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Targett sbuffò e premette il pulsante che lo metteva in comunicazione diretta con Aesop.

6

Il Modulo Cinque si alzò di un metro nell’aria, abbassò leggermente la punta e si diresse con un ronzio verso nord, in una nuvola di polvere scura.

Targett lo guardò sparire, e restò sorpreso per la velocità con cui ogni traccia dell’esistenza del veicolo svaniva nel paesaggio alieno. Inspirò una profonda boccata d’aria che sapeva di plastica. Era primo pomeriggio, e aveva a disposizione circa sei ore di luce. Erano più che sufficienti per raggiungere gli oggetti metallici, a circa dieci chilometri di distanza verso est. Cominciò a camminare in direzione delle colline, non riuscendo quasi a credere alla svolta improvvisa che l’aveva strappato dalla noiosa routine del lavoro cartografico per gettarlo, solo, in quel paesaggio preistorico.

L’atmosfera di Morta VII non conteneva tracce di ossigeno, e il pianeta non aveva mai conosciuto nessuna forma di vita indigena, eppure Targett si accorse che non riusciva a non guardare la sabbia ai suoi piedi alla ricerca di conchiglie e insetti. Razionalmente accettava di trovarsi su un mondo morto, ma a livello istintivo ed emotivo la sua coscienza si rifiutava di ammetterlo. Camminò il più in fretta possibile, affondando nella sabbia sottile fino alle caviglie, e sentendosi un po’ a disagio ogni volta che la fondina dell’ultralaser gli batteva contro la coscia.

— Lo so che non ne hai bisogno — gli aveva detto Surgenor pazientemente — ma fa parte dell’equipaggiamento d’ordinanza per le missioni extraveicolari, e se non te la porti dietro non puoi uscire dal veicolo.

La gravità del pianeta era vicina a 1,5 G, e quando Targett raggiunse i piedi delle colline sudava abbondantemente, nonostante il sistema refrigeratore della tuta. Si slacciò la pistola, che sembrava pesare quattro volte più di prima, e se la mise sulla spalla. Il terreno stava diventando sempre più sassoso, e quando raggiunse le colline si accorse che erano formate soprattutto da roccia basaltica nuda. Si sedette su un masso, per far riposare un po’ le gambe. Dopo aver succhiato una sorsata d’acqua fredda dal tubo che gli sfiorava la guancia, decise di controllare la sua posizione.

— Aesop — disse — quanto disto dagli oggetti?

— Il più vicino si trova a novecentododici metri a est dalla tua posizione attuale — rispose il computer senza esitazioni, servendosi dei dati che gli giungevano senza interruzione dai suoi sensori e dai sei moduli.

— Grazie.

Targett scrutò il pendio davanti a lui, che culminava a poca distanza in una cresta frastagliata. Da lì avrebbe dovuto vedere gli oggetti, ammesso che non fossero sepolti sotto la polvere accumulatasi in settanta secoli.

— Come va, Mike? — Era la voce di Surgenor.

— Nessun problema. — Targett stava per aggiungere che cominciava a capire la differenza fra guardare in uno schermo e camminare con le proprie gambe sul terreno, quando gli venne in mente che Surgenor aveva mantenuto un lungo silenzio radio con la deliberata intenzione di farlo sentir solo. Senza dubbio Surgenor aveva a cuore il bene di Targett, ma lui non aveva intenzione di fargli sapere che riconosceva di essere stato troppo avventato a lanciarsi in quell’impresa.

— Fa bene fare un po’ di moto — disse. — È stata una bella passeggiata. Tu come te la passi?

— Devo prendere una decisione — disse Surgenor. — Sarò sulla Sarafand fra meno di tre ore, e non so se mangiare un pasto in scatola subito, oppure aspettare di farmi una bella bistecca a bordo.

— Questa è una di quelle decisioni difficili che uno deve prendere da solo. — Target! fece uno sforzo per parlare con voce normale. Quella era la maniera di Surgenor per ricordargli che se non fosse stato impaziente avrebbe potuto fare le sue ricerche comodamente e con lo stomaco pieno. Adesso, invece, avrebbe dovuto passare una notte all’aperto accontentandosi di acqua e surrogati. Si rendeva anche conto, e ciò lo sconcertava, che un mondo straniero sembra dieci volte più straniero a un uomo solo.

