— È impossibile calcolarne il numero. Però posso darti un’informazione importante.
— Cioè?
— Questa: che qualunque cosa tu possa ancora dire, non torneremo sulla Terra prima del venticinque dicembre. Surgenor guardò freddamente l’altoparlante montato sulla parete della cabina.
— Leggi dentro di me come se fossi un libro aperto, vero?
— Non esattamente, David. Ho qualche difficoltà a leggere i libri.
— Aesop, lo sai che hai un atteggiamento odiosamente arrogante?
— Questi aggettivi non hanno senso nel mio… — Aesop si interruppe a metà della frase, una cosa che Surgenor non gli aveva mai sentito fare prima. Dopo una pausa riprese con un tono di urgenza nella voce. — C’è un incendio nell’hangar.
— È grave? — Surgenor prese gli stivali e cominciò a infilarseli.
— C’è una certa concentrazione di fumo, ma registro solo un focolaio localizzato, e non ci sono corto circuiti. La situazione sembra facilmente controllabile dai miei sistemi automatici.
— Scenderò a dare un’occhiata — disse Surgenor, rilassandosi al pensiero che non si trattava di una catastrofe. Usci dalla cabina e raggiunse la scaletta principale, la scese di corsa e si precipitò verso la rampa che conduceva in basso, affollata di uomini ansiosi di vedere cosa fosse successo. L’hangar circolare era pieno di un fumo oleoso, che oscurava i contorni dei sei veicoli d’esplorazione nei loro box, ma mentre Surgenor entrava si rese conto che i condizionatori stavano già provvedendo ad aspirarlo dalle griglie nel soffitto. In poco più di un minuto, il fumo era sparito, tranne che per alcune volute che si alzavano da una scatola appoggiata a uno dei banconi.
— Ho spento il sistema anti-incendio a ultrasuoni — annunciò Aesop. — Completate l’estinzione manualmente.
— Guardate qua. — Voysey, che era arrivato per primo al bancone, prese un piccolo coltello laser appoggiato in modo che la lama colpisse una scatola metallica che conteneva olio usato. — Qualcuno l’ha lasciato acceso a bassa potenza. — Osservò attentamente l’arnese. — Questo affare è pericoloso. La protezione è rotta. Ecco perché ha provocato l’incendio.
Mentre uno degli uomini gettava una granata anti-incendio nella scatola, Surgenor si fece dare il coltello da Voysey e lo esaminò. La piastra di protezione era stata scardinata completamente, in una maniera che a lui non pareva per niente accidentale. Un altro fatto strano era che la vaschetta per l’olio usato, con il foro bruciacchiato su uno dei lati, di solito stava a terra, legata alla gamba del bancone. Pareva che qualcuno avesse cercato deliberatamente di provocare l’incendio, ma questa era una cosa che nessuna persona sana di mente avrebbe mai fatto. Un’astronave era una macchina costruita per proteggere gli uomini da un ambiente ostile quanto nessun altro, ed era impensabile che qualcuno cercasse di danneggiarla…
— Siamo stati fortunati — disse Voysey. — Non ci sono stati danni.
Aesop intervenne immediatamente. — Questo è ancora da vedere, signori. L’aria nell’hangar era stata filtrata e purificata per lavori di revisione ai circuiti elettronici dei moduli Uno, Tre e Sei. Tutte le unità esposte dovranno essere ispezionate per verificare la possibilità di contaminazione, quindi ripulite e sottoposte a controlli. Suggerirei di iniziare immediatamente il lavoro. In caso contrario, la prossima esplorazione dovrà subire un rinvio.
Si udirono brontolii di protesta da parte di alcuni, ma Surgenor sospettava che, in realtà, quasi tutti fossero contenti di avere un lavoro veramente necessario da fare: rompeva la monotonia del viaggio, e dava loro la sensazione di essere utili. Si mise al lavoro, mettendo da parte i suoi sospetti sull’origine dell’incendio, e trascorse due ore immerso nel controllo di circuiti stampati. I moduli erano stati progettati per essere riparati in gran parte mediante sostituzione, in modo che non fossero necessarie conoscenze specialistiche per procedere a una riparazione, ma nonostante ciò il controllo e la sostituzione di componenti importanti era un lavoro che richiedeva concentrazione. Come sempre, Aesop assisteva e controllava le operazioni. I suoi microscopi diagnostici a lunga portata, montati sul soffitto, si muovevano di tanto in tanto, mentre proiettavano su un grande schermo le immagini enormemente ingrandite dei circuiti.
