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E allora, all’età di trentacinque anni, per la prima volta le sue emozioni si accorsero della sua intelligenza.

Quando le due parti della sua personalità si unirono, raggiunsero la massa critica… e per il mondo fu un gran brutto giorno. Io sono in parte responsabile di questa saldatura… involontariamente fornii una delle scintille decisive, esposi un’idea che lanciò Carlson nel balzo intuitivo più pericoloso della sua vita. Il rimorso mi perseguiterà fino alla morte… e tuttavia avrebbe potuto essere chiunque altro. O forse non c’era bisogno di nessuno.

Arrivato fresco fresco dopo tre anni passati a occuparmi di ricerche sulla guerra biologica per il Dipartimento della Difesa, ero un collega poco importante di Carlson; ma ben presto diventai suo amico intimo. Francamente, ero lusingato che un uomo della sua statura si degnasse di parlare con me, e sospetto che Carlson fosse felicissimo di trovare un negro che lo trattasse da eguale.

Ma per ragioni che è difficile spiegare a chiunque non abbia vissuto in quel periodo (e che non richiedono spiegazioni per coloro che lo vissero) ero riluttante a parlare del FLA con un bianco, per quanto «illuminato». E perciò quando andai a trovare Carlson al Jacobi Hospital e la conversazione s’imperniò sulla natura auto-deleteria della rabbia incontrollabile, tentai di distrarre il paziente affrettandomi a cambiare argomento.

— Il Movimento sta diventando rancido, Jake — aveva appena borbottato Carlson; e mi venne in mente un’ottima digressione.

— Wendell — dissi senza riflettere, — ti rendi conto che tu personalmente sei in grado di rendere migliore il mondo?

Gli brillarono gli occhi. — E come?

— Probabilmente sei la massima autorità mondiale per quanto riguarda l’olfattometria e l’apparato olfattivo umano, fra le altre cose… giusto?

— Sì, credo di sì. E con questo? — Carlson si spostò, a disagio, nell’apparecchio a trazione. Siccome in quel momento era il radicale, si sentiva fuori posto di fronte all’allusione alla sua personalità di scienziato. Pensava che avesse ben poco a che fare con le Realtà della Vita.

— Hai mei pensato — insistetti, e non me lo perdonerò mai, — che quasi tutti i sottoprodotti indesiderabili della vita del ventesimo secolo, gli aspetti più odiosi dell’Uomo Tecnologico puzzano letteralmente? Il mondo intero sta diventando rancido, Wendell, non soltanto il Movimento. Le fabbriche di automobili che inquinano, le città sovraffollate… Wendell, perché non potresti realizzare un soppressore selettivo per l’olfatto… e produrre l’anosmia controllata? Oh, lo so che basta un po’ di formaldeide, e che qualche volta basta farsi togliere le adenoidi. Ma un uomo non dovrebbe essere costretto a rinunciare all’odore della pancetta fritta per sopravvivere a New York. E tu sai che ci stiamo avvicinando a quel punto… negli ultimi anni non è stato necessario lasciare la città e ritornarvi per accorgersi di quanto puzza. Il naturale meccanismo soppressore del cervello, quale che sia, è attivato più o meno al suo limite massimo. Perché non puoi inventare un filtro a spettro circoscritto per aiutarlo? Sarebbe gradito ai lavoratori della nettezza urbana, ai tecnici… sarebbe un dono di Dio persino per l’uomo della strada.

Carlson mostrò un blando interesse. Il filtro anosmico sarebbe stato una mordente affermazione politica e una vera benedizione per l’Umanità. Era stato vagamente soddisfatto del successo del suo rimedio per il raffreddore, e credo che desiderasse sinceramente migliorare il mondo… per quanto i suoi metodi tendessero alla perversione. Discutemmo per un po’ l’idea, e poi me ne andai.

Se Carlson non si fosse annoiato a morte all’ospedale, non avrebbe mai preso a nolo il televisore. Purtroppo, quel giorno lo spettacolo di seconda serata era il film tratto da Il morbo di Satana di Alistair MacLean. Mentre guardava quel film assurdo, Carlson si sentì intellettualmente disgustato dalla nozione che fosse possibile isolare un virus così diabolicamente virulento che «ne basterebbe un cucchiaino per cancellare la vita sulla Terra in pochi giorni».

