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Christine gli era alle spalle quando raggiunsero l’imboccatura cavernosa del ponte di carico, e lo afferrò per un braccio. — Cosa sarebbe questa storia di tagliare la corda?

— Ti ho offesa? — Surgenor la guardò con aria di scusa. — Mi dispiace. Mi sembravi un po’ nervosa.

Christine lo guardò socchiudendo le palpebre. — Capisco. Tu ti identifichi con questa vecchia bagnarola, ti identifichi davvero. Ragazzo mio, sei proprio messo male! — Prima che lui potesse rispondere, lo piantò in asso e si avviò verso la scaletta metallica che conduceva ai ponti superiori.

Surgenor la guardò allontanarsi a bocca aperta, infuriato, poi si guardò intorno, come per cercare un testimone del torto che gli era stato fatto. I sei moduli d’esplorazione, acquattati nei loro stalli, gli restituirono lo sguardo con i loro fari ciclopici, indifferenti.

Il decollo da Delos, contrariamente a quello che sarebbe successo in seguito, fu del tutto normale.

La Sarafand si staccò dal suolo e raggiunse senza scosse i cinquanta metri d’altezza. A questo punto, in obbedienza ai regolamenti interstellari di quarantena, si fermò e si liberò elettrostaticamente della polvere, dei sassi e degli altri detriti catturati dal suo campo antigravitazionale. Seguì una salita a un G fino a una quota di cento chilometri, e quindi una seconda pulizia elettrostatica, che disperse nello spazio le tracce di atmosfera raccolte attorno alla nave. Ora la Sarafand era pronta per il primo, breve balzo nello spazio-beta, che sarebbe servito a portarla fuori dalle complesse influenze gravitazionali del sistema planetario di Delos.

Surgenor sapeva che Aesop, utilizzando una parte della sua “mente” inaccessibile alle possibilità di comprensione dei membri dell’equipaggio, stava in quel momento controllando lo spazio circostante e i suoi invisibili pendii, preparandosi a compiere dei miracoli geometrici. Dalla sua poltroncina nella sala di osservazione, Surgenor guardava il globo bianco azzurro di Delos, aspettando che il pianeta svanisse. Come sempre, nonostante tutti gli anni di servizio, sentì l’eccitazione crescere in lui, e il cuore battergli più forte.

Gettò un’occhiata alla fila di poltroncine girevoli, facendo l’inventario di quelli che si apprestavano ancora una volta a balzare nell’ignoto, insieme a lui. Dei dodici presenti solo quattro, Victor Voysey, Sig Carlen, Mike Targett e Al Gillespie, erano veterani della Sarafand. Degli altri, qualcuno aveva fatto una breve esperienza su altre navi e i rimanenti, come nel caso di Christine Holmes, erano principianti.

Da un punto di vista ufficiale, la durata del servizio non faceva nessuna differenza: un nuovo venuto aveva praticamente la stessa paga e gli stessi diritti di un veterano; ma Surgenor si ostinava a credere che l’esperienza fosse importante, e avrebbe preferito che fra l’equipaggio vi fosse un numero maggiore di veterani. Gli venne in mente, mentre aspettava, che stava cominciando a preoccuparsi esageratamente dei fattori di rischio, una cosa che non gli era mai successa ai vecchi tempi. Era forse questa la ragione per cui aveva perso le staffe in maniera a lui così poco abituale, con Christine Holmes?

Un brivido di eccitazione attraversò la sala, mentre la curva e luminosa solidità del pianeta Delos spariva, provocando un brusco abbassamento di luce. Al suo posto, sullo sfondo stellato, era apparso un punto intensamente luminoso. Surgenor sapeva che in quell’istante avevano percorso mezzo anno-luce, mentre Aesop, immune dalla paura e dallo stupore, si stava preparando per il balzo seguente, che li avrebbe portati nelle profondità inesplorate dello spazio. La loro destinazione si trovava al di fuori dei confini della Via Lattea, un gruppo di cinque soli che brillavano come fuochi di sentinelle ai confini dello spazio intergalattico.

