Jim s’incamminò verso quest’ultimo edificio mentre, dalla sconquassata veranda dell’emporio, alcuni sfaccendati seguivano incuriositi il suo avanzare strascicato nella polvere.
La direttrice dell’ufficio postale alzò gli occhi dalla bracciata di corrispondenza che stava suddividendo fra le varie cassette quando Jim entrò. Lo salutò con un allegro «allò!» che parve cadere tintinnando dalla sua formosa figura.
«Sto cercando un uomo chiamato Quilcon. Ho pensato che lei potesse darmi qualche informazione su di lui».
«Kweelcon?» Corrugò le sopracciglia. «Non c’è nessuno, qui, con quel nome. Com’è scritto?»
Prima che lui potesse rispondere la donna lasciò cadere una manciata di lettere sul pavimento. Jim fu certo di aver visto quella che lui aveva spedito alla scuola prima di partire.
Mentre la donna si chinava per raccogliere le lettere, un’ombra bruna parve sfrecciare attraverso il pavimento. Jim ebbe la fugace impressione di un’enorme lumaca marrone che si muoveva con la velocità del fulmine.
La direttrice cacciò un grido di rabbia e batté i piedi sul pavimento. Un attimo dopo si era già ripresa.
«Un armadillo», spiegò. «Quella dannata bestia gira qui intorno da mesi e pare che nessuno riesca ad ammazzarlo». Ricominciò a classificare la corrispondenza.
«Credo che gliene manchi una», disse Jim. La donna non stringeva più tra le mani la busta che lui aveva riconosciuta per propria.
La donna scrutò il pavimento tutt’intorno. «Le ho raccolte tutte, grazie. Adesso… come ha detto che era il nome?»
Jim si sporse oltre il bancone e scrutò il pavimento. Ne era certo… Ma era ovvio che non c’erano più lettere in vista, là sotto, e non c’era nessun altro posto dove poteva essersi ficcata.
«Quilcon», sillabò Jim. «Io stesso non sono sicuro della pronuncia, ma è scritto proprio così».
«Non c’è nessuno a Henderson con quel nome. Ma… si, aspetti un momento. È strano, sa?, ma un mese fa ho visto una busta partire da qui con quel nome scritto sull’angolo in alto a sinistra. Quel giorno pensai che era un nome strano, e mi chiesi chi poteva avercelo messo, ma non l’ho mai scoperto, e ho pensato di essermelo immaginato. Come fa a sapere che doveva venir qui a cercarlo?»
«Potrei aver ricevuto io quella lettera che lei ha visto in partenza quel giorno, no?»
«Be’, perché non lo chiede al signor Herald? È al giornale, qui alla porta accanto. Ma sono certa che non c’è nessuno, qui a Henderson, con quel nome».
«Pubblicate un giornale, qui?»
La donna scoppiò a ridere. «Lo chiamiamo così. Il signor Herald possiede una banca e una grossa fattorìa, e pubblica gratis il giornale… è un hobby. Non è gran cosa, ma qui a Henderson lo leggono tutti. Al sabato ne fa un’edizione completa, stampata. Questo, invece, è il quotidiano».
Gli mostrò un foglietto ciclostilato, non molto leggibile. Jim lo sbirciò, poi mosse verso l’uscita. «Grazie lo stesso».
Quando uscì nuovamente nel sole d’estate, c’era qualcosa che gli rodeva il cervello, una sorta di sensazione del tipo là-dentro-ti-sei-dimenticato-di-qualcosa. Non riuscì però a focalizzarne il motivo e si sforzò d’ignorarla.
Poi, quando attraversò la soglia della tipografia, ci arrivò. Quel foglietto ciclostilato di notizie: assomigliava in modo sorprendente ai fogli delle lezioni che aveva ricevuto da M.H. Quilcon. Lo stesso inchiostro purpureo. I fogli un po’ spiegazzati. Ma gli parve una pazzia voler trovare un collegamento tra i due fatti. Tutti i fogli ciclostilati si assomigliano.
Il signor Herald era un ometto corpulento con una frangetta tutt’intorno al cranio calvo. Jim gli ripeté la sua domanda.
«Quilcon?» Il signor Herald si mordicchiò le labbra pensieroso. «No, sono certo di non avere mai udito quel nome. Un nome bizzarro… Sono certo che lo ricorderei, se l’avessi udito».
