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— Speravo di poter restare un’oretta, per salutare il nostro amico Lamereux, e tutto il resto, ma purtroppo devo finire un rapporto entro questa sera. — Beresford fece un sorriso nervoso, si scusò e uscì in fretta.

— Mio Dio, non avevo mai incontrato una vecchia zitella come quello! — disse Christine, accennando con la testa in direzione della porta. Era più vecchia di quanto Surgenor avesse pensato all’inizio, fra i trentacinque e i quarant’anni, e più che snella era il caso di definirla scarna, come se il suo corpo fosse stato affilato da anni di duro lavoro.

— Ti abituerai in fretta a lui — disse Surgenor, sentendo svanire le sue fantasie romantiche.

— Non sarà necessario. — Lanciò a Surgenor un’occhiata scrutatrice con due occhi scuri e profondamente incassati. — Credo che avesse delle ragioni particolari per portarmi qui questa sera, ma adesso non le ha più.

— Sei riuscita a fargliele passare? Christine annuì. — Sono riuscita a mettergli addosso una fifa del diavolo.

— Perfetto. Questo lo farà girare al largo di sicuro.

— Puoi giurarci. — Christine allungò il collo verso il bar. — Cosa deve fare una ragazza per procurarsi da bere da queste parti? Surgenor fece una risata di approvazione. — Basta parlare. Cosa preferisci?

— Bourbon liscio, e abbondante… mi pare di essere un po’ indietro rispetto agli altri.

— D’accordo. — Surgenor andò ad eseguire l’ordinazione. Quando tornò, Christine si era già unita al gruppo attorno al piano, e pareva trovarsi perfettamente a suo agio, come se facesse parte della ciurma della Sarafand da anni, e non da qualche minuto. Gli rivolse un breve cenno di ringraziamento prendendo il bicchiere, poi si voltò di nuovo verso il coro. Surgenor riprese il suo posto di prima e tornò a occuparsi del suo whisky, pensando che, almeno, in quel viaggio-jolly non c’era nessun rischio di ulteriori complicazioni dovute ad un’eccessiva femminilità da parte del nuovo membro.

14

Surgenor uscì dalla porta principale dell’albergo dove alloggiavano i membri del Servizio, si riempì i polmoni dell’aria fresca e pulita della mattina e cercò con gli occhi l’autobus che doveva portarlo all’astroporto di Bay City.

Il veicolo blu-argento attendeva nel suo parcheggio riservato, con l’autista che teneva d’occhio l’orologio. Surgenor lo raggiunse, mise la valigia coi suoi effetti personali nello scompartimento dei bagagli e salì a bordo. I posti erano occupati per tre quarti, dagli esploratori e dal personale della base che andava all’astro-porto ad iniziare la giornata di lavoro. Rivolse cenni di saluto alle facce familiari, mentre cercava un posto libero. La sua nave sarebbe partita solo nel primo pomeriggio, e perciò fu con una certa sorpresa che vide Christine Holmes seduta in uno degli ultimi posti, che lo guardava.

— In viaggio di buon’ora — commentò, sedendosi al suo fianco.

— È un lavoro nuovo per me: questo è il mio secondo viaggio — disse la donna. — E tu che scusa hai?

— Sono già stato su Delos.

— E ti ha già stufato. — Christine lo osservò con aperta curiosità.

— Ho sentito dire che fai questo lavoro da vent’anni.

— Quasi.

— Quanti mondi hai esplorato?

— Un bel po’, penso… ma non ricordo quanti di preciso. — Surgenor si chiese perché le avesse mentito: lo sapeva benissimo il numero dei pianeti che aveva attraversato.

— Che importanza ha?

— Nessuna, per me. Ma se sei già stufo dopo una sosta di due settimane su Delos, cosa farai quando ti metteranno in pensione?

— Questi sono fatti miei — disse Surgenor, irritato per la brutalità della domanda. Non vi erano differenze gerarchiche a bordo di una nave d’esplorazione, a causa soprattutto della natura occasionale del lavoro, ma gli pareva che una novizia avrebbe dovuto mostrare un po’ più di rispetto per la sua esperienza. O forse quella domanda aveva toccato un punto dolente, ricordandogli la sua crescente ambivalenza nei confronti del Servizio? Quale sarebbe stato il suo destino, se davvero fosse stato incapace di smettere di viaggiare?