— Hai ragione, non è bello da parte mia preoccuparti con i miei problemi — disse Surgenor. — Forse dovrei farmi coraggio e cercare di mangiare due volte.

— Mi stai spezzando il cuore, Dave. Arrivederci a presto. — Targett si alzò, deciso nuovamente a ricavare il massimo dalla sua spedizione privata. Cominciò ad arrampicarsi lungo il pendio, badando bene a non scivolare sulle pietre e sulla polvere che si staccavano ad ogni passo dal fianco della collina. Oltre la cresta, vi era un chilometro di terreno piano, al di là del quale si innalzava bruscamente la catena rocciosa delle colline. Il piccolo altopiano era circondato a nord e a sud da massi di roccia, come se fosse stato spianato artificialmente.

Sparsi sulla sabbia, in gruppi disposti a caso, c’erano centinaia di sottili cilindri neri, il più vicino dei quali si trovava a poche decine di passi da Targett. Erano lunghi circa sette metri e, con le due estremità appuntite, avevano una forma perfettamente aerodinamica. Il respiro di Targett si fece più affrettato, senza che questo avesse niente a che fare con la fatica, quando si accorse che gli oggetti non erano certamente dei bidoni abbandonati, come aveva suggerito Surgenor.

Prese dalla cintura la piccola telecamera, infilò la spina nelle batterie della tuta per qualche secondo per ricaricarla, e la puntò verso i cilindri più vicini.

— Aesop — disse — ho stabilito il contatto visivo.

— Ricevo una discreta immagine, Michael — rispose Aesop.

— Adesso mi avvicino.

— Non muoverti! — ordinò Aesop seccamente.

Targett si immobilizzò con il piede a mezz’aria. — Cosa c’è?

— Forse niente, Michael. — Aesop aveva ripreso il suo tono normale. — Dalle immagini mi sembra che gli oggetti non siano ricoperti di polvere, giusto?

— Mi pare che sia così. — Targett scrutò i cilindri neri, brillanti sotto il sole, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersene prima. Dovevano essere arrivati lì solo quella mattina.

— Ti pare? Hai qualche difetto alla vista che ti impedisce di esserne sicuro?

— Non essere sciocco, Aesop. Certo che ne sono sicuro. Vuoi dire che sono stati lasciati qui da poco?

— Improbabile. Si nota un accumulo di polvere intorno a ogni oggetto?

Targett socchiuse gli occhi per proteggerli dal riflesso del sole, e vide che i cilindri giacevano ciascuno in una specie di invasatura di polvere, che giungeva a pochi centimetri dalla superficie metallica. Descrisse quello che vedeva ad Aesop.

— Schermi repulsori — disse il computer. — Forse in funzione da settemila anni. Non è necessario che tu studi ulteriormente questi oggetti, Michael. Non appena sarà finita l’operazione cartografica, porterò lì la Sarafand per un’indagine completa. Adesso torna ai piedi della collina e aspetta l’arrivo della nave.

— A cosa è servito che camminassi fino qui, se non devo fare niente? — chiese Targett. Pensò rapidamente a tutte le possibili conseguenze di disubbidire a un ordine diretto di Aesop (rimprovero ufficiale, perdita dello stipendio, sospensione dal servizio) e prese la sua decisione.

— Viste le circostanze, non ho nessuna intenzione di girare i pollici per quattro o cinque ore — disse con voce ferma, anche se non era sicuro di come avrebbe interpretato il suo tono Aesop. — Vado a dare un’occhiata da vicino a quelle cose.

— D’accordo, a condizione che tu trasmetta continuamente le immagini televisive.

Targett stava per dire che tanto, con i chilometri che li separavano, il computer non poteva imporgli la sua volontà, ma decise di lasciar perdere. Durante i mesi trascorsi nel Servizio aveva dovuto adattarsi al fatto che i suoi compagni si rivolgevano al computer della nave chiamandolo “Capitano”, e obbedivano a tutte le sue istruzioni come se fosse un generale con tre stellette. L’idea di essere controllato a distanza come un burattino era irritante, ma non valeva la pena di prendersela per una cosa del genere, di fronte a un evento straordinario come quello.