Jim Ward si rese conto che ulteriori indagini in quel luogo sarebbero state una pura perdita di tempo. C’era qualcosa di sbagliato da qualche parte. Le informazioni altamente tecniche contenute nel suo corso per corrispondenza non potevano certo essere uscite da quella cittadina moribonda.
Gettò un’occhiata al foglietto di notizie che giaceva sulla scrivania cosparsa di carte, accanto a una vecchia Woodstock. «Bel giornaletto, quello che pubblica qui», disse a Herald.
Il signor Herald scoppiò a ridere. «Be’, non è granché in verità, ma mi diverte farlo e la gente se la gode a leggere dei maiali perduti dalla signora Kelly e della pertosse dei figli di Dorius. Serve a vivacizzare un po’ l’atmosfera».
«Ha mai fatto nessun lavoro per conto di altri, stampato o ciclostilato?»
«Sono sempre a disposizione di chi voglia, ma sono tre anni che non ho più nessun cliente esterno».
Jim si guardò intorno con occhio indagatore. La vecchia Woodstock pareva l’unica macchina per scrivere presente nella stanza.
«Tanto vale che riparta», disse. «Ma, mi chiedevo se non potrebe lasciarmi usare la sua macchina per buttar giù un appunto e lasciarlo all’ufficio postale, se mai Quilcon si facesse vivo».
«Certo, faccia pure. Si accomodi».
Jim sì sedette alla sferragliante macchina e batté qualche riga mentre il signor Herald scompariva nel retro della tipografia. Poi Jim si alzò e si cacciò in tasca il foglio. Avrebbe tanto voluto aver portato con sé un foglio d’una delle lezioni.
«Grazie», gridò al signor Herald. Prese su una copia dell’edizione più recente del quotidiano e se la cacciò in tasca insieme al foglio battuto a macchina.
Durante il viaggio di ritorno studiò il foglio ciclostilato fino a quando non ne ebbe mandata a memoria ogni riga, ma si astenne dal trarre conclusioni finché non fu tornato a casa.
Dalla stazione chiamò la fattoria e Hank, il suo bracciante, venne a prenderlo. Le dieci miglia che lo separavano dalla fattoria gli parvero cento. Ma, giunto infine nella sua stanza, Jim stese sul letto i due fogli che aveva portato con sé e aprì il fascicolo della prima lezione del corso per corrispondenza.
Non c’era possibilità di sbagliarsi. Le matrici delle pagine ciclostilate del corso erano state battute con la vecchia macchina del signor Herald. C’era l’identica sbrecciatura sul lato della o, e la b era appiattita sul lato del rigonfiamento. Alla r mancava metà del trattino di base.
Era stato il signor Herald a stilare il corso.
Il signor Herald doveva essere M.H. Quilcon. Ma perché mai aveva negato di conoscere il nome? Perché non aveva voluto confessare di esser lui l’autore del corso?
Alle dieci di quella sera il signor McAfee arrivò alla fattoria con un espresso per Jim.
«Di solito non faccio le consegne così fuori mano a quest’ora di notte», dichiarò. «Ma ho pensato che forse ti sarebbe piaciuto averla subito. Potrebbe trattarsi di qualcosa d’importante. Forse un lavoro, qualcosa del genere. È del signor Quilcon».
«Grazie… Grazie per avermela portata, Mac».
Jim si affrettò a tornare nella sua stanza e aprì la busta, lacerandola con le mani che gli tremavano: Lesse:
Caro Signor Ward,
i suoi progressi nella comprensione dei principi della coordinazione d’energia sono davvero eccezionali e sono molto soddisfatto del modo in cui ha affrontato e svolto la decima lezione che ho appena ricevuto da lei.
Si è presentata un’insolita opportunità che sono spinto a offrirle. A qualche distanza da qui si trova un grosso motore a coordinamento d’energia che necessita d’importanti riparazioni. Ritengo che lei sia del tutto qualificato a lavorare su questa macchina, sotto un’adeguata supervisione, arricchendosi così d’una preziosa esperienza. L’installazione è situata a una certa distanza dall’abitato di Henderson, circa due miglia a sud, sulla Balmer Road. Là troverà l’Hortan Machine Works, dove è situato appunto il motore. Sono richieste delle riparazioni urgenti e lei è lo studente qualificato più vicino, in grado di approfittare di quest’occasione, che potrebbe anche condurre a un ambito rapporto permanente. Perciò, le chiedo di venire subito. L’incontrerò là.