente difensiva. Ma le mie ghiandole adrenali stavano facendo lo straordinario e la mia vista periferica si sforzava di vedere dietro la mia testa; quando all’improvviso apparve qualcosa davanti a me, tutte le mie sentinelle inconsce optarono per la Miglior Difesa. Mi buttai a terra rotolando su me stesso prima ancora di rendermi conto che avevo sparato, attraverso una porta che non sapevo neppure fosse lì.
Mi fermai con un tonfo da spaccare il cuore ai piedi della scala, appena oltre la porta. L’urto smosse qualcosa sul pianerottolo del primo piano: ruzzolò pesantemente giù per i primi gradini e mi piombò addosso: la parte superiore di uno scheletro quasi tutta intatta dalla sesta vertebra in su. Quando balzai inorridito in piedi, i muscoli e le cartilagini morti da tanto tempo si sgretolarono e le ossa si sparpagliarono sul pavimento polveroso. Sette centimetri sopra il mio gomito sinistro, qualcuno stava tamburellando con i coltelli.
Sbirciai cautamente con un occhio solo intorno all’intelaiatura della porta, all’altezza del ginocchio. I resti straziati di quello che era stato un gatto persiano bianco e grigio giacevano contro un idrante sfasciato la cui superficie d’un rosso sbiadito era chiazzata di un rosso più brillante e di colori meno gradevoli. L’immaginazione sovraffaticata mi fece sentire l’odore della carne bruciata.
Io amo i gatti; e tre shock in rapida successione, nella condizione in cui mi trovavo, bastavano a vincere la ferrea disciplina dell’addestramento di Collaci. Con gli occhi che bruciavano, uscii barcollando sul marciapiedi, proruppi in un suono intraducibile e sparai tre colpi contro una Buick dell’82 molto malridotta che stava, rovesciata sul fianco, dall’altra parte della strada.
Ero molto scosso… solo il terzo proiettile colpì il serbatoio scoperto. Ma era di magnesio, non di piombo: la macchina esplose con un piacevole rombo e con il più bel globo di fiamme che si potesse desiderare. La ruota posteriore sinistra venne scagliata in alto: mi passò elegantemente sopra la testa, rimbalzò contro un’uscita antincendio al quarto piano e ripiombò giù, di piatto, una spanna dietro di me. Il cemento si piegò.
Quando i miei orecchi smisero di rintronare e i miei occhi persero lo strabismo, mi accorsi che ero irrigidito come una statua. Con tanti saluti alla catarsi, pensai vagamente, e mi rilassai con uno sforzo che m’indolenzì tutto.
Il gatto era sempre morto.
Capii subito perché mi aveva colto così di sorpresa. La vetrina della tabaccheria dalla quale era balzato fuori era infranta completamente, e quindi le mie sentinelle subconsce l’avevano erroneamente identificata come una delle pochissime ancora intere. Perciò, avevano ragionato, l’oggetto doveva essere uscito dalla porta aperta appena oltre la vetrina. E qualcosa che usciva da una porta a quell’altezza dal suolo doveva essere un Musky, e la mia mano è molto più svelta del mio occhio.
Adesso, naturalmente, mi rendevo conto che non avrei potuto seguire un Musky con gli occhi. Ed era esattamente per questo che ero teso quanto bastava per sprecare munizioni insostituibili e rivelare la mia posizione. Carlson mi aveva reso complicata la vita. Speravo che sarei riuscito a ucciderlo lentamente.
