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«Non è nemmeno un villaggio, Katerine,» disse la Sorella tremante «solo tre o quattro casupole di pescatori a un’intera giornata a valle del fiume via terra. Ancora di più da qui.»

Sollevando le sue gonne bagnate, le tenne più vicino al fuoco.

«Potremmo riuscire a trovare un modo per inviare messaggi in città, ma c’è bisogno di voi due qui. Tutto quello che ha impedito a Elaida di inviare cinquanta o più Sorelle, piuttosto che soltanto me, è stata la difficoltà di far attraversare il fiume perfino a una minuscola barca senza che fosse vista, anche nell’oscurità. Devo dire di essere rimasta sorpresa, nel sapere che ci fossero delle Sorelle così vicino a Tar Valon. Date le circostanze, ogni Sorella fuori dalla città deve...»

Tarna la interruppe con fermezza sollevando una mano. «Elaida non può nemmeno sapere che io sono qui.» Katerine chiuse la bocca e si accigliò, sollevando il mento, ma lasciò che l’altra Rossa continuasse. «Quali sono stati gli ordini che ti ha affidato a proposito delle Sorelle a Dorlan, Narenwin?» Rajar si mise a esaminare le assi del pavimento di fronte ai suoi stivali. Aveva affrontato battaglie senza batter ciglio, tuttavia solo uno sciocco avrebbe voluto intromettersi fra delle Aes Sedai che stavano litigando.

La donna bassa si concentrò ancora un momento sulle sue gonne separate. «Mi è stato ordinato di prendere il comando delle Sorelle che avessi trovato qui» disse con boria «e fare ciò che potevo.» Dopo un momento sospirò, e si corresse con riluttanza. «Le Sorelle che avessi trovato qui sotto Covarla. Ma, di certo...»

Stavolta Katerine si inserì. «Non sono mai stata sotto Covarla, Narenwin, perciò quegli ordini non posso riguardare me. Domattina partirò per trovare queste tre o quattro casupole di pescatori.»

«Ma...»

«Basta, Narenwin» disse Katerine con voce gelida. «Puoi eseguire le tue disposizioni con Covarla.» La donna dai capelli neri rivolse alla Sorella della sua Ajah uno sguardo con la coda dell’occhio. «Suppongo che tu possa accompagnarmi, Tarna. Una barca da pesca dovrebbe avere spazio per due.» Tarna piegò il capo appena un poco, forse come ringraziamento.

Conclusi i loro affari, le due Rosse raccolsero i mantelli attorno a sé e si diressero verso la porta per le stanze interne della casa. Narenwin scoccò loro uno sguardo contrariato mentre si allontanavano e rivolse la sua attenzione a Gawyn, il suo volto che assumeva le sembianze di una quieta maschera.

«Hai notizie di mia sorella?» chiese lui prima che la Aes Sedai potesse aprir bocca. «Sai dove si trova?»

La donna era davvero stanca. Sbatté le palpebre e lui poté quasi vederla elaborare una risposta che non gli avrebbe detto nulla. Fermandosi a metà strada verso la porta, Tarna disse: «Elayne era con le ribelli, l’ultima volta che l’ho vista.» Ogni testa si voltò di scatto verso di lei. «Ma tua sorella non sarà soggetta a punizione,» proseguì con calma «perciò non te ne crucciare. Le Ammesse non possono scegliere a quali Sorelle obbedire. Ti do la mia parola: per la legge, non può subire nessun danno permanente da ciò.»

Sembrava ignara dello sguardo glaciale di Katerine o degli occhi strabuzzati di Narenwin.

«Avresti potuto dirmelo prima» replicò Gawyn in tono aspro. Nessuno parlava in modo aspro alle Aes Sedai, non più di una volta, ma in questo momento a lui non importava. Le altre due erano forse sorprese che Tarna conoscesse la risposta oppure che l’avesse fornita? «Cosa intendi con ‘nessun danno permanente’?»

La Sorella dai capelli chiari proruppe in una risata. «Non posso certo promettere che non verrà punita con qualche frustata se proseguirà in questa sua condotta erronea. Elayne è una delle Ammesse, non una Aes Sedai. Nondimeno ciò la protegge da una punizione maggiore nel caso in cui venga allontanata dalla retta via da una Sorella. E tu non hai mai fatto questa domanda. Inoltre non ha bisogno di essere salvata, anche qualora tu riuscissi a farlo. È con delle Aes Sedai. Ora sai tutto ciò che posso dirti di lei, e io andrò a cercare di dormire qualche ora prima dell’alba. Ti lascio con Narenwin.»

Katerine la osservò andarsene senza nemmeno battere ciglio, una donna di ghiaccio con gli occhi di un gatto predatore, ma poi lei stessa si allontanò dalla stanza così in fretta che il suo mantello svolazzò dietro di lei.

«Tarna ha ragione» disse Narenwin quando la porta si fu chiusa dietro Katerine. La piccola donna poteva non offrire una buona dimostrazione di tranquillità e mistero da Aes Sedai, a fianco delle altre due, ma da sola ci riusciva molto bene. «Elayne è vincolata alla Torre Bianca. E anche tu lo sei, nonostante tutte le tue chiacchiere sul disconoscimento. La storia dell’Andor ti lega alla Torre.»

«Noi Cuccioli siamo tutti vincolati alla Torre per nostra stessa scelta, Narenwin Sedai» intervenne Rajar, rivolgendole un inchino formale. Lo sguardo di Narenwin rimase su Gawyn.

Lui chiuse gli occhi, e l’unica cosa che riuscì a fare fu non sfregarseli con le mani. I Cuccioli erano vincolati alla Torre Bianca. Nessuno avrebbe mai dimenticato che avevano combattuto, sul terreno stesso della Torre, per fermare il salvataggio di una Amyrlin deposta. Nel bene o nel male, quel racconto li avrebbe seguiti fin nelle loro tombe. Anche lui era marchiato da ciò e dai suoi personali segreti. Dopo tutto quel bagno di sangue, lui era stato l’uomo che aveva lasciato fuggire Siuan Sanche. Ancor più importante, però, Elayne l’aveva vincolato alla Torre Bianca, e così aveva fatto Egwene al’Vere, e lui non sapeva chi avesse legato il nodo più stretto, l’affetto per sua sorella o quello per la donna che amava. Abbandonare una era come abbandonare tutte e tre, e finché avesse avuto vita non avrebbe potuto abbandonare Elayne o Egwene.

«Hai la mia parola che farò tutto ciò che posso» disse in tono stanco. «Cosa vuole Elaida da me?»

Il cielo sopra Caemlyn era limpido, il sole una pallida sfera dorata vicina allo zenit. Spandeva una luce brillante sulla coltre bianca che ricopriva la campagna circostante, ma non dava calore. Tuttavia, il tempo era più caldo di quanto Davram Bashere si sarebbe aspettato nella sua Saldea, anche se non gli dispiaceva che il suo nuovo mantello fosse orlato di pelliccia di martora. Faceva comunque abbastanza freddo perché il suo fiato gli congelasse i folti baffi con più bianco di quello che gli anni vi avevano aggiunto. In piedi nella neve che gli arrivava alle caviglie, fra gli alberi spogli su un’altura forse a una lega a nord di Caemlyn, teneva un lungo cannocchiale con montatura d’oro contro l’occhio, studiando l’attività nel terreno sottostante circa un miglio a sud della sua posizione. Rapido gli sfregò il muso contro la spalla da dietro con impazienza, ma lui ignorò il suo baio. A Rapido non piaceva star fermo, ma alle volte era necessario, che lo si volesse o no.