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— Non ho deciso di farla finita, se è questo che ti preoccupa — disse.

— Ne sono felice. — Surgenor batté sullo stipite. — Ti dispiace se entro?

— Entra pure. Ma sto bene. Surgenor entrò e richiuse la porta alle sue spalle.

— Va bene, Mike. Sputa l’osso.

Targett lo guardò con lo stesso sorriso innaturale. — Potrei farti un grosso favore, e non dirti niente.

— Nessun favore. Parla.

— Va bene, Dave. — Targett fece una pausa per raccogliere le idee.

— Avrai sentito parlare di quasar, mythar, pulsar, buchi neri, buchi bianchi, finestre temporali… vero?

— Certo.

— Ma non avrai mai sentito parlare dei vortici spaziali.

— Vortici spaziali? — Surgenor aggrottò la fronte. — Non mi pare.

— Si capisce, dal momento che li ho inventati io. È un termine nuovo per un nuovo fenomeno astronomico.

— Che cosa succede in un vortice spaziale?

Le labbra di Targett si incurvarono in un pallido sorriso. — Che cosa ti suggerisce questo nome?

— Vortici? Be’, la sola cosa che…

— Ho avuto il primo sospetto oggi, quando Aesop ha detto che la velocità delle stelle sembra aumentare in proporzione alla loro distanza dal centro: quelle più lontane si muovono più in fretta, e così via.

— Lo sapevamo già di trovarci all’interno di un ammasso in implosione.

— Già, ma qui sta il punto: non è vero! — Negli occhi di Targett era ritornata un po’ di vita. — Sono contento di aver risolto il problema. Questa idea di un ammasso che si contrae era un’offesa alla ragione.

— Vorresti dire che gli strumenti di Aesop sono sbagliati? Che le stelle non si muovono verso il centro?

— Non esattamente. Voglio dire che da qualsiasi parte si vada nell’ammasso, da qualsiasi punto vengano eseguite le misurazioni, scopriremmo che le stelle sembrano muoversi verso di noi, e che quelle più lontane si muovono più in fretta.

Surgenor si mosse a disagio. — Mike, ha un senso tutto questo?

— Sfortunatamente sì. L’astronomia ha sempre conosciuto questo fenomeno, ma al contrario. Quando un astronomo misura la velocità delle galassie, scopre sempre che le più lontane si muovono più velocemente, ma questo non significa che lui si trovi in una posizione centrale. In un universo in espansione, ogni cosa si allontana dalle altre in maniera uniforme, e, per un semplice calcolo aritmetico, quanto più un oggetto è lontano dall’osservatore, tanto più velocemente sembrerà che si allontani da lui.

— Questo in un universo in espansione — disse Surgenor lentamente, che era già balzato alla conclusione. — Noi invece…?

— A quanto pare siamo capitati in mezzo ad una regione di spazio in contrazione. È per questo che ci sono tanti soli così vicini uno all’altro. Lo spazio fra di loro si sta restringendo. I soli stessi si stanno restringendo. Anche noi ci stiamo restringendo, Dave.

Surgenor si guardò involontariamente le mani, prima che il buon senso prendesse il sopravvento. — È assurdo. In un sistema in espansione i nostri corpi non diventano più grandi. E anche se lo facessero, non ci sarebbe nessuna differenza… — Si interruppe, vedendo che Targett scuoteva la testa.

— Ci troviamo in un ambiente diverso. Non è come se qualcuno avesse messo la marcia indietro all’intero universo. Siamo in una specie di sacca, come un diamante in una roccia, o una bolla in un fermacarte di vetro, grande qualche decina di anni-luce, e in cui tutto si sta restringendo. Noi compresi.

— Ma come facciamo a saperlo? I nostri strumenti di misura si restringeranno alla stessa velocità di quello che cerchiamo di misurare, per cui…

— Tranne i gravitoni, Dave. Il quantum di gravita è una costante universale. Anche qui.

Surgenor cercò di dare un senso a quello che stava ascoltando. — Aesop ha detto che è una variabile crescente.