Anche su Delos, Surgenor era stato acutamente conscio della scarsezza di stelle nel settore del cielo notturno rivolto verso il nord galattico; ma ora si rese conto con un brivido che dopo il prossimo balzo non ci sarebbe stato più niente fra lui e il grande vuoto. La sala d’osservazione aveva due schermi emisferici: uno era pieno di stelle, i soli della galassia che si stavano lasciando alle spalle, mentre l’altro era quasi vuoto, tranne che per pochi puntini indistinti che rappresentavano i lontani universi isola. «La Bolla sta diventando troppo grande» pensò Surgenor a disagio. Certo, la sfera dell’attività umana si stendeva solo su un piccolo settore della ruota galattica, mentre la maggior parte del suo diametro e gli innumerevoli sistemi del mozzo giacevano al di là del suo dominio, ma nonostante questo un confine era stato raggiunto. Era il segno tangibile che la galassia era finita. E quell’essere irrequieto, chiacchierone e presuntuoso dell’Homo Sapiens aveva la passione dell’infinito…

— Ehi, Dave! — Victor Voysey, che gli era seduto a fianco, si chinò verso di lui, parlando a bassa voce.

— Ho appena avuto un battibecco con il sostituto di Marc. E c’è qualcuno che dice che è una donna…

— Ha passato dei brutti momenti — disse Surgenor, dando un’occhiata alla donna, qualche posto più avanti. Vista di profilo, la sua faccia appariva quasi scavata.

— Non lo metto in dubbio, ma… Cristo, le ho detto solo che non si può fumare nelle sale asettiche.

Surgenor trattenne un sorriso. — Attenzione, infinito… stiamo arrivando a sporcarti di cenere.

— Sei sicuro di star bene, Dave?

— Un giorno o l’altro, Victor, imparerai a non prendertela tanto se… — Surgenor si afferrò ai braccioli, mentre nel giro di due secondi il nucleo splendente del lontano sole di Delos spariva alla vista, per lasciare il posto a una cappa d’oscurità, in cui si muovevano nebulosi bagliori di luce, simili a lucciole, e questa veniva a sua volta sostituita da una diversa conformazione di puntini nebulosi. Alla fine, i due emisferi si riempirono di una folla di stelle, ammassate le une vicino alle altre e splendenti in ammassi stravaganti.

A Surgenor sembrò che il cuore smettesse di battergli, mentre si rendeva conto che qualcosa non aveva funzionato. Era del tutto inconsueto che una nave facesse tre balzi uno di seguito all’altro; e inoltre era chiaro che la loro posizione, qualunque fosse, non era ai confini dello spazio intergalattico.

— Dave? — Voysey parlò a voce bassa. — Cos’è stato, una gita di piacere?

— Una gita di piacere? — non poté fare a meno di ripetere Surgenor, tanto gli pareva improprio quel termine. — Spero di sbagliarmi, ma ho avuto l’impressione che… per un attimo… siamo stati “fuori”.

— Ma Aesop non lo farebbe mai. Lo dicono tutti i libri, che i flussi gravitonici sono troppo forti per mantenere il controllo di una nave. Voglio dire, se siamo usciti dalla galassia, non potremmo più…

— Ne parleremo dopo — disse Surgenor, accennando con la testa agli altri.

— Anche se c’è stato un guasto nei sistemi di guida, non sarà difficile ripararlo, e non è il caso di suscitare un’ondata di panico.

— Ma perché Aesop non fa una comunicazione?

— Forse pensa che non ne valga la pena. — Surgenor gettò un’occhiata lungo la fila di sedili, e vide che Carlen e Gillespie si erano alzati a metà e lo guardavano, come raggelati. — Andiamo nella mia cabina, e interroghiamo Aesop in privato. — Si avviò verso la porta della sala d’osservazione, seguito da Voysey, e a una certa distanza da Carlen e Gillespie.

— Ehi, voi, dove state andando? — La voce, carica di nervosismo e di tensione, era quella di Billy Narvik, un ragazzo di vent’anni, dalla barba rada, che era sulla Sarafand da tre viaggi.