Giyani allargò le braccia. — Mi dispiace, McErlain. Non sapevo com’erano andate le cose, ma adesso dobbiamo preoccuparci della nostra situazione, qui ed ora.
— Ma io sto proprio parlando di questo, maggiore. McErlain sembrava sorpreso. — Non l’avete ancora capito?
Giyani tirò un profondo respiro, si avvicinò al sergente e parlò con voce ferma. — Avete trent’anni, sergente McErlain. Entrambi sappiamo bene cosa significa questo per voi. Ora statemi bene a sentire: vi ordino di consegnarmi quell’arma.
— Mi ordinate?
— Sì, sergente. Ve lo ordino.
— In base a quale autorità?
— Lo sapete benissimo, sergente. Sono un ufficiale delle forze armate del pianeta sul quale voi ed io siamo nati.
— Un ufficiale! — L’espressione di McErlain si fece ancora più stupita. — Voi non capite. Non capite proprio niente. Quando siete diventato ufficiale delle forze armate del pianeta sul quale io e voi siamo nati?
Giyani sospirò, e decise di accontentare il sergente. — Il dieci giugno duemiladuecentosettantasei.
— Ed essendo un ufficiale avete il diritto di darmi degli ordini?
— Avete trent’anni, McErlain.
— Ditemi una cosa, signore. Avreste avuto il diritto di darmi ordini il nove giugno del duemiladuecentosettantasei?
— No, si capisce — disse Giyani accomodante. Allungò una mano e afferrò la canna del fucile. McErlain non lasciò la presa. — Quanti ne abbiamo oggi?
— Come faccio a saperlo?
— Mettiamola in un altro modo: è prima o dopo il dieci giugno duemiladuecentosettantasei?
Giyani cominciò a mostrare qualche segno di impazienza. — Non siate ridicolo, sergente. In una situazione come questa è il tempo soggettivo che conta.
— Questo non lo sapevo — commentò McErlain. — Fa parte del regolamento, o l’avete letto sul libro non ancora scritto del nostro amico Surgenor, che crede che io non mi sia accorto che sta salendo pian piano sulla rampa?
Surgenor tolse il piede dal tronco argenteo, e aspettò. Cominciava a rendersi conto che un elemento inesplicabile e pericoloso era giunto a complicare la situazione. La Saladiana si era tirata di nuovo il cappuccio sulla testa, ma non staccava gli occhi da McErlain. Sembrava quasi che capisse quello che stava dicendo il sergente.
— Allora è così che la pensate. — Giyani si strinse nelle spalle e si allontanò da McErlain. Si appoggiò a un grosso albero dalle foglie gialle e rivolse la sua attenzione a Surgenor. — È la mia immaginazione, David, o quel cerchio si è ristretto ancora un po’?
Surgenor scrutò il disco nero, con le stelle che splendevano assurdamente, e la sua ansia crebbe. Il cerchio effettivamente sembrava un po’ più piccolo. — Dev’essere a causa dell’aria che passa da una parte all’altra — disse. — L’aria umida ha una massa notevole… Si interruppe, mentre Giyani con un movimento rapido si nascondeva dietro all’albero. Da dove si trovava, Surgenor lo vide afferrare la pistola. Si gettò dietro alla rampa, sperando in una protezione che nel suo cuore sapeva del tutto insufficiente, e nello stesso istante l’arma di McErlain emise una scarica. Il fucile doveva essere regolato sull’intensità massima, perché il raggio ultralaser annientò con un’esplosione lo spessore del tronco… e il petto di Giyani. L’uomo cadde in un ammasso di fuoco e di sangue. L’albero oscillò per qualche istante, in bilico sulle sue stesse ceneri, poi si inclinò e precipitò fragorosamente fra gli altri alberi.
Finalmente, rendendosi conto che la rampa non gli offriva nessun rifugio, Surgenor si rialzò e guardò McErlain. — È il mio turno, adesso?
Il sergente fece un cenno con la testa.
— Fareste meglio a saltare attraverso quel buco, prima che sparisca — disse.
— Ma… — Surgenor osservò la bizzarra coppia, il sergente McErlain e la figura grigia della Saladiana, e la sua mente cominciò a riempirsi di congetture.
