Surgenor annuì, scrutando la pozza di oscurità alla ricerca delle lucciole striscianti che avrebbero indicato l’arrivo degli altri veicoli. Teoricamente, tutti e sei i moduli avrebbero dovuto trovarsi esattamente alla stessa distanza dalla Sarafand, lungo le rispettive rotte disposte secondo un cerchio perfetto. Durante la maggior parte del tragitto i veicoli avevano rispettato il programma d’esplorazione, in modo che i dati trasmessi raggiungevano la nave madre da sei punti egualmente distanti. Qualsiasi deviazione dal programma avrebbe causato una distorsione nelle mappe planetarie che il computer di bordo stava compilando. Ma siccome gli strumenti dei moduli avevano un raggio minimo d’azione di cinquecento chilometri, quando giungevano a quella distanza dalla nave madre il territorio rimanente era già stato esaminato sei volte diverse, e il lavoro era ampiamente finito. Per tradizione, l’ultimo tratto di una missione cartografica si trasformava in una gara a chi arrivava primo, con champagne per i vincitori, e congrue deduzioni di salario per gli altri.
Il Modulo Cinque, il veicolo di Surgenor, era appena passato a fianco di una catena di picchi bassi ma accidentati, e c’era da aspettarsi che almeno due degli altri moduli sarebbero stati costretti a superarli, perdendo tempo. Malgrado tutti gli anni e gli anni-luce, Surgenor sentì rinascere dentro di sé lo spirito della competizione. Sarebbe stato piacevole, anche se non del tutto appropriato, finire la sua carriera nel Servizio Cartografico con un brindisi a base di champagne.
— Una bella doccia e una coppa di champagne… cosa si potrebbe desiderare di più?
— Be’, lasciando perdere le battute di cattivo gusto, ci sarebbero una bistecca, una donna e una dormita…
Si interruppe quando la voce del Capitano Aesop, da bordo della Sarafand, echeggiò attraverso l’altoparlante montato sopra gli schermi visori.
— Sarafand a tutti i moduli di esplorazione. Sospendete l’avvicinamento. Spegnete i motori e restate dove siete finché non riceverete nuove istruzioni. È un ordine.
Prima che la voce di Aesop si fosse spenta, il silenzio radio che era stato osservato durante tutta la corsa verso casa venne interrotto da commenti sorpresi e irritati da parte degli equipaggi degli altri moduli. Surgenor provò un vago senso di allarme. A giudicare dalla voce di Aesop, sembrava che fosse successo qualcosa di serio. Intanto il Modulo Cinque continuava sobbalzando il suo cammino nell’oscurità della pianura polare.
— Deve esserci stato qualche errore nelle procedure cartografiche — disse Surgenor. — Comunque, è meglio spegnere i motori.
— Ma è assurdo! Deve avergli dato di volta il cervello, a Aesop. Che errore vuoi che ci sia? — Voysey era indignato. Non fece nessun cenno di toccare i comandi.
Senza preavviso, un colpo di ultralaser della Sarafand illuminò la notte di frammenti abbaglianti, mentre il fianco della collina eruttava verso il cielo di fronte al Modulo Cinque. Voysey frenò di colpo, e il veicolo si fermò sull’orlo del cratere incandescente lasciato dall’ultralaser. Una pioggia di rocce colpì il tetto, con un rumore assordante, poi silenzio.
— Te l’ho detto che Aesop è impazzito — disse Voysey sbalordito.
— Perché l’ha fatto?
Surgenor schiacciò il bottone che lo metteva in contatto con la nave madre.
— Aesop. Qui Surgenor, del Modulo Cinque — disse. — È meglio che tu ci dica cosa sta succedendo.
— Intendo tenere pienamente informati i membri dell’equipaggio.
— Vi fu una pausa, poi Aesop riprese: — Il problema è questo: sono usciti sei moduli di esplorazione… e ne sono tornati sette. Non mi sembra il caso di dirvi che ce n’è uno di troppo.