Quella però non era una consolazione sufficiente per il gatto. Abbassai gli occhi sulla pistola anti-Musky e mi sorpresi a ripensare al giorno che l’avevo avuta, appena tre mesi prima. Era la prima pistola che avessi mai posseduta: il simbolo della condizione di uomo, mia per tutto il tempo che avrei impiegato per uccidere Carlson e poi per tutto il resto della mia vita. Dopo che mio padre me l’aveva consegnata pubblicamente e mi aveva ufficialmente assegnato la missione di vendicare la razza umana, gli amici e i vicini, e Alia dagli occhi scuri, erano entrati in fretta, al sicuro, per il banchetto cerimoniale. Ma mio padre mi aveva preso in disparte. C’eravamo avviati in silenzio attraverso la West Forest fino alla tomba di mia madre, e attraverso gli alberi il sole che tramontava sulla West Mountain sembrava uno squarcio nella parete dell’Inferno. Finalmente papà s’era girato verso di me mentre l’orgoglio e la preoccupazione paterna lottavano per assumere il predominio sulla faccia d’ebano, e mi aveva detto: — Isham… Isham, non ero molto più vecchio di te quando ebbi la mia prima pistola. Fu molto tempo fa, e lontano da qui, in un posto chiamato Montgomery… allora le cose erano diverse. Ma certe cose non cambiano mai. — Si era tirato pensosamente il lobo di un orecchio e aveva continuato: — Phil Collaci ti ha insegnato bene, ma qualche volta preferisce prima sparare e poi chiedere indicazioni. Isham, non puoi andartene in giro a sparare indiscriminatamente. Mai. Mi capisci?
Il crepitio delle fiamme che avvolgevano la Buick distrutta mi riportò al presente. Accidenti, avevi ragione tu, papà, pensai mentre stavo lì, tremando, sul marciapiedi. Non puoi continuare a sparare indiscriminatamente.
Neppure qui, a New York.
Si stava facendo tardi, e il braccio sinistro mi doleva in modo abominevole dove mi avevano marchiato i Fratelli Grigi… Mi rammentai, bruscamente, che ero lì per lavoro. Non avevo nessuna voglia di passare una notte in una città, soprattutto quella, perciò proseguii per la strada, esaminando con estrema attenzione tutti gli edifici che incontravo. Se Carlson aveva gli orecchi, adesso sapeva che c’era qualcuno a New York e poteva immaginare il perché. Io ero nel suo territorio… ogni vicolo e ogni botola potevano nascondere un’imboscata.
C’erano grandi magazzini e negozi di tutti i generi, un commercio più frammentato e specializzato di quanto avessi mai visto. Certi negozi vendevano una sola merce. Certi altri non riuscivo affatto a capirli. Cosa diavolo è un «rko»?
Dove potevo, stavo sul marciapiedi. Mi dissi che ero stupido, che per Carlson o un Musky ero visibile come se fossi sulla seconda base nel leggendario Shea Stadium, e che sulla strada non c’erano gatti a sorpresa. Ma dov’era possibile, stavo sul marciapiedi. Ricordavo che mia madre, tanto tempo fa, mi aveva detto di non andare in mezzo alla strada, altrimenti i mostri mi avrebbero preso.
Avevano preso lei.
Per due volte fui costretto a scendere dal marciapiedi: una volta da un’entrata della sotterranea e una volta da un supermercato. Mio padre mi aveva procurato i tamponi migliori che potesse offrire Fresh Start, ma non erano tanto buoni. Tutte e due le volte tornai sul marciapiedi completamente disgustato del battito del mio cuore. Ma non mi guardai mai indietro. Collaci dice che è inutile aver paura, quando questo non può aiutarti… e il fiasco con il gatto dimostrava che aveva ragione lui.
Era primo pomeriggio e lo stesso sole che riscaldava le foreste e i campi e le zone di lavoro di Fresh Start, a casa mia, qui sembrava agghiacciare l’aria, accentuando il vuoto della città in rovina. Il silenzio e la desolazione erano tutto intorno a me mentre camminavo: ossa sbiancate e muri sgretolati. Carlson era stato efficiente, davvero, efficiente quasi quanto la bomba atomica di cui una volta la gente aveva tanta paura. Mi sembrava d’essere in un’immensa autoclave del diavolo che ignorava la sporcizia ma eliminava rabbiosamente ogni parvenza di vita.
Un pio desiderio, pensai, e scrollai la testa per scacciare quella fantasia. Se la città fosse stata davvero priva di vita, mi sarei avvicinato a Carlson dalla parte alta… non sarei stato costretto a fare una deviazione a sud fino al Lincoln Tunnel, e il mio braccio sinistro non mi avrebbe fatto tanto male. I Fratelli Grigi sono molto suscettibili per quanto riguarda i loro diritti territoriali.