— E tu perché hai firmato? — chiese, cambiando argomento.

— Come sarebbe a dire perché? Non dirmi che sei uno di quei dinosauri convinti che una donna capace di far bene il suo lavoro sia una specie di scherzo di natura.

— L’ho forse detto?

— Non era necessario.

— A essere sincero, non è il tuo sesso che mi stupisce, ma la tua età — rispose Surgenor, perdendo la pazienza. — Sei due volte più vecchia di quelli che incominciano di solito questo lavoro.

— Capisco. — Christine annuì, apparentemente senza offendersi per la sua scortesia. — È una buona domanda. Se vuoi, possiamo dire che cerco di iniziare una nuova carriera, qualcosa che mi aiuti a rimettermi in sesto, come si suol dire. Avevo un marito, una volta, e un figlio. Sono morti entrambi. Volevo andarmene dalla Terra, e ho una buona disposizione alla meccanica, così ho fatto il corso per esploratori… ed eccomi qui.

— Scusa se…

— Non importa — disse lei allegramente. — È stato tanto tempo fa, e tutti dobbiamo morire, prima o poi.

Surgenor annuì accigliato, rimpiangendo di non essersi limitato a parlare del tempo, o meglio ancora, di non aver scelto un altro posto per sedersi. — Comunque, mi dispiace per… per quello che…

— Per quella battuta stupida sulla mia età? Lascia perdere. Comunque, non sei più un ragazzino neanche tu, vero?

— Proprio così — disse Surgenor, sollevato perché la conversazione era tornata su un piano non impegnativo. Pochi secondi dopo le porte dell’autobus si chiusero e cominciò il viaggio verso lo spazioporto. I raggi bassi del sole, che mutavano direzione ad ogni curva, illuminavano la faccia di Christine, mettendone ancor più in evidenza la mascella pronunciata, e il pallore della pelle. Durante il viaggio lei fumò una sigaretta dopo l’altra, facendosi cadere di tanto in tanto la cenere sull’uniforme, e scuotendola poi addosso a quella di Surgenor. L’uomo pensò di attirare la sua attenzione sulla moltitudine di cartelli che dicevano vietato fumare, ma il pensiero delle possibili conseguenze lo indusse a non dire niente. Fu con uno sproporzionato senso di sollievo che vide apparire dal finestrino la recinzione dell’astroporto, seguita dagli edifici perimetrali e dalle forme piramidali delle astronavi.

Ritirò la valigia e raggiunse con Christine gli uffici del Servizio, dove riempirono i moduli e vennero sottoposti ai controlli medici prima della partenza. Mancavano ancora tre ore all’adunata dell’equipaggio. Surgenor sperava che Christine avrebbe aspettato nella sala d’attesa, invece la donna decise di salire sulla nave insieme a lui. Era un cilindro alto un’ottantina di metri che finiva a punta e con quattro alettoni triangolari che partivano da un terzo dell’altezza, e la facevano assomigliare a una piramide sottile. Mentre si avvicinava, Surgenor si rese conto che sulla nave erano stati eseguiti parecchi lavori. Quello che più saltava all’occhio, era una nuova serie di anodi, blocchi di puro metallo che agivano come centri di interazione elettrica e chimica fra la nave e le atmosfere straniere, riducendo così al minimo l’erosione dello scafo. Sfortunatamente, i nuovi anodi, lisci e lucidi, servivano a mettere ancora più in rilievo le condizioni pietose del resto dello scafo.

— È questa, allora? — disse Christine, non appena fu chiaro qual era la loro destinazione. — È davvero una Classe Sei?

— È la classe che ha portato la nostra bandiera sui tre quarti dei pianeti nella Bolla.

— Ma non è rischioso volarci sopra?

Surgenor raggiunse per primo la rampa d’accesso, e cominciò a salire. — Se hai dei dubbi — disse senza voltarsi — questo è il momento buono per fare marcia indietro. Non sono molto contenti quando qualcuno dell’equipaggio taglia la corda, ma se intendi farlo, preferiscono che succeda prima, non nel bel mezzo di un viaggio.