Con una fitta di terrore, Candar si rese conto di aver commesso un errore. La sua paura non nasceva dal fatto che gli stranieri avessero scoperto la sua presenza fra di loro, e neppure che avessero armi ragionevolmente potenti, ma dal sapere di aver commesso un errore così elementare ed evitabile. Il lento processo di deterioramento fisico e mentale doveva essere giunto ad un punto molto più avanzato di quanto avesse immaginato.
Il compito di ristrutturare il suo corpo in modo che sembrasse una delle macchine mobili era stato difficile, ma non quanto lo sforzo che aveva dovuto fare per organizzare le sue cellule in modo da sopravvivere quando i due soli ingigantivano, e splendevano insieme nel cielo. Il suo errore era stato di permettere alla macchina di cui aveva assunto la forma, di giungere alla portata dell’apparecchio rilevatore posto all’interno della grande macchina verso cui si dirigevano tutte le altre. Aveva permesso alla piccola macchina di allontanarsi da lui, mentre attraversava il doloroso processo di trasformazione e poi, quando aveva cominciato a seguirla, si era reso conto della pioggia pulsante di elettroni che scorreva su di lui.
Per quanto divorato da una fame atroce, Candar aveva analizzato lo spruzzo di particelle sottili, e si era reso conto quasi immediatamente che erano emesse da un sistema di sorveglianza. Avrebbe dovuto capirlo subito che creature con organi sensori così deboli avrebbero cercato di inventare qualcosa per allargare la loro percezione dell’universo. Soprattutto creature che si erano date la pena di costruire veicoli così complicati. Per un attimo considerò la possibilità di assorbire tutti gli elettroni che toccavano la sua pelle, rendendosi in tal modo invisibile al dispositivo di avvistamento, ma decise che una simile linea d’azione avrebbe mandato a monte i suoi piani. Era ormai nel raggio visivo della macchina più grande, e se avesse mostrato caratteristiche fuori dell’ordinario si sarebbe fatto immediatamente identificare dagli osservatori.
La preoccupazione di Candar cominciò ad attenuarsi mentre un’altra parte del suo sistema sensorio raccoglieva le vibrazioni di paura e di sgomento che emanavano dalle menti delle creature nella macchina che gli era più vicina. Menti come quelle, per di più rinchiuse in corpi così fragili, non potevano creargli problemi seri. Doveva solo aspettare la prima occasione, che senza dubbio gli si sarebbe presto presentata.
Restò accucciato sul terreno irregolare della pianura, con la maggior parte degli elementi metallici del suo sistema trasferiti alla periferia della sua nuova forma, identica a quella delle macchine mobili. Una frazione della sua energia veniva utilizzata per produrre la luce che emetteva davanti a sé, mentre un’altra frazione minima provvedeva a controllare le radiazioni riflesse dalla sua pelle, camuffando in tal modo la sua vera identità.
Era Candar, l’unità individuale più intelligente, dotata e potente dell’universo. Doveva solo aspettare.
I comunicatori standard che equipaggiavano i veicoli da esplorazione cartografica, nonostante le loro piccole dimensioni, erano apparecchi piuttosto efficienti. Surgenor non ne aveva mai visto uno andare in sovraccarico, prima; ma subito dopo l’annuncio di Aesop le comunicazioni si interruppero, mentre gli uomini di tutti i moduli reagivano con esclamazioni di sorpresa o incredulità. Un meccanismo inconscio di difesa gli fece fissare con stupore l’altoparlante, mentre un’altra parte della sua mente assimilava le parole di Aesop.
Un settimo modulo era comparso in un mondo senz’aria, non solo inabitabile, ma, nel senso più stretto della parola, sterile. Neppure il batterio o il virus più resistente potevano sopravvivere agli enormi sbalzi di temperatura a cui era sottoposto Prila I nell’orbita attorno al suo sole doppio. Era del tutto impensabile che un veicolo avesse potuto attendere l’arrivo della Sarafand; eppure così diceva Aesop… e Aesop non faceva mai errori. L’incrociarsi di voci dall’altoparlante si calmò all’improvviso quando Aesop parlò di nuovo.