— Voi non andate? — chiese, senza rendersi conto della futilità di quella domanda.
— Ho qualcosa da fare.
— Non capisco.
— Fatemi un favore — disse McErlain. — Riferite che mi sono riscattato. Una volta ho aiutato a uccidere un pianeta. Adesso aiuterò a riportarne uno alla vita.
— Continuo a non capire. McErlain diede un’occhiata alla donna aliena, senza nome. — Sta per avere un figlio. Forse più di uno. Non riusciranno mai a sopravvivere senza il mio aiuto. Non ci deve essere abbondanza di cibo.
Surgenor salì sulla rampa e si fermò vicino al disco nero. — E se non ce ne fosse per niente? Come potete sapere che sopravvivrete?
— Dobbiamo — disse McErlain. — Da dove pensate che siano venuti gli abitanti di questo pianeta?
— Potrebbero essere venuti da qualsiasi parte. Le probabilità che i Saladiani siano originari di questo pianeta, date le circostanze, sono così scarse che… — si interruppe con un senso di colpa, vedendo il bisogno disperato negli occhi di McErlain.
Guardò per l’ultima volta il sergente e la sua enigmatica compagna, poi si tuffò nel cerchio nero. Provò un attimo di panico, mentre cadeva nel buio, poi si trovò a rotolare sulla sabbia fredda, e si sedette, tremando. Le stelle familiari della notte saladiana brillavano sulla sua testa, ma la sua attenzione venne attirata dal cerchio da cui era emerso.
Era un disco di luce verdastra, sospeso sul deserto, una finestra dalla notte al giorno. Mentre guardava, si restrinse fino a ridursi alle dimensioni di un piatto splendente come un sole, poi di un diamante abbagliante. L’aria sibilava attraverso l’apertura con una nota lamentosa, sempre più acuta mentre si restringeva alla grandezza di una stella, e finalmente sparì.
Quando i suoi occhi si furono riadattati all’oscurità, riuscì a scorgere la figura di Kelvin che giaceva sulla sabbia a poca distanza. Si vedeva una macchia biancastra dove il tenente aveva spruzzato lo spray cicatrizzante, sulla caviglia.
— Avete bisogno di aiuto? — chiese Surgenor.
— Ho già chiamato — disse Kelvin debolmente, senza muoversi.
— Dovrebbero arrivare fra poco. Dove sono gli altri?
— Dall’altra parte. — Una parte della sua mente gli diceva che McErlain e la donna saladiana erano morti da milioni di anni, ma un’altra gli suggeriva che erano ancora vivi, perché il passato, il presente e il futuro sono una cosa sola. — Non possono farcela.
— Questo vuoi dire… che sono morti da tanto tempo.
— Si può anche dire così.
— Oh, Cristo — mormorò Kelvin. — Che modo stupido e inutile di morire. È come se non fossero mai vissuti.
— Non proprio. — Gli era venuto in mente che il desiderio del sergente McErlain di dare la vita a un nuovo mondo poteva essere stato esaudito. Letteralmente. Non ne sapeva abbastanza di biologia per esserne sicuro, ma gli sembrava possibile che, avendo a disposizione un milione di anni, e un ambiente favorevole, i microrganismi che brulicavano in un corpo umano potessero prosperare ed evolversi. Dopo tutto, Saladin aveva prodotto davvero una forma di vita intelligente…
Quelle speculazioni erano troppo al di là delle possibilità di Surgenor, date le sue condizioni presenti, ma a un livello mentale non logico, aveva un barlume di speranza che in qualche modo i Saladiani sarebbero venuti a sapere quello che McErlain aveva fatto per un membro della loro razza. Se fosse successo, allora, forse, avrebbero potuto gettare le prime basi per stabilire relazioni amichevoli.
Nel buio, Kelvin sospirò stancamente. — È ora che ce ne andiamo da questo pianeta, comunque.
Surgenor alzò gli occhi verso il cielo. Pensò a se stesso a bordo della Sarafand, in viaggio verso mondi lontani. Ma l’immagine del cerchio luminoso restò nei suoi occhi per molto, molto tempo, come un sole impalpabile.