— Appare come una variabile crescente. Perché stiamo diventando più piccoli, ed è questo che ha fatto saltare completamente i suoi sistemi di astronavigazione e di controllo.

Surgenor si sedette sulla sola sedia della cabina. — Se questo è vero, allora abbiamo fatto dei progressi. Basta dire ad Aesop qual è il problema…

— Non c’è tempo, Dave. — Targett si stese sul letto, guardando il soffitto. Parlò con voce calma, quasi sognante: — Fra poco più di due ore saremo tutti morti.

17

Una voce irata di donna fu seguita dal rantolo rauco di un uomo, e da un rumore irregolare di passi. Surgenor corse alla porta della sua cabina, l’aprì e vide Billy Narvik e Christine Holmes che lottavano, nel corridoio, a poca distanza da lui. La donna aveva la camicetta semislacciata e la faccia stravolta dalla collera. Narvik, che la teneva dal di dietro, aveva un alone scuro attorno alla bocca e i suoi occhi, sotto le palpebre tremule, mostravano solo il bianco. Sulla faccia aveva un’espressione estatica.

— Lasciala andare, Billy — ordinò Surgenor. — Lo sai che non è una buona idea.

— Posso sbrigarmela da sola -disse Christine con voce monotona, amara. Stava prendendo a calci le caviglie di Narvik, sistematicamente e con forza, ma l’uomo sembrava non accorgersene. Surgenor lo raggiunse e gli afferrò i polsi, cercando di staccargli le mani da Christine.

Rendendosi conto improvvisamente di una terza persona, Narvik spalancò gli occhi. La sua espressione si trasformò alla vista di Surgenor. — Lasciami fare, Dave — disse ansimando. — La voglio, e devo… Non resta altro.

Christine riprese i suoi sforzi per liberarsi, mentre Surgenor tirava con maggior forza i polsi di Narvik. L’uomo, benché più piccolo, era sorprendentemente forte, e per spezzare la sua presa Surgenor dovette piegarsi sulle ginocchia e abbassarsi in modo da poter esercitare maggior forza. Nel fare questo la sua guancia andò a sfiorare quella di Christine, e coi fianchi premette contro quelli di lei. Mentre quella intimità si prolungava per parecchi secondi, il trio rimase in un equilibrio teso, poi le braccia di Narvik cominciarono ad allentarsi.

— Dave, Dave! — cominciò con voce implorante Narvik, mentre era finalmente costretto a lasciare la presa. — Tu non capisci… sono anni che non riesco a…

Si interruppe. Christine era scivolata fuori dall’abbraccio, si era girata e contemporaneamente gli aveva dato uno schiaffo sulla bocca. Surgenor lasciò i polsi e l’uomo indietreggiò fino alla parete curva del corridoio. Si premette il dorso della mano sulla labbra, spostando lo sguardo accusatore da Surgenor a Christine.

— Ho capito! Ho capito! — Narvik fece una risatina isterica. — Ma sono solo due ore. A cosa servono due ore? — Si allontanò in direzione della scaletta, con passo ridicolmente dignitoso.

— Non avresti dovuto colpirlo — disse Surgenor. — Si vede che ha preso qualche droga.

— Questo lo autorizza a violentarmi? — Christine cominciò ad allacciarsi la camicetta.

— Non ho detto questo. — Surgenor la guardò con un senso di frustrazione, oscuramente irritato con lei perché era rimasta quello che era, perché non era riuscita a trasformarsi in un qualche modo indefinibile che l’avrebbe aiutato a vedere uno scopo nella vita o un significato nella morte. Gli era sembrato che avendo un termine di due ore segnato alla loro esistenza, fosse dovere dei membri dell’equipaggio trascendere la loro vecchia personalità, e rendere così, sia pure in modo simbolico, il breve tempo che restava loro degno di essere paragonato ai decenni futuri che venivano loro negati. Sapeva che la sua era una tipica reazione dovuta alla paura, che il suo subconscio, in uno sforzo di negare i fatti, aveva inventato dei falsi obiettivi a breve scadenza; ma una parte di lui si aggrappava a quell’illusione, e desiderava che Christine volesse essere quello che poteva essere.