Quando finalmente il pasto serale venne servito dalla cucina automatica, Surgenor era stanco morto, ma soddisfatto. Con suo grande sollievo, la cena si svolse senza litigi fra Hilliard e Barrow. Finito di mangiare, la maggior parte degli uomini si mise a guardare un olofilm. Surgenor bevve due whisky abbondanti, si accorse che si stava abbandonando pericolosamente alla nostalgia per la Terra e il Natale, e andò a letto presto.
La mattina dopo si svegliò beatamente rilassato, sapendo che era sabato e non doveva andare in ufficio. Il progetto che stava elaborando per il nuovo auditorium dell’università era giunto a uno stadio affascinante, che impegnava tutte le sue risorse mentali, ma sapeva per esperienza che un week-end di completo riposo gli avrebbe permesso di tornare al lavoro con entusiasmo ed efficienza ancora maggiori. La soddisfazione gli riempì la mente come una melodia di campane d’argento, mentre si voltava nel letto per toccare Julie.
Provò un attimo di disappunto accorgendosi che il suo posto era vuoto, poi si accorse del profumo di caffè che saliva dalle scale. Si alzò, si stirò, entrò in bagno nudo com’era e restò per un momento a guardare la vasca con i rubinetti d’oro a forma di delfini. Decise di non fare il bagno, e aprì la doccia, nel cubicolo di vetro fumé. Attraverso la finestra si vedevano i boccioli in fiore dei ciliegi, simili a fiocchi di neve nel sole, e lontano si udiva il giardiniere al lavoro con la falciatrice, intento a celebrare i primi riti della primavera.
— Dave? — La voce di Julie si udiva appena sopra lo scroscio dell’acqua. — Sei alzato? Vuoi il caffè?
— Non subito. — Surgenor sorrise fra sé, infilandosi sotto il getto caldo. — Non c’è neanche un asciugamano qui — gridò. — Me ne porti uno, per favore?
Un minuto più tardi, Julie entrava nel bagno con un asciugamano. Indossava una vestaglia gialla, legata alla vita con una cintura, e aveva i capelli biondi tirati all’indietro e fermati con un nastrino dorato. Surgenor non poteva staccarle gli occhi di dosso.
— Mi sembrava… — Julie si interruppe, mentre con un’occhiata in giro si accorgeva che il bagno era pieno di asciugamani. — Oh, Dave! Cosa ti è venuto in mente di farmi fare le scale per niente?
Surgenor le sorrise. — Non indovini?
Lei osservò il suo corpo teso. — Il caffè è pronto.
— Mai pronto come me. Vieni… l’acqua è deliziosa.
— Mi prometti di non farmi bagnare i capelli? — disse Julie, fingendo una riluttanza che faceva parte dei loro giochi d’amore.
— Te lo prometto.
Julie si slacciò la vestaglia, e se la lasciò cadere dalle spalle. Lo raggiunse sotto la doccia. Surgenor la prese fra le braccia, e nei minuti che seguirono, si liberò di tutti i desideri, di tutta la solitudine che un viaggiatore dello spazio è destinato ad accumulare durante le sue peregrinazioni.
Più tardi, mentre facevano colazione, gli venne in mente una cosa strana: «Se sono un architetto, se davvero sono un architetto, come faccio a sapere in che modo si sente uno spaziale?».
Guardò Julie con una specie di triste perplessità, e si accorse di qualcosa di morbido che gli premeva contro la nuca. Sembrava proprio un cuscino. Sollevò la testa, sbatté le palpebre, guardando senza capire il mobilio spartano della sua cabina sulla Sarafand, poi gettò via il cuscino. Sotto, c’era il disco piatto e argenteo di un registratore VT.