Tuttavia gli diede l’idea… un capriccio, una fantasia… una fantasia seducente.

Il giorno dopo, per telefono, mi chiese precisazioni molto casualmente; e io gli assicurai, in base alle mie esperienze in fatto di vettorizzazione dei virus, che MacLean non aveva dato i numeri. Anzi, dissi, la moderna guerra batteriologica avrebbe fatto apparire il Morbo di Satana, al confronto, uno scherzetto da bambini. Carlson mi ringraziò e cambiò argomento.

Quando fu dimesso dall’ospedale venne nel mio ufficio e mi chiese di lavorare con lui per un anno intero, escludendo ogni altra cosa, ad un progetto la cui natura preferiva non discutere. — Perché hai bisogno di me? — gli chiesi, meravigliato.

— Perché — mi disse lui, finalmente, — tu sai come creare un Morbo di Satana. Ma io intendo creare un Germe di Dio. E tu potresti aiutarmi.

— Eh?

— Ascoltami, Jake — disse con quella sua deliziosa informalità, — ho sconfitto il comune raffreddore… e ci sono ancora orde di persone che starnutiscono. L’unica cosa che ho pensato di fare, con il rimedio, è stato metterlo nelle mani delle industrie farmaceutiche, e ho fatto tutto il possibile perché non lo sfruttassero indegnamente; ma ci sono ancora individui sofferenti che non possono permettersi di comprare quella roba. Bene, non è necessario. Jake, un raffreddore può uccidere qualcuno che sia abbastanza indebolito dalla fame… io non posso sconfiggere la fame, ma potrei eliminare i raffreddori dal pianeta in quarantotto ore… con il tuo aiuto…

— Un vettore per un virus benigno… — Ero sbalordito, tanto dall’idea di decommercializzare la medicina quanto dal rimedio specifico in questione.

— Ci sarebbe da lavorare parecchio — continuò Carlson. — Nella forma attuale il mio rimedio non è compatibile con quel sistema di diffusione… non pensavo secondo queste linee. Ma scommetto che sarebbe possibile, se mi aiutassi. Jake, non ho tempo per imparare la tua specializzazione… alleati a me. Quegli sfruttatori dell’industria farmaceutica mi hanno arricchito quanto basta perché possa pagarti il doppio della Columbia, e del resto tutti e due abbiamo diritto a un anno sabbatico. Cosa ne dici?

Ci pensai sopra, ma non abbastanza. La prospettiva di collaborare con un Premio Nobel era una tentazione troppo forte. — D’accordo, Wendell.

Ci mettemmo all’opera nella casa-laboratorio di Carlson a Long Island, lui in cantina e io al pianterreno. Lavorammo come ossessi per quasi un anno, accarezzando sogni personali e massacrando decine di migliaia di cavie. Carlson era severo ed esigente e via via che il nostro lavoro procedeva incominciò a «guardare sopra la mia spalla» per imparare la mia specializzazione mentre scoraggiava le domande sui suoi progressi. Pensavo che conoscesse troppo bene il suo campo per parlarne in modo intelligente con chiunque, eccettuato se stesso. Eppure assorbiva tutta la mia conoscenza con grande rapidità; e alla fine sembrava che ne sapesse quanto me in fatto di virologia. Un giorno sparì senza dare spiegazioni, e ritornò dopo un paio di settimane con una voce che mi sembrava più sottile e nasale.

E verso la fine dell’anno, un giorno mi chiamò al telefono. Come sempre, passavo il weekend con mia moglie e i miei due figli ad Harlem. Si avvicinava il Natale e io e Barbara stavamo discutendo di alberi naturali e di alberi di plastica quando squillò il telefono. Non mi sorpresi nel sentire la voce acuta di Carlson, che in quegli ultimi tempi aveva preso a rassomigliare al suono dell’oboe… l’unica cosa strana era che avesse telefonato durante le normali ore di veglia.